sabato 20 luglio 2013

Jerusalmy: Salvare Mozart per il riscatto della cultura contro il nazismo

Il Messaggero, sezione Cultura pag. 27,
20 luglio 2013

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro


Per il critico musicale Otto J. Steiner il mondo è una nota dissonante. Estate 1939, l’Austria dell’Anschluss asseconda i deliri della Germania hitleriana. Un uomo solo, segnato dalla tubercolosi, trascorre i propri giorni in un sanatorio di Salisburgo e annota in un diario i frammenti di una realtà dove tutto sembra perduto. Con Salvare Mozart (edizioni e/o, 14 euro, 120 pagine) Raphaël Jerusalmy, che martedì alle 19 sarà ospite del Festival della letteratura e cultura ebraica a Roma, disegna la ribellione di un’anima libera che, dopo aver sfiorato l’idea dell’eliminazione fisica del Führer, architetta un attentato musicale. Senza grasso, né muscoli, la musica resta la sua ultima ancora: «Questa ingerenza dei nazisti nel programma del Festspiele è inammissibile. Prendere Mozart in ostaggio. Ma non c'è nessuno che impedisca un tale affronto? Dobbiamo mettere fine a questa pagliacciata. Bisogna salvarlo».

Jerusalmy, l’atto simbolico di resistenza di Steiner ha una portata rivoluzionaria. In che modo restituisce calore alle anime ferite dal nazismo?

«La scelta fondamentale di Steiner è la non violenza. Compie un gesto sganciato da qualsiasi partigianeria ideologica: salvare Mozart, e con lui la dignità umana. L’eroe più fragile e improbabile, tagliato fuori dal mondo, lotta in un teatro dell’assurdo. Affermando che dentro di noi c’è la salvezza: quella forza invincibile costituita dal rifiuto viscerale dell’ingiustizia».


Il protagonista esprime una critica ironica e feroce all’asservimento pavido o convinto di intellettuali, musicisti e direttori d’orchestra, funzionali alla costruzione dell'egemonia culturale del Terzo Reich.
«L’umorismo raggelante e i non detti del diario di Steiner mi hanno permesso di rifuggire i cliché. Di creare l’emozione senza imporla. Di essere sovversivo senza scioccare. La cultura ha valore quando è contestazione, quando mette in discussione. Altrimenti si vota a mero strumento del potere. Questa vicenda emana una fede estrema nella vita, che anche nella crisi attuale appare anticonformista. Si crea un’empatia nel gioco tra musica e malattia, in cui la piccola storia individuale avversa il corso dei grandi eventi».

Lei ci dice che salvaguardare la bellezza rappresenta la riscossa più profonda. Un vecchio canto yiddish può ridicolizzare la presunta cultura di un’ideologia?

«La pretesa culturale dei nazisti non ha fatto altro che amplificare la barbarie del regime. La dittatura ha avuto come sottofondo musica, inni, marce; perfino concerti dentro ai campi di sterminio. Occorreva ripulire la musica da questa terribile complicità. La canzone yiddish oggi potrebbe essere un brano rap che risuona dai nostri ghetti urbani. La musica sublima il dolore. Simboleggia la voce che nessun oppressore può far tacere. Otto ci libera anche dalla dittatura del linguaggio e delle parole usurpate».

«Non del tutto ebreo, non proprio ateo, mezzo austriaco». Perché ha scelto di proporre la questione complessa, e tuttora fondamentale per il futuro dello Stato d'Israele, dell’identità del popolo ebraico?

«Il mio protagonista non doveva essere forzatamente un ebreo. Ho esitato prima di scegliere la sua identità così composita. Israele predica un’identità che ancora ricerca e divide. Spero che questa ricerca duri ancora a lungo. E non ci si accontenti di una soluzione artificiosa».


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Roberto Saviano apre con il monologo "Il ghetto sul Tevere" il Festival della cultura ebraica

Il Messaggero, sezione Tutta Roma Agenda pag. 56,
19 luglio 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro


IL PROGRAMMA
Il Festival Internazionale di letteratura e cultura ebraica festeggia il sesto compleanno, proponendo da domani a giovedì una rassegna di incontri letterari, proiezioni di film, concerti, mostre e visite guidate. Una manifestazione a ingresso gratuito, curata da Raffaella Spizzichino Ariela Piattelli e Shulim Vogelmann, nel cuore del vecchio ghetto demolito, tra il Teatro Marcello e largo Arenula, che domani si aprirà con la Notte della Cabbalà.

LA CABBALÀ

Una serata immaginata in tre tempi, che come nelle precedenti edizioni promette di attrarre un grande pubblico. Si comincia alle 22 presso i giardini del Tempio Maggiore con il dialogo, dal titolo La stella di David, storia di un simbolo, tra il filosofo Saverio Campanini e Roberto Della Rocca. Poi, alle 22.30, l’appuntamento centrale al Palazzo della cultura. Roberto Saviano interpreterà un proprio monologo inedito, Il ghetto sul Tevere, nel quale ripercorrerà la storia della presenza ebraica a Roma accompagnato dalle musiche di Raiz e i Radicanto. Chiuderà Yarona Pinhas, scrittrice e studiosa di mistica ebraica che si occupa di Cabbalà, con una lezione sulla forza e il significato della preghiera. E dalle 22 alle due saranno visitabili il Museo ebraico e la sinagoga, con la mostra fotografica Survivor: Primo Levi nei ritratti di Larry Rivers.

«Saviano ha accolto subito il nostro invito - spiega Ariela Piattelli -. Lo abbiamo portato nei luoghi che saranno animati dal festival e ha conosciuto le persone che li vivono quotidianamente. In questa occasione, ispirandoci alla straordinaria notte bianca di Tel Aviv, si intersecano vari percorsi artistici. L'intento è di far conoscere alcune delle novità più interessanti della realtà culturale israeliana». Un ponte che quindi unirà idealmente Roma e Israele con la presenza tra gli altri dell'emergente scrittore Assaf Gavron e della nota vignettista del New York Times Rutu Modan. Il primo, martedì alle 21 presso il Palazzo della cultura, presenterà il proprio bestseller Idromania, che disegna lo scenario sociale oscuro di un futuro dove l’acqua sarà in mano a poche multinazionali e lo sviluppo tecnologico sfalderà i rapporti umani. Mentre mercoledì Modan, autrice di graphic novel di successo, parlerà con il giornalista e fumettista Luca Raffaelli del suo ultimo lavoro La proprietà.

CINEMA

Spazio anche al cinema sugli schermi all’Isola Tiberina: lunedì sera, dopo l’incontro con il Capo Rabbino della comunità di Roma Riccardo Di Segni, saranno proiettati il documentario La buona stella di Sergio Basso e la pellicola Il figlio dell’altra. I giardini del Tempio Maggiore ospiteranno la chiusura del festival con due repliche di Se questo è un uomo di e con Maria Rosaria Omaggio, coreografie di Mario Piazza, musica di Luis Bacalov. «Ci aspettiamo grande partecipazione per la qualità del programma - afferma Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma». Aggiunge il neo-assessore alla Cultura, Flavia Barca: «Qui comincia un percorso di ascolto e lavoro con la comunità».



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domenica 14 luglio 2013

La lotta di Don Peppe Diana arriva in televisione: Alessandro Preziosi interpreterà il sacerdote casalese nella fiction Rai

 Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 24,
14 luglio 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro 


CASAL DI PRINCIPE – «Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro produca frutti di sincera conversione e operosa concordia, di solidarietà e pace». Le parole pronunciate da Giovanni Paolo II all’indomani dell’omicidio di Don Peppe Diana non sono rimaste lettera vana. Tra mille resistenze, assenze e reticenze stanno germogliando i semi di giustizia e speranza da lui piantati. La voce vibrante del parroco, ucciso il 19 marzo 1994 dalla camorra, scuote ancora i vicoli stretti di Casal di Principe. E il prossimo marzo arriverà in televisione.

Nel giorno in cui avrebbe compiuto cinquantacinque anni,
il regista Antonio Frazzi e il produttore Giannandrea Pecorelli di Aurora film hanno annunciato la fiction (due puntate da 100’, a settembre cominceranno le riprese) targata Raiuno che racconterà al grande pubblico la lotta per il riscatto della propria terra del sacerdote casalese, interpretato da Alessandro Preziosi. «All’inizio, quando mi è stata proposta la parte, ho detto no - spiega l’attore napoletano -. Impersonare un simbolo dei nostri tempi è impresa delicata. Poi sono entrato nella sua vita. Mi ha colpito la sua dedizione al vangelo e il modo rivoluzionario di essere prete, fino alla morte per il suo popolo e in fondo per tutti noi. Non vedo l’ora di iniziare a girare e incontrare le persone che hanno condiviso la sua strada».

