domenica 17 dicembre 2017

Don Winslow e il lato oscuro dell'America

Il Messaggero, sezione Cultura, pag. 21

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

«Jory parla strano, da un po' di tempo».«Parla in modo strano, – la corresse la madre». 
«In che senso?». 
«Non lo so. Di politica. Di come sta cambiando il Paese. Sembra uno di ultradestra».
«Sembra pieno di rabbia, – disse di nuovo Shelly». 
«Un po' mi fa paura».

In questo dialogo Don Winslow ci ricorda che il nemico più insidioso da sconfiggere, l'odio, è spesso dentro di noi, non è un'entità distante e straniera. Il testo citato risale all'inizio degli anni Novanta ed è di estrema attualità come il romanzo da cui è tratto Nevada connection (Einaudi, 364 pagine, 15.50 euro, traduzione di Alfredo Colitto). Jory, figlio dell'America che non si identifica in New York, insieme a un gruppo eterogeneo di sbandati che Winslow assembla e caratterizza sapientemente, è alla ricerca di qualcosa in cui credere, e lo trova nel movimento per la supremazia bianca. Il reverendo C. Wesley Carter, guida spirituale della sedicente Chiesa della Vera identità cristiana, è l'indottrinatore di una milizia di neonazisti, che combattono in nome di Dio e della razza bianca: «Uomini che sentivano sfuggire loro di mano un'America che non era mai esistita».

Il giallo, che non cala mai d'intensità, è ambientato negli anni della presidenza Reagan. Ritroviamo l'agente sotto copertura Neal Carey, di nuovo operativo per conto dell'organizzazione Amici di Famiglia dopo tre anni di confino trascorsi in un monastero buddista in Cina. L'investigatore privato è chiamato a risolvere il caso della scomparsa del piccolo Cody McCall, rapito dal padre dopo la separazione dalla moglie. Le ricerche conducono il lettore in una piccola comunità del Nevada stravolta dal fanatismo della setta razzista, nella quale Carey riesce a infiltrarsi: «La valle non è più la stessa. È infetta». Si è ammalata di due virus letali, l'odio e la paura seminati fra vicini di casa.

Nelle Terre Alte solitarie del Nevada sono tutti bianchi, ma all'orizzonte incombe sempre un nemico, nero o ebreo che sia. Secondo i “Figli di Seth”, legati al reverendo Carter, il governo federale di Washington è manipolato dagli ebrei per la soppressione del vero popolo eletto, lo chiamano Zionist Occupation Government. La dinamica del reclutamento, emersa dopo diversi attentati in Europa, assomiglia a quella del terrorismo di matrice islamista. Carter passa al setaccio le carceri e stimola la radicalizzazione religiosa di uomini persi, attratti da un credo di violenza, da organizzare in cellule militari pronte a colpire. I suprematisti presunti ariani, addestrati e armati come paramilitari, si intestano una Guerra santa in nome dell'America a cui sarebbe stata progressivamente sottratta la purezza: «Siamo bianchi e non abbiamo diritti nel nostro Paese». In una combinazione tossica di razzismo e religione, il pericolo agitato è sempre lo stesso: l'invasione del diverso. Winslow ci riporta agli scenari e alle atmosfere di Assalonne, Assalonne! di William Faulkner, in cui una famiglia dell'alta borghesia del Sud preferisce l'omicidio alla presunta contaminazione razziale. 

Ogni anno Winslow, che vive sul confine californiano col Messico, ama attraversare gli Stati Uniti in macchina insieme alla moglie, avendo un contatto diretto con la strada. E Carey, personaggio protagonista del suo noviziato letterario, si muove dentro a una strofa di Springsteen, cantore delle speranze, delle promesse non mantenute nella realtà tutt'altro che monolitica d'oltreoceano. Ci sono il diritto costituzionale alla ricerca della felicità e il mondo del proletariato marginale bianco. C'è l'operaio springsteeniano di Johnny 99, nato giù nella valle dove fin da giovane ti insegnano a rifare quello che ha fatto tuo padre, che ha perso il lavoro e impugna la pistola. Carey appare immerso nella sceneggiatura di un film di Robert Altman.

L'agente, dotato di fine umorismo, scava dentro il cuore di tenebra violento della provincia americana ed è così libero da non scivolare mai nel pregiudizio. Durante la lettura di Nevada connection, che fa parte del ciclo dei suoi primi noir ora tradotti e pubblicati da Einaudi, si rintracciano molti degli elementi che successivamente hanno consacrato Winslow. Il maestro del poliziesco statunitense, come il miglior romanzo noir, ha la strana virtù di essere più realista della realtà.

Nessun commento: