Il percorso tortuoso della legge Hadopi (Alta autorità per la protezione dei diritti d’autore su Internet), iniziato circa un anno fa e fortemente sostenuto dal presidente Nicolas Sarkozy, si è nuovamente bloccato davanti alla severa bocciatura della Corte Costituzionale francese. Nel 2006 era già stata approvata la legge Dadvsi, che prevedeva multe pesanti fino a 300mila euro e tre anni di reclusione per i pirati ma che non ha sortito effetti, contro il fenomeno del peer to peer di film e della musica.
Il progetto di legge “Creàtion et Internet” dopo molti passaggi parlamentari è stato adottato dalla Camera il 13 maggio scorso. L’impianto della Hadopi segue la linea dura della repressione scelta dall’esecutivo, con il pieno sostegno degli artisti e dell’industria culturale francese, per fermare il dilagare dello scambio e scaricamento illegale sulla Rete di contenuti culturali.
Una legge che ha diviso e divide tanto in Francia quanto nel resto d’Europa con approcci totalmente diversi al problema. Uno scontro inevitabile tra due principi e modelli economici opposti. Da una parte la protezione e la sopravvivenza del diritto d’autore, che consente all’artista di vivere del suo lavoro e di vedere tutelata la propria opera. Dall’altra parte si è affermata una cultura, che ha accompagnato lo sviluppo di Internet, che risponde ai principi dell’accessibilità, della gratuità e dell’universalità dei contenuti. Si stima che almeno la metà dei circa 30 milioni di navigatori francesi ricorra al peer to peer, considerandolo come una pratica del tutto naturale. Inoltre non va dimenticato come questo fenomeno abbia ingigantito il traffico della Rete e quindi il business dei fornitori dell’accesso, stranamente molto silenziosi nel vivace dibattito pubblico animato da questa legge.
La volontà legittima dell’Eliseo si è tradotta in sanzioni tanto dure, come l’interdizione all’accesso Internet per gli utenti scoperti almeno tre volte a scaricare, quanto inutili rispetto alla mobilità della Rete e alla libertà fondamentale di espressione riconosciuta dal diritto costituzionale transalpino.
Contenuti della legge Hadopi. L’obiettivo dichiarato della legge Hadopi è quello di fermare l’emorragia delle opere culturali scaricabili su Internet gratuitamente. Il testo approvato in parlamento contiene tre nuove misure: la creazione dell’Hadopi, il taglio della connessione per gli scaricatori recidivi e l’obbligo di certificare la sicurezza del proprio accesso a Internet.
L’Hadopi è un’autorità amministrativa per la diffusione e la protezione del diritto d’autore sul web. Il suo compito principale sarebbe quello di constatare le violazioni del diritto d’autore sulla Rete e sanzionarlo. Al contempo la legge le affida la missione di sostenere e sorvegliare lo sviluppo dell’offerta legale di contenuti culturali in Internet. La nuova autorità dispone di livelli sanzionatori graduali. La prima violazione prevede l’invio al trasgressore di una e-mail di avvertimento. Alla seconda infrazione è prevista la spedizione di una raccomandata. Alla terza penalità l’abbonamento a Internet è sospeso per un periodo che va dai tre ai dodici mesi, la persona sanzionata non può sottoscrivere alcun nuovo contratto e deve continuare a pagare il proprio fornitore. Una gradualità dissuasiva nei confronti dell’utente invitato così più volte a desistere dal commettere il reato.
La terza norma prevede l’assicurazione, al momento della sottoscrizione dell’abbonamento a Internet, della sicurezza della propria connessione. Il proprietario della connessione viene considerato come l’unico responsabile dello scaricamento illegale, senza la necessità di accertare se sia stato effettivamente lui stesso o meno ad effettuarlo. Una scelta che non tiene conto dei numerosi mezzi tecnici, dalla clonazione dell’Ip al criptaggio, che permettono ai veri responsabili di sfuggire abbastanza facilmente alla pena. Indirettamente l’Hadopi rischia di non punire con certezza lo scaricamento, ma la mancata sufficiente protezione della propria connessione a Internet.
Inoltre l’eventuale installazione di un sistema particolare di protezione entrerebbe in conflitto con sistemi operativi liberi, come Linux, e richiederebbe un aggiornamento continuo. Ciò comporterebbe l’obbligo dell’utente a dotarsi di un sistema operativo commerciale, ledendo ulteriormente la libertà di scelta individuale. Di qui anche la gaffe del ministro Albanel, secondo la quale “il suo ministero disporrebbe già di un sistema di sicurezza per la connessione per l’utilizzo del programma Open Office”, peccato che si tratti solamente di un elaboratore di testi senza alcun rapporto con il sistema operativo e la suddetta sicurezza…
La bocciatura della Corte Costituzionale. Non capita di sovente che la Corte censuri le disposizioni chiave di una legge emanata dal parlamento, al punto di svuotarla della sua ragion d’essere. La pronuncia della Corte ha condannato sia la sanzione che prevede il taglio della connessione a Internet, richiamando l’articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo dl 1789, sia il mancato diritto di difesa davanti a un’autorità giudiziaria competente. “La libera espressione del pensiero e delle opinioni è un diritto inalienabile. I servizi offerti da Internet hanno assunto un’importanza centrale per la partecipazione alla vita democratica e l’espressione delle proprie idee. Inoltre considerando che i poteri sanzionatori istituiti dalle disposizioni della legge consentono alla nuova autorità, che non ha valore giurisdizionale, di impedire l’accesso a Internet dei legittimi titolari di abbonamento il legislatore non può affidare tali poteri a un’autorità amministrativa. In virtù dell’articolo 9 della Dichiarazione del 1789 tutti sono innocenti fino a prova contraria. Il legislatore nega il rispetto di questo principio difensivo e quindi le suddette disposizioni Hadopi sono dichiarate contrarie alla Costituzione”.
In sintesi la connessione alla Rete rientra nel diritto fondamentale alla libera espressione, con il riconoscimento del ruolo ormai essenziale assunto da Internet nella nostra società e nell’acquisizione di nuovi spazi di democrazia. Inoltre la Corte ha evidenziato come venga meno la presunzione d’innocenza, in quanto il testo della legge prevede la cessazione del servizio Internet senza possibilità di appello giudiziario e senza l’onere della prova a carico dell’accusa. “La legge era un po’ folle – commenta a Le Monde un costituzionalista - in quanto sosteneva: ”Voi avete scaricato illegalmente. No? Provatelo”. Per esempio è molto facile allacciarsi alla connessione wi-fi di altri e poi come è possibile distinguere il vero Ip di chi ha realmente effettuato lo scaricamento?
Il ministro della cultura francese Christine Albanel, su forte spinta di Nicolas Sarkozy, non intende comunque arretrare: ”Ora promulgheremo il testo approvato dalla Corte, mentre la parte censurata sarà modificata e ripresentata in consiglio dei ministri entro la fine di giugno, per poi tornare al vaglio del Parlamento”. Quello che appare certo è che si ripartirà “dal convergere dell’ordine costituzionale francese e la legge europea, riaffermando che la libertà di espressione include anche la libertà di esprimere opinioni e ricevere le informazioni via Internet, e che questa libertà può essere tolta solo con la decisione di un giudice”.
Per sopperire a questa mancanza il ministro confida di “completare la legge con un giudice esterno che dovrà pronunciarsi sull’ultima sanzione della risposta graduale. L’Hadopi, su indicazione delle Società che si considerano parte lesa, esamineranno i primi dossiers, poi invieranno le mail di avvertimento e lettere di diffida ai navigatori (secondo il ministro si partirà con l’invio delle email di avvertimento già dal prossimo Ottobre). Infine incaricherà un giudice per l’eventuale sanzione definitiva”. Ma a questo punto occorrerebbe l’aggiornamento del codice penale, creando una nuova incriminazione visto che pare difficile l’equiparazione al tradizionale reato di contraffazione.
“Se il governo vuole mantenersi su una linea repressiva del fenomeno – spiega Gilles Guglielmi docente di diritto pubblico all’università Paris II - non potrà evitare l’emanazione di una legge penale che definisca chiaramente se si tratta di un reato o di una contravvenzione. Il rischio di ritrovarsi di fronte a un giudice o piuttosto alla detenzione, seppur breve, potrebbe influenzare psicologicamente l’internauta evitando di compiere il reato. L’autorità amministrativa Hadopi può segnalare l’infrazione, ma poi dovrà esserci un’indagine della polizia incaricata dal giudice con tutte le garanzie difensive del caso per gli accusati”.
Le critiche della Commissione europea. Già nel novembre 2008 la Commissione europea aveva manifestato le proprie perplessità sul disegno di legge Hadopi, chiedendo delle sostanziali modifiche che lo rendessero aderente alla legislazione comunitaria. Lo scoglio più grande era proprio la negazione dell’accesso a Internet che andava contro la direttiva votata nel 2002 che definisce la Rete come un “servizio universale, il cui accesso spetta a tutti i cittadini europei”. Il taglio della connessione è dunque considerato come una sanzione sproporzionata. Come stabilito poi dalla Corte di Parigi, le autorità di Bruxelles avevano chiesto la possibilità di difendersi dell’internauta di fronte alla prima accusa di pirateria. Mentre il governo francese prevede di affidare il tutto a un’autorità amministrativa, Hadopi, gli eurodeputati ribattono che questo potere può essere assunto solo dalla giustizia penale.
L’Europa richiama dunque al rispetto dei “diritti fondamentali e della libertà delle persone. La protezione dei dati sensibili e l’accesso alle informazioni, soprattutto il diritto a un giudizio davanti a un tribunale indipendente e imparziale”.
Come accade spesso su molti temi l’Europa non si esprime con una politica comune. Lo scorso 20 gennaio il governo italiano, per voce del ministro della cultura, aveva annunciato la firma di un accordo di cooperazione con la Francia sul contrasto alla pirateria e l’adozione di una legislazione simile al modello Hadopi. In Irlanda il principale fornitore dell’accesso, Eircom, ha dato il suo benestare al taglio del servizio alla terza infrazione dello scaricatore.
La Germania, che nel 2006 ha approvato una legge molto severa per reprimere il peer to peer, si è rifiutata di imporre “il blocco dell’accesso a Internet in quanto si tratta di una sanzione inaccettabile, costituzionalmente e politicamente molto difficile da applicare”. La Gran Bretagna ha rinunciato alla mano pesante, come spiega il ministro David Lammy: “Trovare una soluzione legislazione adeguata in questo campo è molto difficile. Non possiamo adottare un sistema che scovi, arresti o tagli Internet nelle stanze di milioni di teenager”. Tra le case discografiche d’Oltre Manica si è aperto un’importante dibattito sulle soluzioni da adottare. La British Phonographic, principale rappresentante dell’industria musicale britannica, si è espressa a favore del modello francese dei tre avvertimenti prima dell’espulsione definitiva dal network.
Mentre il modello di vendita Itunes non decolla, usata solo dal 10% e con introiti pari all’8% degli incassi totali dell’industria inglese, secondo Feargal Sharkey, ex popstar e ora presidente della Uk music, almeno un quinto degli utenti della Rete sarebbero invece disposti a pagare un prezzo congruo per il servizio di file-sharing. Anche la Svezia ha rifiutato il modello Hadopi.
Il Belgio e la Danimarca hanno percorso una strada alternativa, chiedendo ai rispettivi principali fornitori della connessione l’oscuramento dei siti peer to peer, come The Pirate Bay. Le imprese hanno dovuto però constatare l’impossibilità tecnica dell’oscuramento su larga scala e si sono aperti dei contenziosi giudiziari.
La soluzione più alternativa spetta al paradiso fiscale delle Isole Man, 80mila abitanti nel mare irlandese, ha istituito una licenza globale obbligatoria, che permette ai propri residenti di scaricare a piacimento tutta la musica e i film in cambio del pagamento di una tassa. Una decisione che ha scatenato le ire degli isolani, poco avvezzi al pagamento dei tributi. Bard Solhjell, ministro dell’istruzione e della ricerca norvegese, ha ripreso questa idea di una licenza globale come modello economico di retribuzione del diritto d’autore. “Gli artisti devono essere pagati per il loro lavoro. E’ inaccettabile diffondere le loro produzioni senza pagare nulla. Ma dobbiamo anche smetterla di cercare di fermare il futuro”.
Vincent Frèrebeau, direttore della casa discografica francese Tot ou tard (nata da una separazione dal gigante Warner), è apparso scettico sulla creazione di una licenza globale: “Un sistema del genere, che garantisca la giusta remunerazione agli aventi diritto, richiederebbe un calcolo preciso di quanto quell’opera circoli e ciò è possibile solo con un controllo serrato della Rete. Altrimenti bisognerebbe pagare a forfait (più sei conosciuto più ti pago), rompendo quel legame virtuoso tra la fruizione dell’opera e l’autore, a danno soprattutto delle piccole produzioni e degli artisti emergenti”.
Una legge già vecchia? Secondo l’associazione per la lotta alla pirateria audiovisuale Alpa nel 2008 sarebbero stati 450.000 gli scambi illegali quotidiani di film tradotti in lingua francese. In Francia le prime cento e più importanti produzioni cinematografiche nazionali e internazionali costituiscono il 90% dello scaricamento illegale. La domanda supera di gran lunga l’offerta di scambio: i server del peer to peer sono regolarmente saturi e soddisfano solo il 40% delle richieste. Bienvenue chez les Ch’tis (nella traduzione italiana Giù al Nord), commedia autoctona francese che ha riscosso un ottimo successo, è apparso sulla rete appena quattro giorni dopo la sua uscita nelle sale cinematografiche, battendo ogni record con una media di 9.800 scaricamenti al giorno. D’altra parte basta provare a digitare il titolo del film sul principale motore di ricerca, Google, per trovare indicizzati migliaia di indirizzi utili per scaricare gratuitamente il film come Torrent o se si vuole guardarlo al momento ci sono altrettante migliaia di soluzioni in streaming…
I detrattori della Hadopi fanno notare anche il vuoto legislativo più grande che concerne proprio lo streaming, ovvero la diffusione in diretta spesso non autorizzata di film o la riproduzione di interi album musicali. Se i grandi portali come Youtube o Dailymotion cercare di limitare la pubblicazione illegale di video, si moltiplicano i siti in cui è possibile guardare film o ascoltare musica live. Il diritto francese prevede che quando si venisse a conoscenza della riproduzione illegale di un film su un certo sito, se ne può chiedere e ottenere la rimozione immediata o l’oscuramento. Mentre coloro che hanno usufruito del servizio non possono essere puniti, ma può essere solo identificato il loro Ip. Hadopi potrebbe essere applicata quindi solo al peer to peer, quando studi recenti dimostrano come stia segnando il passo rispetto all’avanzare dello streaming: per esempio in Germania dal 14% del 2007 si è già passati al 26% del 2008, mentre il peer to peer è sceso dal 70% al 52%.
Coniugare Internet e il rispetto della produzione artistica. Andando oltre gli interessi delle parti in causa l’imperativo resta da una parte quello di garantire proprio grazie a Internet un’ampia offerta culturale a prezzi equi e dall’altra correggere una cultura della gratuità che affonda maggiormente le etichette indipendenti, mentre le major continuano a macinare soldi puntando sui soliti grandi nomi.
Addossare le responsabilità della crisi del settore, in questo caso quello musicale, solo allo scaricamento illegale di musica è senz’altro miope (vedi tabella in basso). Partendo da un’analisi della ripartizione degli introiti dell’industria discografica si nota come il diritto d’autore e il compenso dell’artista siano sproporzionati rispetto a quello del management. Gli artisti emergenti guadagnano il 10% del prezzo di copertina, mentre i loro colleghi più famosi il 25%. Il 9% del prezzo del cd va per i diritti d’autore, tra il 30 e il 35% alla distribuzione, mentre il 10% nei costi di produzione. Il restante si spartisce nel profitto del produttore, a cui vanno sottratti i costi fissi (il pagamento degli addetti ai lavori, con una spesa complessiva tra i 60 e 100mila euro per la produzione dell’album di un esordiente). Per giungere in pareggio economico occorre raggiungere generalmente tra le 40 e le 50mila copie vendute.
D’altra parte occorre anche riconoscere come siano i calati negli ultimi tempi i prezzi del prodotto musicale, anche grazie alla rete. Sulla piattaforma Itunes è ormai possibile acquistare a 9,99 euro un intero cd, che prima nei negozi si trovava sui canonici 20 euro. Negli stessi store musicali ora il costo dei cd è sceso sui 15-16 euro.Per vincere la battaglia della qualità della produzione culturale e della legalità è quindi necessario un incontro tra le parti, battendo sul campo della tecnologia e non nelle aule di tribunale il fenomeno della pirateria, con una maggiore offerta a prezzi sempre più competitivi.
Il frutto che era proibito raccogliere si trovava sull'Albero della Conoscenza. Il significato è che tutte le sofferenze sono dovute al tuo desiderio di capire com'è che vanno le cose. Saresti potuto rimanere nel Giardino dell'Eden se solo avessi tenuto chiusa la tua fottuta bocca e non avessi fatto alcuna domanda. Frank Zappa - Playboy, 2 maggio 1993
martedì 30 giugno 2009
venerdì 19 giugno 2009
Solo per giustizia, intervista a Raffaele Cantone
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=62768&sez=HOME_INITALIA&ssez=PRIMOPIANO
di Gabriele Santoro
ROMA (18 giugno) - Solo per giustizia (Mondadori, pag. 334, euro 17) è il viaggio con lo sguardo all’indietro nella esperienza di vita di Raffaele Cantone, magistrato impegnato per otto anni, fino al 2007, alla Dda di Napoli nel contrasto della camorra, in particolare del clan dei Casalesi.
Un’azione che lo ha messo nel mirino dei boss, più volte minacciato di morte e la scoperta di un progetto di attentato ai suoi danni, e che lo costringe a un regime di protezione dal 2003. La storia di un magistrato dai toni pacati e dai modi gentili, ma con la determinazione ferrea di chi continua a dedicare le proprie energie alla diffusione della cultura della legalità e di quella personale, semplice passione per la giustizia che ha da sempre contraddistinto la sua attività. Un esempio del suo impegno sono le numerose visite nelle scuole per raccontare il vero volto della camorra. Il primo incontro con Raffaele Cantone è avvenuto proprio in una scuola romana, l’I.I.S.S.Leon B. Alberti, «perché come ricordavano Falcone e Borsellino la sola attività giudiziaria non sarebbe mai bastata per distruggere il fenomeno mafioso. Bisognava altrettanto adoperarsi affinché nascesse una coscienza civile capace di affrancarsene».
Il suo libro parte dall’ultima giornata di lavoro nell’ufficio della Procura di Napoli. Quanto le manca il lavoro di contrasto quotidiano alla camorra?
«Mi manca davvero tanto, perché era un lavoro molto stimolante e gratificante. Credo però che sia giusto, dopo un certo periodo, un fisiologico ricambio. L’esperienza in Cassazione (presso l’Ufficio del Massimario, ndr) per me è ugualmente interessante, mi metto a studiare e a fare una serie di cose che nell’attività della procura erano diventate difficili.
Falcone disse “In Italia ci vorrebbe un morto ammazzato eccellente all’anno per far stare il Paese dalla parte della legalità”». Lei si è sentito solo in questi anni e cosa le manca della sua vita di prima?
«L’attenzione mediatica su certi fenomeni è fondamentale, purtroppo si accende solo nei momenti di emergenza, una volta passata ci si dimentica un po’ di tutto. Nella mia esperienza non mi sono mai sentito abbandonato, sarebbe ingiusto dirlo. Lo Stato ha cercato sempre di tutelarmi con anni di scorta. Questo non significa che non ci si senta soli, soprattutto nei momenti delle decisioni più difficili. Mi manca la quotidianità della vita delle persone normali, una semplice passeggiata o la possibilità di muovermi in autonomia con la mia famiglia. Ecco questo è il peso più difficile da sopportare con tutte le limitazioni nella vita con i miei figli e i familiari più stretti».
Il clan dei Casalesi ha subito forti colpi grazie all’azione giudiziaria e delle forze dell’ordine. Quanto sono ancora potenti e pericolosi? Dopo il summit dei capiclan camorristici a Montecarlo, in che direzione si sta muovendo la camorra?