Il progetto vede la luce con l'assenso della famiglia Diana
e il contributo del Comitato Don Diana, che ha collaborato nella fase di stesura della sceneggiatura. «Non saremo didascalici - sottolinea Pecorelli -, bensì trasmetteremo l’intensità dell’esistenza di uno studioso, uomo di fede, che ha lasciato il mondo un posto migliore di quanto lo trovò. La gestazione è stata complessa. Lo presentammo già cinque anni fa in Rai. Nell’ultimo periodo è tornata la volontà di raccontare l’Italia dell’impegno civile».

Nel film riecheggerà la ribellione
di un uomo di Chiesa che saldava la terra al cielo; l’annuncio evangelico alla denuncia incarnata dal testo guida Per Amore del mio popolo non tacerò, mentre i clan spadroneggiavano. «La camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura per imporre le sue leggi inaccettabili. È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l'infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. Ai preti, pastori nostri fratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie e in tutte quelle occasioni in cui si richieda alla Chiesa una testimonianza coraggiosa che non rinunci al suo ruolo profetico».

I quattro colpi di pistola
commissionati dal boss Nunzio De Falco hanno prodotto un’assunzione di responsabilità di una minoranza attiva: l’onestà non basta se rimane nascosta. L'intento dell'opera è di rappresentare il modello di partecipazione ed economia sociale, fondato sul riutilizzo dei beni sottratti alla criminalità organizzata, che in territori avvelenati dalle mafie sta cercando di affermarsi nello spirito di Don Diana.

sabato 6 luglio 2013

Creatività e rifiuto, Zadie Smith

Testo inedito di Zadie Smith, traduzione di Silvia Pareschi


Q
uesta sera mi hanno chiesto di parlarvi di “creatività”. È una di quelle parole ambigue che piacciono agli organizzatori di eventi letterari, e confesso di averla fissata a lungo senza riuscire a prendere il via. Un’altra parola dello stesso tipo è “identità”. Il nostro bisogno di questi vocaboli dev’essere autentico, vista la frequenza con cui li usiamo, eppure ormai si sono consumati, come un vecchio paio di scarpe che lasciano entrare più di quello che tengono fuori. La parola “creatività” ha avuto un declino particolarmente lungo.

Il critico marxista Raymond Williams ne traccia l’involuzione nel suo dizionario della cultura moderna, Nuove parole chiave. Williams racconta che la “creazione” nasce come prerogativa degli dei (come nella massima di Agostino “creatura non potest creare”: la creatura creata non può a sua volta creare), e da quella vetta decade, nel Sedicesimo secolo, a sinonimo di “falso” o “imitazione”. “O sei soltanto” chiede Macbeth, “un pugnale della mente, / Una creazione falsa che nasce dal cervello / Oppresso dalla febbre?” Per gli elisabettiani, tutto ciò che era “naturale” rappresentava la verità. Tutto ciò che era creato dalla mente degli uomini risultava in un certo senso secondario, sospetto. Una leggera macchia di vergogna che durò a lungo, arrivando a sfiorare persino i romantici.

Ai giorni nostri, sostiene Williams, usiamo la parola “creatività” per nascondere a noi stessi il fatto che le arti non sono dominate da innovazione e originalità, bensì dalla “riproduzione ideologica ed egemonica”. In altri termini: ci piace pensare che le “arti creative” rappresentino una forma di ribellione contro l’andamento delle cose, mentre il più delle volte non fanno altro che rafforzare lo status quo. La parte più dolorosa arriva alla fine: “La difficoltà sorge quando una parola che un tempo era destinata, e spesso lo è tuttora, a rappresentare un concetto serio ed elevato, diventa convenzionale … Di conseguenza qualunque opera letteraria fasulla o stereotipata può essere chiamata, per convenzione, scrittura creativa, e gli autori di testi pubblicitari possono descriversi ufficialmente come creativi”... continua a leggere qui

martedì 2 luglio 2013

Crollano i consumi culturali degli italiani, Federculture: «È lo specchio della crisi del sistema»

