lunedì 29 settembre 2014

La guerra non finisce mai


di Gabriele Santoro

«Libertà! Quale parola gloriosa per cominciare! Non sono mai stato uno schiavo, solo l'immaginazione mi restituisce quella condizione inumana. Non spero nulla, se non di respirare con i miei compagni in questa terra l'aria di libertà. Coltivo l'unica ambizione di rompere le catene per esclamare: libertà per tutti! Gli occhi del mondo convergono su di noi, e dagli esiti della lotta dipende la nostra felicità». La lettera è datata 18 settembre 1864, e porta in calce la firma del sergente afroamericano Charles W. Singer, impegnato sul fronte della guerra civile americana.

Una preziosa e rara raccolta critica di centoventinove lettere (Cambridge University Press, 1992, a cura di Edwin S. Redkey) di soldati ci fornisce la testimonianza di un dato a lungo negato: l'impegno in battaglia dei neri per la conquista dei propri diritti. Ritroviamo così i pionieri del sogno americano di giustizia ed eguaglianza, poi declamato da Martin Luther King. Senza il lavoro di ricerca storiografica su queste fonti documentali personali, quanto sarebbe più povero il dibattito culturale e sociale sulla guerra, schiacciato sull'approccio quantitativo della massa grigia dei numeri.

Scrivere è resistere, significa non rinunciare alla soggettività quando l'identità rischia di essere frantumata dall'evento bellico. Durante la Grande Guerra solo in Italia, passando tra le maglie della censura, vennero movimentate quattro miliardi di lettere. Oggi ne abbiamo catalogate e sono a disposizione per la consultazione, negli archivi di Genova, Trento e Pieve Santo Stefano, diverse migliaia. C'è ancora molto da scandagliare, ma agli storici la contemporaneità pone anche una nuova frontiera. Al tempo dei social network e della comunicazione istantanea come si trasforma la corrispondenza e dunque la narrazione intima delle guerre? Che cosa ne sarà di quella straordinaria forma di espressione interclassista, propria della scrittura popolare, nata in trincea?

«Lo storico non potrà fare a meno della documentazione elettronica: è la fonte del futuro. L'attuale sistema di comunicazioni consente un controllo ancora più pervasivo di quello messo in opera dagli ufficiali di censura nei due conflitti mondiali. Servirà una ricerca approfondita. Paradossalmente i social network, che poco hanno a che fare con i codici della scrittura tradizionale, spingono a un ritorno all'oralità. Al variare delle tecnologie, la guerra riporta comunque alla luce le medesime esigenze fondamentali dell'uomo. