Il Messaggero, sezione Spettacoli pag. 27,
30 luglio 2014
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
Marcello Mastroianni spalancò le porte
del cinema alla musica dell'eclettico Gaslini. Un incontro, l'ascolto
di un disco regalato e il suggerimento dell'attore a Michelangelo
Antonioni. Il regista era alla ricerca di un compositore per La
notte, e rimase colpito da quella musica d'avanguardia. Dal
successo dell'opera, Orso d'oro a Berlino e Nastro d'argento,
cominciò una lunga storia: quarantadue colonne sonore all'attivo.
Tra i sodalizi del musicista milanese spicca quello con Dario Argento. «Non sapevo stesse male - dice Argento -. La sua morte è un colpo a ciel sereno e mi addolora. Anch'io fui conquistato dal primo ascolto. Sapeva inventare, e muoversi con agio su più fronti. Di solidissima formazione accademica, si aprì all'innovazione e alla diffusione della cultura musicale: voleva far arrivare a tutti la buona musica».
Come si è accesa la scintilla per il talento di Gaslini?
«Mi piaceva molto il suo modo di comporre. E allora mi sono avvicinato per conoscerlo. Ci siamo incontrati alcune volte a Roma. Ho assistito a un suo concerto; era generoso e impegnato, ne teneva tantissimi. Fu affascinante quella serata. Riusciva a coinvolgere i giovani, ed era molto amato da loro. Ricordo che apriva sempre con un'esecuzione intensa dell'Internazionale al pianoforte. Diventammo amici».
La versatilità del jazzista s'impose anche sul piccolo e grande schermo.
«Quando feci la serie di quattro film per la televisione La porta sul buio, gli chiesi e accettò di scrivermi la musica. Ottenemmo un risultato ottimo. Aveva un senso importante per la musica. Considerato jazzista, dimostrava un grande gusto per la classica. Coltivava moltissimi interessi».
Quale memoria conserva della vostra collaborazione cinematografica?
«Facemmo Le cinque giornate, dove adattò pezzi bellissimi di musica classica con l'orchestra della Scala che diresse. E poi si occupò di Profondo rosso, autore di quella famosa nenia cantata da una bambina, che ha seminato paura a intere generazioni. Sì, grande versatilità, e spirito di adattamento alle circostanze e ai vari tipi di musica. Possedeva anche l'estro dell'improvvisazione. Mi sorprese soprattutto con Le cinque giornate, quando realizzò, reinterpretandoli, un collage di grandi autori classici. Un lavoro stupendo».
Di lei diceva: «Fu un'impresa lavorare con lui, indiscutibilmente bravo e nevrotico».
«Io invece me lo ricordo bravissimo, e per niente nevrotico. Dedito al lavoro, capace di rifare molte volte lo stesso pezzo, se non andava bene. Ci furono dei contrasti all'epoca di Profondo rosso. Forse si riferiva a quel momento di nervosismo. Si ritirò un po' irritato, poi però si chiarirono le cose».
Tra i sodalizi del musicista milanese spicca quello con Dario Argento. «Non sapevo stesse male - dice Argento -. La sua morte è un colpo a ciel sereno e mi addolora. Anch'io fui conquistato dal primo ascolto. Sapeva inventare, e muoversi con agio su più fronti. Di solidissima formazione accademica, si aprì all'innovazione e alla diffusione della cultura musicale: voleva far arrivare a tutti la buona musica».
Come si è accesa la scintilla per il talento di Gaslini?
«Mi piaceva molto il suo modo di comporre. E allora mi sono avvicinato per conoscerlo. Ci siamo incontrati alcune volte a Roma. Ho assistito a un suo concerto; era generoso e impegnato, ne teneva tantissimi. Fu affascinante quella serata. Riusciva a coinvolgere i giovani, ed era molto amato da loro. Ricordo che apriva sempre con un'esecuzione intensa dell'Internazionale al pianoforte. Diventammo amici».
La versatilità del jazzista s'impose anche sul piccolo e grande schermo.
«Quando feci la serie di quattro film per la televisione La porta sul buio, gli chiesi e accettò di scrivermi la musica. Ottenemmo un risultato ottimo. Aveva un senso importante per la musica. Considerato jazzista, dimostrava un grande gusto per la classica. Coltivava moltissimi interessi».
Quale memoria conserva della vostra collaborazione cinematografica?
«Facemmo Le cinque giornate, dove adattò pezzi bellissimi di musica classica con l'orchestra della Scala che diresse. E poi si occupò di Profondo rosso, autore di quella famosa nenia cantata da una bambina, che ha seminato paura a intere generazioni. Sì, grande versatilità, e spirito di adattamento alle circostanze e ai vari tipi di musica. Possedeva anche l'estro dell'improvvisazione. Mi sorprese soprattutto con Le cinque giornate, quando realizzò, reinterpretandoli, un collage di grandi autori classici. Un lavoro stupendo».
Di lei diceva: «Fu un'impresa lavorare con lui, indiscutibilmente bravo e nevrotico».
«Io invece me lo ricordo bravissimo, e per niente nevrotico. Dedito al lavoro, capace di rifare molte volte lo stesso pezzo, se non andava bene. Ci furono dei contrasti all'epoca di Profondo rosso. Forse si riferiva a quel momento di nervosismo. Si ritirò un po' irritato, poi però si chiarirono le cose».
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