domenica 3 giugno 2018

Winkler: «Vi racconto gli hooligan la gioventù bruciata dalla rabbia»

Il Messaggero, sezione Macro, pag. 19

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

Philipp Winkler, classe 1986, studiava scrittura creativa all'Università di Hildesheim, quando iniziò cinque anni fa a immaginare Hool (66thand2nd, 285 pagine, 18 euro, traduzione di Riccardo Cravero), che nel 2016 in Germania nel solo primo mese in libreria ha venduto 25mila copie ed è entrato nella lista del più importante premio letterario tedesco, il Deutscher Buchpreis.

Winkler ha ambientato l'esordio narrativo nella città in cui è cresciuto, Hannover. Il protagonista Heiko, trentunenne e della stessa estrazione sociale operaia dello scrittore, che però non è mai stato un hooligan, ci trascina nel microcosmo di un gruppo di sostenitori dell'Hannover 96. Winkler raffigura un universo maschile violento, costringendo il lettore a interrogarsi sull'origine di scontri fisici scrupolosamente premeditati e insensati. C'è tanta vita nel disincanto disperato della banda di hooligans, che odiano i naziskin.

Il lavoro del traduttore restituisce la capacità dello scrittore di non tradire il linguaggio duro di chi ha deciso raccontare. Come i ragazzi dell'ex Repubblica Federale Tedesca narrati da Clemens Meyer, autore simbolo della generazione post 1989, quelli di Winkler sembrano muoversi in una terra di nessuno. E se non possono sognare una nuova società e con essa una vita nuova, restano loro l'amicizia e il sogno di un amore.

Winkler, quali sono le caratteristiche essenziali dell'hooliganismo in Germania?
«Oggi si concretizza soprattutto nello scontro, ognuno con le proprie insegne, a mani nude fuori dallo stadio al riparo dai riflettori e dalla polizia. Esiste una sorta di codice comportamentale, che per esempio prevede di non colpire chi è già per terra o di non usare alcun tipo di arma. Continuano a combattere anche in età avanzata; è quasi un meccanismo di socializzazione che asseconda l'istinto».

Il calcio è un elemento accessorio nelle loro azioni?
«È fondamentale nella quotidianità delle loro vite, ma quando si avvicinano all'hooliganismo in sé il calcio è una sorta di iniziatore, una bandiera sotto la quale riunirsi, una fonte di identificazione. L'atto violento invece non ha nulla a che fare con il calcio».

Qual è la risposta degli hool alla commercializzazione dello stadio?
«Scommetto che alcuni di loro non hanno nessuno scrupolo nel portare i figli all'arena “Red Bull Leipzig” o in altre simili. Ognuno difende la propria idea di purezza del gioco. Per altri è una ragione per rifiutare e recludersi ancora di più nella propria campana di vetro esistenziale».

L'importante è che ci sia da menare, dicono gli hool.
«Ma poi vivono come gli altri, sommersi nella società. Nel loro ambiente però tutto è in funzione della preparazione della rissa e delle sensazioni di adrenalina che si vivificano negli istanti della lotta».

Qual è il contenuto espresso dal loro conflitto, oltre all'estetica della violenza?
«È difficile generalizzare, ma due elementi cardine sono la lealtà e il cameratismo. E spesso è anche una forma di libertà: fare qualcosa che non è accettato dalla società e dalla legge».

I gruppi che animano le curve degli stadi sembrano spostarsi verso l'estrema destra o sono sempre più apolitiche. Il declino delle ideologie riguarda anche gli hool?
«Heiko disprezza i neonazisti, che popolano questo ambiente, credendo che l'hooliganismo e la lotta dovrebbero essere apolitiche. Lui stesso come moltissimi altri hool è apolitico. L'unica sua certezza è l'antinazismo. Tuttavia talvolta inconsapevolmente replica pensieri e comportamenti in qualche modo sessisti o razzisti propri di atteggiamenti violenti».

Il mondo degli hool è identificabile con un'unica classe sociale, la working class; la Germania degli esclusi?
«No. L'hooliganismo è diffuso in tutti gli strati sociali, dal più basso al vertice. Molti si arrangiano sul confine della legalità, vivono alla giornata nelle periferie della deindustrializzazione, ma la rabbia non è identificabile solo con la marginalità sociale».

La banda diventa quasi una famiglia?
«L'amicizia è il loro valore più prezioso, specialmente per Heiko. Il padre lo portava allo stadio, lo zio era un hooligans anni Novanta. Lui costruisce la propria identità, rifondando una sorta di nucleo familiare, basato sulla condivisione di una passione, nel quale ogni componente riempie i vuoti intimi». 

Davvero questa gioventù dominata dalla rabbia non ha sogni?
«Certo che li hanno, tuttavia per molte circostanze, nella maggior parte dei casi indipendenti dalla loro volontà, sono opachi. Si sentono paralizzati e non trovano alcuna strada per realizzarli».

Nessun commento: