Il Messaggero, sezione Cultura, pag. 22
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
Che cos'è l'apnea profonda? Maurizio, l'allenatore di Giuliano, prova a rispondere. L'apnea è più testa che corpo. Non è uno sport come gli altri; la cosa importante non è vincere, ma possedere un pensiero forte, quando si scende nell'abisso caratterizzato dall'assenza di luce. Per sprofondare oltre i cinquanta metri ci vuole disciplina, umiltà e convinzione assoluta. Il primo errore da non commettere in apnea è lottare: «Non è il pugilato, l'apnea. Se conti solo sulla forza, cosa farai quando ti viene a mancare, eh?», Maurizio redarguisce così l'allievo.
Qual è il rapporto col respiro, che forse è il vero protagonista del libro, di un bravo apneista? «Se trattieni il fiato prima o poi ti ritroverai senza – sostiene Maurizio –. E sentire l'impellente bisogno di respirare con milioni di litri d'acqua sopra la testa a separarti dalla prima molecola di aria non è la cosa più bella del mondo. Se invece ti dimentichi di respirare, finché stai sotto, finché vivi nell'acqua, allora ce la puoi fare e riuscirai a spingere quel limite più in là».
Nel romanzo l'acqua è anche memoria con cui confrontarsi fin dal grembo materno. Ci si immerge per guardarsi intorno e dentro. Leggendo, scopriamo che il senso per l'apnea di Giuliano è un fratello, Giovanni, che in superficie non è più risalito. La vita spesso si trasforma nella ricerca della maniera più dolce o violenta di colmare i vuoti che interrogano l'anima. Ed è una necessità a cui è impossibile sottrarsi, Giuliano non lo fa. Il mare e la gestione del ritmo dell'immersione assomigliano alla costruzione nella mente di uno spazio libero.
Giuliano vuole vincere, intende strappare record di discesa: è una forma di resistenza alla morte. Giuliano inizia l'ultimo viaggio, quando la diagnosi irreversibile di una tosse maligna decreta la fine. Col coraggio, che serve a vivere come a morire, continua a indagare il senso del limite.
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