«Credo che il clan dei Casalesi, malgrado i colpi durissimi che ha ricevuto, sia ancora molto forte. Con l’arresto di Setola è stata sicuramente smantellata la cellula stragista, l’ala militare del gruppo, ma la sua struttura imprenditoriale è ancora in piedi. I due latitanti storici Zagaria e Iovine sono ancora in libertà, come loro ci sono in circolazione altri latitanti minori ma comunque pericolosi. Hanno una forte capacità di imporsi anche al di fuori della realtà casertana, sono ramificati nel centro-nord del Paese e all’estero. L’idea che continuo ad avere, anche se non mi occupo più direttamente delle indagini, è che la camorra non abbia una direzione strategica unitaria. Ogni tanto c’è qualcuno che cerca su singoli affari di creare meccanismi di cartello, ma i clan sono molto gelosi delle loro autonomie e da Cutolo in poi tutti quelli che hanno provato a riunire la camorra hanno fallito».
In questi giorni si è riacceso lo scontro dopo l’approvazione del ddl intercettazioni alla Camera. Come incide il disegno di legge sul contrasto alla criminalità organizzata?
«Formalmente il disegno legge non cambia nulla in materia di intercettazioni per la criminalità organizzata. Le limitazioni previste per i reati non collegati alla mafia tuttavia peseranno indirettamente e negativamente. L’esperienza dimostra che molti processi nati da indagini su singoli omicidi o estorsioni, in un secondo momento si sono trasformati o collegati a scenari più ampi che riguardavano il crimine organizzato. Un altro aspetto non abbastanza valutato è l’appesantimento delle procedure. In questo c’è una norma pericolosa che prevede la necessità di trasmettere al giudice, quando si chiede l’intercettazione, tutti gli atti d’indagine compiuti. Una quantità incredibile di atti che produrrà un forte rallentamento dell’azione giudiziaria».
A oggi il sequestro e la confisca dei beni mafiosi procede molto a rilento. Quanto sarebbe utile un’agenzia centrale per il loro coordinamento?
«In primo luogo sarebbe indispensabile semplificare le procedure, attendiamo da tempo l’emanazione di un testo unico maggiormente organico. La normativa è comunque troppo farraginosa, i tempi tra il sequestro e la confisca sono lunghissimi. L’agenzia sarebbe importante per evitare che l’attività più delicata, che è quella di liberare i beni, pesi interamente sulle spalle degli enti locali. Inoltre si potrebbe occupare dell’individuazione dei beni strategici e della loro ristrutturazione. Un tema fondamentale è quello delle aziende confiscate, dove serve più coraggio. Lo Stato non può permettersi di farle fallire, arrecando un danno alle realtà locali e d’immagine di fronte a una mafia che invece dà lavoro. Si dovrebbe cominciare dal garantire delle sospensioni o delle riduzioni d’imposta e una serie di benefici che consentano a queste imprese di operare».
Solo per giustizia racconta molte storie di italiani normali, come era Federico Del Prete, ma straordinarie per il loro impegno in una terra dove i diritti individuali diventano concessioni. Mentre a Napoli abbiamo visto l’altra faccia del Paese, tramortita dalla paura e dall’agghiacciante omertà anche di fronte all’omicidio di un innocente come Petru.
«Del Prete non aveva nessuno dei caratteri tipici dell’eroe antimafia. Credeva semplicemente che facendo il sindacalista bisognasse andare fino in fondo nella tutela di certi diritti. Non tollerava che nel suo mestiere di venditore ambulante a Casal di Principe, pieno già di difficoltà, si dovessero subire le vessazioni quotidiane della camorra. Grazie alla sua collaborazione furono individuati i luoghi in cui venivano raccolte le estorsioni, permettendo alla magistratura e alle forze dell’ordine la conoscenza e la repressione del fenomeno. Nel suo gesto da semplice cittadino c’era una carica rivoluzionaria, fortemente temuta dalla camorra. Vedendo il video di quella morte tremendamente casuale sono rimasto anch’io agghiacciato e commosso per il dolore della sua giovane compagna. Cittadini che passano indifferenti. Vince la paura di essere coinvolti in successive sparatorie, la paura di essere coinvolti nell’attività delle indagini nel clima di omertà che avvolge Napoli».
Visto il successo dei magistrati che scendono in politica, ha mai pensato al grande salto?
«La ragione del successo penso che risieda nella fiducia, nell’idea che la magistratura resti un punto di riferimento credibile. Non ci ho mai pensato seriamente, perché amo il mio lavoro in magistratura. Il magistrato che entra in politica ha senso solo se ha un progetto, altrimenti si tratta di un momento di sistemazione personale inutile e fine a se stesso».
di Gabriele Santoro
ROMA (18 giugno) - Solo per giustizia (Mondadori, pag. 334, euro 17) è il viaggio con lo sguardo all’indietro nella esperienza di vita di Raffaele Cantone, magistrato impegnato per otto anni, fino al 2007, alla Dda di Napoli nel contrasto della camorra, in particolare del clan dei Casalesi.
