domenica 2 settembre 2018

Ben Jelloun: «L'odio è cresciuto da quando lo spiegai a mia figlia»

Il Messaggero, sezione Macro, pag. 19

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

Vent’anni fa Françoise Perrot, una delle direttrici delle Éditions du Seuil, propose a Tahar Ben Jelloun, poeta, romanziere e giornalista marocchino che da scrittore ha scelto la lingua francese, di spiegare il razzismo alla figlia Mérième con una conversazione pubblica da divulgare. Lo chiameremo Il razzismo spiegato a mia figlia, gli disse Perrot, e nacque un libro manifesto, che come un classico non è scalfito dal tempo e torna in libreria con la Nave di Teseo in un’edizione aggiornata e ampliata.

Ben Jelloun, perché scrive che il razzismo gode di buona salute?
«Il razzismo è stato banalizzato e sdoganato. Chi odia gli altri non si nasconde più e lo mostra pubblicamente sui social network come allo stadio. Il razzista non ha più paura, nonostante esistano leggi contro l’incitamento all’odio razziale. C’è stata una liberazione della parola razzista anche nel discorso politico internazionale».

Che cosa lega terrorismo e razzismo?
«L’odio, la paura e l’ignoranza. Un terrorista è forzatamente razzista e porta all'estrema conseguenza la logica dell’odio, dando la morte».

In Francia e non solo c'è un pericoloso ritorno dell’antisemitismo.
«L’antisemitismo è sempre esistito, cambiano solo gli interpreti. È evidente che gli attentati in Francia degli ultimi anni avevano gli ebrei come bersaglio. Sono avvenuti episodi terribili come l’assassinio di bambini ebrei davanti alla propria scuola, la defenestrazione di Sarah Halimi o la morte della signora ottantacinquenne Knoll. Molti ebrei hanno paura, ed è grave, e alcuni hanno raggiunto Israele. La questione israelo-palestinese resta il focolaio d’odio decisivo da disinnescare». 

Nella crescente islamofobia c'è la stessa radice razzista?
«L’islamofobia si è estesa contemporaneamente nella società. Il vero attacco dei ministri della paura è alla democrazia, per disarticolare il sistema che abbiamo scelto. L’odio e la paura sono ingredienti molto efficaci per manipolare le persone: con l’Islam funziona molto bene. Ormai nell’ignoranza, mediocrità e menzogna del discorso pubblico sembra impossibile scindere la religione dalla violenza degli jihadisti assassini con l’equivalenza tra terrorismo e islam».

Che cos’era l’immigrazione nel 1971, quando arrivò a Parigi da esule per completare gli studi alla Sorbona?
«Nel 1971 non se ne parlava assolutamente. Gli immigrati erano uomini parcheggiati in città di transito provvisorio, una provvisorietà che è durata decenni. Con lo shock petrolifero del 1973 si è cominciato a parlare degli immigrati arabi. C’era razzismo, ma discreto. Le cose sono cambiate definitivamente nel 1975 con la legalizzazione del ricongiungimento familiare decisa da Giscard D’Estaing». 

L’incapacità dell’Europa nel trovare una politica comune sull’immigrazione rischia davvero di produrre una disgregazione?
«La gestione del fenomeno migratorio rischia davvero di disgregare l’Unione Europea, che ha molti nemici pronti ad approfittare delle sue divisioni, a cominciare da Trump. La rotta del mare si deve chiudere, fermando guerre geopolitiche ed economiche in Africa. Paesi ricchi di risorse come la Nigeria, l’Algeria o il Gabon, sostenuti da una cooperazione internazionale responsabile, devono garantire il futuro dei propri cittadini in difficoltà. Bisogna andare alla fonte del problema».

L’idea del cosmopolitismo sembra indebolita. Lei ci crede?
«Il cosmopolitismo è tra noi; tempo fa ero in un liceo parigino; la classe era formata da tredici diverse nazionalità d’origine. La popolazione europea è sempre più composita. Non è importante quanto ci creda, la società difficilmente tornerà indietro».

A fine mese arriverà in libreria La punizione. Lei racconta l'esperienza del 1965, quando la rinchiusero in un campo di rieducazione dell'esercito marocchino per aver invocato in piazza più democrazia. Ora i giovani sono più liberi?
«Il Marocco è cambiato molto. Dopo l'arrivo di Mohamed VI il paese si è modernizzato e ha conosciuto un processo democratico. Esistono problemi legati alla scuola, alla sanità e alla povertà; ma rispetto all’epoca in cui manifestavo per la democrazia ci sono stati progressi enormi. Oggi il nemico è la corruzione; è un flagello che spinge il paese alla regressione. È difficile frenare la corruzione, che costringe a emigrare».

 «Il mondo arabo non sarà più lo stesso», scriveva nei mesi delle rivolte chiamate “Primavera araba”. Quella tunisina appare l’unica “primavera” sopravvissuta.
«Le conseguenze di quella stagione sono state disastrose soprattutto in Siria. Ma la storia potrebbe non essere chiusa. Sì, solo la Tunisia sembra sulla buona strada, malgrado le minacce dei salafiti. Nel 1844 la Tunisia abolì lo schiavismo. È l’unico paese nel mondo arabo musulmano ad avere una costituzione rivoluzionaria: essa riconosce l’eguaglianza tra uomo e donna; riconosce la libertà di coscienza ed espressione».

Però molti tunisini desiderano partire e partono destinazione Europa.
«Oggi il problema principale è l’economia. Servono investimenti per la ripresa, l’Europa deve fare la propria parte. È un’ipocrisia volere che la Tunisia riesca a essere un esempio nel mondo arabo musulmano senza fare nulla per sostenerla».


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