di Gabriele Santoro
«Libertà!
Quale parola gloriosa per cominciare! Non sono mai stato uno schiavo, solo
l'immaginazione mi restituisce quella condizione inumana. Non spero nulla, se
non di respirare con i miei compagni in questa terra l'aria di libertà. Coltivo
l'unica ambizione di rompere le catene per esclamare: libertà per tutti! Gli
occhi del mondo convergono su di noi, e dagli esiti della lotta dipende la
nostra felicità». La lettera è datata 18 settembre 1864, e porta in calce la
firma del sergente afroamericano Charles W. Singer, impegnato sul fronte della
guerra civile americana.
Una preziosa
e rara raccolta critica di centoventinove lettere (Cambridge University Press,
1992, a cura di Edwin S. Redkey) di soldati ci fornisce la testimonianza di un
dato a lungo negato: l'impegno in battaglia dei neri per la conquista dei
propri diritti. Ritroviamo così i pionieri del sogno americano di giustizia ed
eguaglianza, poi declamato da Martin Luther King. Senza il lavoro di
ricerca storiografica su queste fonti documentali personali, quanto sarebbe più
povero il dibattito culturale e sociale sulla guerra, schiacciato
sull'approccio quantitativo della massa grigia dei numeri.
Scrivere è
resistere, significa non rinunciare alla soggettività quando l'identità rischia
di essere frantumata dall'evento bellico. Durante la Grande Guerra solo in Italia,
passando tra le maglie della censura, vennero movimentate quattro miliardi di
lettere. Oggi ne abbiamo catalogate e sono a disposizione per la consultazione,
negli archivi di Genova, Trento e Pieve Santo Stefano, diverse migliaia. C'è
ancora molto da scandagliare, ma agli storici la contemporaneità pone anche una
nuova frontiera. Al tempo dei social network e della comunicazione istantanea
come si trasforma la corrispondenza e dunque la narrazione intima delle guerre?
Che cosa ne sarà di quella straordinaria forma di espressione interclassista,
propria della scrittura popolare, nata in trincea?
«Lo storico
non potrà fare a meno della documentazione elettronica: è la fonte del futuro.
L'attuale sistema di comunicazioni consente un controllo ancora più pervasivo
di quello messo in opera dagli ufficiali di censura nei due conflitti mondiali.
Servirà una ricerca approfondita. Paradossalmente i social network, che poco
hanno a che fare con i codici della scrittura tradizionale, spingono a un
ritorno all'oralità. Al variare delle tecnologie, la guerra riporta comunque
alla luce le medesime esigenze fondamentali dell'uomo. Guai a perdere lo
sguardo soggettivo», spiega Fabio Caffarena, direttore dell’Archivio ligure di
scrittura popolare e docente dell’Università di Genova.
Se il Regio
decreto del 23 maggio 1915 impose la censura postale, oggi l'esercito
statunitense con il Social Media Considerations for deployed Soldiers
and their families fissa forti limitazioni agli scambi epistolari.
Da
oltreoceano arriva, pubblicato da Nottetempo con la traduzione di Silvia Bre,
un testo di particolare interesse. Siobhan Fallon, figlia di un reduce del
Vietnam e moglie di un marines, condensa in otto racconti di struggente
sincerità e feroce umanità tracce della propria biografia. Quando gli
uomini sono via (260 pagine, 16.50 euro) illumina il fronte privato
delle guerre contemporanee, sempre più asimmetriche e di
comprensione labile. Tra e-mail, conversazioni via Skype e messaggi
Facebook le donne a Fort Hood, in attesa dei compagni in Iraq, vivono sospese,
prefigurano un futuro senza alcun presente a cui appigliarsi.
«La linea di
demarcazione tra Fort Hood e il mondo civile è chiaramente segnata da una rete
metallica sormontata dal filo spinato. Ho tentato di aprire una finestra su
questo mondo. Ho cominciato a scrivere nel periodo in cui mio marito era appena
tornato dal suo secondo dispiegamento e si preparava ancora una volta a
partire. Il pensiero delle missioni pervade ogni aspetto della vita del coniuge
di un militare. Il padre dei nostri figli d'un tratto è a dodicimila chilometri
da casa. Così con le altre coniugi creiamo le nostre nuove ed esili famiglie»,
dice l'autrice.
I rumori del
campo militare che le accoglie sono asettici e intimi, come i tacchi di Natalya
che non resiste all'ansia di un marito assente. La coraggiosa Kailani ricompone
i frammenti dell'esistenza di Manny sepolti a Baghdad, nella consapevolezza che
la distanza di quell'anno di missione non sarà mai colmabile. Il libretto
d'istruzioni per la reintegrazione nella vita civile suggerisce ai marines di
essere seducenti e soprattutto: «Gli psicologi consigliano di non avere
rapporti sessuali con vostra moglie subito dopo il ritorno, aspettate qualche
giorno fino a quando non sarà lei a mandarvi segnali di risposta. SIATE
PAZIENTI!!!» Helena prova a riconquistare la propria giovinezza lontano da Fort
Hood. Josie a causa di un attentato ha perso il sergente Schieffel. E cerca
l'odore del marito sulla divisa del ventunenne sopravvissuto Kit.
Colpisce il
personaggio complesso di David Mogeson, recluta volontaria all'indomani dell'11
settembre. Trapelano l'entusiasmo, il senso del dovere, il dolore fino alla
presa di coscienza e alla conseguente disillusione. Sembra di rileggere passi
delle Lettere dalla trincea dell'ufficiale Filippo Guerrieri,
che il 3 luglio 1916 si rivolse così al fratello: «In complesso è una vitaccia
la nostra e ci aiuta a sopportarla il senso del dovere, la forza di volontà, la
speranza di finirla. Carissimo Renato, anche tu vestirai la divisa, farai il
soldato ma non la guerra. Un giorno mi darai ragione piena, gli impulsi e gli
entusiasmi cose d'altri tempi, ora non siamo nella poesia, ma nella prosa e
ognuno al suo posto sì, ognuno compia il suo dovere sì, ma...nient'altro. A
venticinque anni si comincia a ripensare e meditare».