Un’azione che lo ha messo nel mirino dei boss, più volte minacciato di morte e la scoperta di un progetto di attentato ai suoi danni, e che lo costringe a un regime di protezione dal 2003. La storia di un magistrato dai toni pacati e dai modi gentili, ma con la determinazione ferrea di chi continua a dedicare le proprie energie alla diffusione della cultura della legalità e di quella personale, semplice passione per la giustizia che ha da sempre contraddistinto la sua attività. Un esempio del suo impegno sono le numerose visite nelle scuole per raccontare il vero volto della camorra. Il primo incontro con Raffaele Cantone è avvenuto proprio in una scuola romana, l’I.I.S.S.Leon B. Alberti, «perché come ricordavano Falcone e Borsellino la sola attività giudiziaria non sarebbe mai bastata per distruggere il fenomeno mafioso. Bisognava altrettanto adoperarsi affinché nascesse una coscienza civile capace di affrancarsene».
Il suo libro parte dall’ultima giornata di lavoro nell’ufficio della Procura di Napoli. Quanto le manca il lavoro di contrasto quotidiano alla camorra?
«Mi manca davvero tanto, perché era un lavoro molto stimolante e gratificante. Credo però che sia giusto, dopo un certo periodo, un fisiologico ricambio. L’esperienza in Cassazione (presso l’Ufficio del Massimario, ndr) per me è ugualmente interessante, mi metto a studiare e a fare una serie di cose che nell’attività della procura erano diventate difficili.
Falcone disse “In Italia ci vorrebbe un morto ammazzato eccellente all’anno per far stare il Paese dalla parte della legalità”». Lei si è sentito solo in questi anni e cosa le manca della sua vita di prima?
«L’attenzione mediatica su certi fenomeni è fondamentale, purtroppo si accende solo nei momenti di emergenza, una volta passata ci si dimentica un po’ di tutto. Nella mia esperienza non mi sono mai sentito abbandonato, sarebbe ingiusto dirlo. Lo Stato ha cercato sempre di tutelarmi con anni di scorta. Questo non significa che non ci si senta soli, soprattutto nei momenti delle decisioni più difficili. Mi manca la quotidianità della vita delle persone normali, una semplice passeggiata o la possibilità di muovermi in autonomia con la mia famiglia. Ecco questo è il peso più difficile da sopportare con tutte le limitazioni nella vita con i miei figli e i familiari più stretti».
Il clan dei Casalesi ha subito forti colpi grazie all’azione giudiziaria e delle forze dell’ordine. Quanto sono ancora potenti e pericolosi? Dopo il summit dei capiclan camorristici a Montecarlo, in che direzione si sta muovendo la camorra?
«Credo che il clan dei Casalesi, malgrado i colpi durissimi che ha ricevuto, sia ancora molto forte. Con l’arresto di Setola è stata sicuramente smantellata la cellula stragista, l’ala militare del gruppo, ma la sua struttura imprenditoriale è ancora in piedi. I due latitanti storici Zagaria e Iovine sono ancora in libertà, come loro ci sono in circolazione altri latitanti minori ma comunque pericolosi. Hanno una forte capacità di imporsi anche al di fuori della realtà casertana, sono ramificati nel centro-nord del Paese e all’estero. L’idea che continuo ad avere, anche se non mi occupo più direttamente delle indagini, è che la camorra non abbia una direzione strategica unitaria. Ogni tanto c’è qualcuno che cerca su singoli affari di creare meccanismi di cartello, ma i clan sono molto gelosi delle loro autonomie e da Cutolo in poi tutti quelli che hanno provato a riunire la camorra hanno fallito».
In questi giorni si è riacceso lo scontro dopo l’approvazione del ddl intercettazioni alla Camera. Come incide il disegno di legge sul contrasto alla criminalità organizzata?
«Formalmente il disegno legge non cambia nulla in materia di intercettazioni per la criminalità organizzata. Le limitazioni previste per i reati non collegati alla mafia tuttavia peseranno indirettamente e negativamente. L’esperienza dimostra che molti processi nati da indagini su singoli omicidi o estorsioni, in un secondo momento si sono trasformati o collegati a scenari più ampi che riguardavano il crimine organizzato. Un altro aspetto non abbastanza valutato è l’appesantimento delle procedure. In questo c’è una norma pericolosa che prevede la necessità di trasmettere al giudice, quando si chiede l’intercettazione, tutti gli atti d’indagine compiuti. Una quantità incredibile di atti che produrrà un forte rallentamento dell’azione giudiziaria».
A oggi il sequestro e la confisca dei beni mafiosi procede molto a rilento. Quanto sarebbe utile un’agenzia centrale per il loro coordinamento?
«In primo luogo sarebbe indispensabile semplificare le procedure, attendiamo da tempo l’emanazione di un testo unico maggiormente organico. La normativa è comunque troppo farraginosa, i tempi tra il sequestro e la confisca sono lunghissimi. L’agenzia sarebbe importante per evitare che l’attività più delicata, che è quella di liberare i beni, pesi interamente sulle spalle degli enti locali. Inoltre si potrebbe occupare dell’individuazione dei beni strategici e della loro ristrutturazione. Un tema fondamentale è quello delle aziende confiscate, dove serve più coraggio. Lo Stato non può permettersi di farle fallire, arrecando un danno alle realtà locali e d’immagine di fronte a una mafia che invece dà lavoro. Si dovrebbe cominciare dal garantire delle sospensioni o delle riduzioni d’imposta e una serie di benefici che consentano a queste imprese di operare».
Solo per giustizia racconta molte storie di italiani normali, come era Federico Del Prete, ma straordinarie per il loro impegno in una terra dove i diritti individuali diventano concessioni. Mentre a Napoli abbiamo visto l’altra faccia del Paese, tramortita dalla paura e dall’agghiacciante omertà anche di fronte all’omicidio di un innocente come Petru.
«Del Prete non aveva nessuno dei caratteri tipici dell’eroe antimafia. Credeva semplicemente che facendo il sindacalista bisognasse andare fino in fondo nella tutela di certi diritti. Non tollerava che nel suo mestiere di venditore ambulante a Casal di Principe, pieno già di difficoltà, si dovessero subire le vessazioni quotidiane della camorra. Grazie alla sua collaborazione furono individuati i luoghi in cui venivano raccolte le estorsioni, permettendo alla magistratura e alle forze dell’ordine la conoscenza e la repressione del fenomeno. Nel suo gesto da semplice cittadino c’era una carica rivoluzionaria, fortemente temuta dalla camorra. Vedendo il video di quella morte tremendamente casuale sono rimasto anch’io agghiacciato e commosso per il dolore della sua giovane compagna. Cittadini che passano indifferenti. Vince la paura di essere coinvolti in successive sparatorie, la paura di essere coinvolti nell’attività delle indagini nel clima di omertà che avvolge Napoli».
Visto il successo dei magistrati che scendono in politica, ha mai pensato al grande salto?
«La ragione del successo penso che risieda nella fiducia, nell’idea che la magistratura resti un punto di riferimento credibile. Non ci ho mai pensato seriamente, perché amo il mio lavoro in magistratura. Il magistrato che entra in politica ha senso solo se ha un progetto, altrimenti si tratta di un momento di sistemazione personale inutile e fine a se stesso».
lunedì 15 giugno 2009
Kobe Bryant trascina i Lakers che tornano sul trono Nba
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=62167&sez=HOME_SPORT
di Gabriele Santoro
ROMA (15 giugno) – Dopo un digiuno lungo sette stagioni i Los Angeles Lakers tornano sul trono della Nba. E’ una notte da record per i gialloviola: coach Phil Jackson entra definitivamente nell’Olimpo del basket conquistando il decimo anello della sua straordinaria carriera (battuto anche il record detenuto da Red Auerbach allenatore dell’epoca d’oro dei Celtics), Kobe Bryant sfata la maledizione che lo vedeva a zero titoli dopo la separazione da Shaquille O’Neal e i Lakers festeggiano il 15 della loro storia. Mentre Kobe veniva lanciato in aria dai suoi compagni facendo con la mano il segno 4, come i titoli vinti in carriera, Phil Jackson ha commentato sorridente e sornione come d’abitudine: «Stanotte fumerò un sigaro in onore di Red».
Gli Orlando Magic, dopo aver sprecato troppe occasioni nelle partite precedenti, non danno mai la sensazione di crederci e cedono, 99-86, davanti alla voglia matta di trionfare dei losangelini, che chiudono così la serie finale con un perentorio 4-1. Kobe Bryant, 30 punti (10/23 al tiro) con 6 assist e cinque rimbalzi, si gode anche il titolo di miglior giocatore delle finali 2009, dopo aver digerito l’assegnazione dell’mvp stagionale a Lebron James. Tempo di rivincite quindi per il “black mamba”, che ha trovato in Pau Gasol l’alter ego del centro dominante, l’O’Neal dei primi anni 2000, in grado di riformare l’asse vincente per riportare il titolo nella città californiana. Decisivo anche l’apporto della sorpresa stagionale, Trevor Ariza, e del vecchietto terribile Derek Fisher mattatore di gara 4 con le due triple che hanno ipotecato questa serie. Una squadra che ha ancora dei margini di miglioramento, a partire dallo sgrezzamento tecnico e tattico del centro Bynum, mentre dovrà pescare sul mercato delle alternative più credibili in regia.
Orlando esce sconfitta, ma non ridimensionata, e con molti rimpianti. La squadra di Van Gundy come Penelope ha disfatto la propria tela più volte, regalando due tempi supplementari nelle partite chiave della serie, gara2 a Los Angeles e gara4 in casa. La forza fisica di Dwight Howard e la leadership di Hedo Turkoglu, probabile uomo mercato a cui Orlando dovrà rimpolpare l’ingaggio per tenerlo, non sono bastati davanti alla maggiore esperienza dei gialloviola, ma sono un ottimo punto da dove ripartire. Nel confronto ha pesato molto anche il differente pedigree tra i due allenatori, con Van Gundy all’esordio assoluto in una finale play-off.