Il Messaggero, sezione Cronaca di Roma pag. 39,
2 luglio 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

IL RAPPORTO
Dopo un decennio (2002-‘11) di crescita costante, anche i consumi (68.9 miliardi di euro) culturali delle famiglie italiane hanno registrato una caduta brusca: nell’ultimo anno il calo è stato del 4.4% (-8.2% il teatro, -7.3% cinema, -8.7% concerti, -10% musei statali). Nel quadro nazionale nebuloso, ritratto dal rapporto annuale di Federculture, non brilla neanche Roma (-13.3% il volume d’affari complessivo). Alla voce mostre e musei il Lazio, che è la regione in cui si concentra il maggior numero di visitatori, ha perso il 10% degli incassi (44 milioni). I dati, come a livello nazionale, sono negativi in tutti i settori della fruizione culturale: -13.8% teatro, -25% concerti musica classica, -13% spettacoli sportivi, -15.6% siti archeologici e -6.3% cinema.

La crisi sistemica,
secondo Federculture, si avvita nella mancanza delle risorse necessarie ad alimentare l’offerta e nell’assenza di politiche strategiche. «Oltre alle ristrettezze economiche del momento, le famiglie pagano il conto della cattiva programmazione - afferma Roberto Grossi, presidente di Federculture -. Non stimoliamo la domanda. Perché a esempio non si inserisce la detraibilità per le spese culturali o altri incentivi? Dobbiamo uscire dalla logica delle politiche dell’emergenza, coordinando le strategie tra Stato centrale e periferia. E occorre creare le condizioni affinché le aziende investano strutturalmente nel settore: in cinque anni le sponsorizzazioni sono calate del 42% (-9.6% nel 2012), così come l’apporto delle fondazioni bancarie (-35%)».

La Capitale non valorizza gli straordinari tesori
di cui dispone (l’intero centro storico è patrimonio Unesco) e arranca nel confronto mondiale con Londra, Parigi, Tokyo o New York. In un anno i primi cinque musei romani hanno totalizzato 3.6 milioni di visitatori contro gli oltre venticinque di Londra, i ventitre di Parigi e i quindici di New York. Stentano i nuovi poli dell’arte contemporanea con i cinquecentomila visitatori del Macro e del Maxxi, mentre si afferma il Palaexpo (+52%). Nessuna mostra romana figura nella lista di quelle di maggior successo sulla scena internazionale.

Nel 2012 i musei comunali hanno accolto circa un milione e mezzo di persone
con un calo del 6.3%. Una conferma dell’inversione di tendenza rispetto al passato: negli ultimi dieci anni il numero di visitatori dei musei civici era salito del 75%. Anche per quanto concerne l'attività teatrale Roma appare indietro: si svolgono circa 14mila spettacoli teatrali l'anno (2.2 milioni di ingressi) contro i 26.600 di Parigi (5,7 milioni) e i 43mila di New York (28 milioni di spettatori). Dal 2008 a oggi in Italia l’investimento pubblico è sceso di 1.3 miliardi di euro (-27% in dieci anni): siamo quasi il fanalino di coda in Europa. Il budget a disposizione del ministero competente francese è di 4 miliardi di euro, quello italiano si ferma a 1.5. La Grecia, che smantella la televisione pubblica, stanzia 50 euro a cittadino, noi 25.4. I vincoli stretti del patto di stabilità e i tagli hanno inibito anche le attività degli enti locali: dai Comuni (-11% in un anno) alle Regioni i finanziamenti per il settore sono praticamente bloccati. Nel quinquennio 2008-'12 a Roma l’investimento per la cultura è passato dal 3.95% al 2.2% del bilancio.

RUOLO INTERNAZIONALE

«Il dato è scioccante - dice il sindaco -. Dobbiamo restituire a Roma un ruolo internazionale, rilanciando la qualità e la quantità delle proposte. E trasformare i grandi spazi abbandonati al degrado in officine creative con un coinvolgimento di tutti i quartieri. È assurdo che Berlino attragga più turisti di noi: dobbiamo incrementare i flussi turistici con le loro percentuali (+65% dal 2002 contro il 7.8% romano) puntando sui beni culturali».