La partita. L’intensità difensiva del primo quarto non è da gara decisiva, si segna molto e le due squadre vanno a braccetto, con Orlando brava a rispondere al primo tentativo di allungo di Los Angeles, 19-10 al 6’. Il primo periodo si chiude sul 28-26 Lakers. Nel secondo quarto una palla recuperata da Bryant e la tripla successiva di uno splendido Trevor Ariza spezzano l’inerzia dell’incontro. In tre minuti la squadra di Phil Jackson piazza un break decisivo di 12-0, con 8 punti di Ariza, mentre Orlando si smarrisce con 4 perse consecutive. Si va al riposo lungo sul +10 gialloviola, 56-46. Al rientro in campo Courtney Lee e Alston accennano una minima reazione che riporta Orlando in linea di galleggiamento, 58-53. Ma i Lakers non hanno nessuna intenzione di farsi rovinare la festa. Due triple consecutive di Lamar Odom rimettono la sfida sui binari giusti e con un letale 13-2 annusa già l’aria da trionfo. Un Pau Gasol tutto sostanza, bravo a vincere il duello sotto canestro con Superman Howard, segna i due punti del massimo vantaggio interno: 73-57 al 33’. Nell’ultimo periodo non c’è storia con i Lakers che amministrano bene il vantaggio, mai sceso sotto la doppia cifra, fino al 99-86 della sirena finale.
di Gabriele Santoro
ROMA (15 giugno) – Dopo un digiuno lungo sette stagioni i Los Angeles Lakers tornano sul trono della Nba. E’ una notte da record per i gialloviola: coach Phil Jackson entra definitivamente nell’Olimpo del basket conquistando il decimo anello della sua straordinaria carriera (battuto anche il record detenuto da Red Auerbach allenatore dell’epoca d’oro dei Celtics), Kobe Bryant sfata la maledizione che lo vedeva a zero titoli dopo la separazione da Shaquille O’Neal e i Lakers festeggiano il 15 della loro storia. Mentre Kobe veniva lanciato in aria dai suoi compagni facendo con la mano il segno 4, come i titoli vinti in carriera, Phil Jackson ha commentato sorridente e sornione come d’abitudine: «Stanotte fumerò un sigaro in onore di Red».
Gli Orlando Magic, dopo aver sprecato troppe occasioni nelle partite precedenti, non danno mai la sensazione di crederci e cedono, 99-86, davanti alla voglia matta di trionfare dei losangelini, che chiudono così la serie finale con un perentorio 4-1. Kobe Bryant, 30 punti (10/23 al tiro) con 6 assist e cinque rimbalzi, si gode anche il titolo di miglior giocatore delle finali 2009, dopo aver digerito l’assegnazione dell’mvp stagionale a Lebron James. Tempo di rivincite quindi per il “black mamba”, che ha trovato in Pau Gasol l’alter ego del centro dominante, l’O’Neal dei primi anni 2000, in grado di riformare l’asse vincente per riportare il titolo nella città californiana. Decisivo anche l’apporto della sorpresa stagionale, Trevor Ariza, e del vecchietto terribile Derek Fisher mattatore di gara 4 con le due triple che hanno ipotecato questa serie. Una squadra che ha ancora dei margini di miglioramento, a partire dallo sgrezzamento tecnico e tattico del centro Bynum, mentre dovrà pescare sul mercato delle alternative più credibili in regia.
Orlando esce sconfitta, ma non ridimensionata, e con molti rimpianti. La squadra di Van Gundy come Penelope ha disfatto la propria tela più volte, regalando due tempi supplementari nelle partite chiave della serie, gara2 a Los Angeles e gara4 in casa. La forza fisica di Dwight Howard e la leadership di Hedo Turkoglu, probabile uomo mercato a cui Orlando dovrà rimpolpare l’ingaggio per tenerlo, non sono bastati davanti alla maggiore esperienza dei gialloviola, ma sono un ottimo punto da dove ripartire. Nel confronto ha pesato molto anche il differente pedigree tra i due allenatori, con Van Gundy all’esordio assoluto in una finale play-off.
La partita. L’intensità difensiva del primo quarto non è da gara decisiva, si segna molto e le due squadre vanno a braccetto, con Orlando brava a rispondere al primo tentativo di allungo di Los Angeles, 19-10 al 6’. Il primo periodo si chiude sul 28-26 Lakers. Nel secondo quarto una palla recuperata da Bryant e la tripla successiva di uno splendido Trevor Ariza spezzano l’inerzia dell’incontro. In tre minuti la squadra di Phil Jackson piazza un break decisivo di 12-0, con 8 punti di Ariza, mentre Orlando si smarrisce con 4 perse consecutive. Si va al riposo lungo sul +10 gialloviola, 56-46. Al rientro in campo Courtney Lee e Alston accennano una minima reazione che riporta Orlando in linea di galleggiamento, 58-53. Ma i Lakers non hanno nessuna intenzione di farsi rovinare la festa. Due triple consecutive di Lamar Odom rimettono la sfida sui binari giusti e con un letale 13-2 annusa già l’aria da trionfo. Un Pau Gasol tutto sostanza, bravo a vincere il duello sotto canestro con Superman Howard, segna i due punti del massimo vantaggio interno: 73-57 al 33’. Nell’ultimo periodo non c’è storia con i Lakers che amministrano bene il vantaggio, mai sceso sotto la doppia cifra, fino al 99-86 della sirena finale.
Iscriviti a:
Post (Atom)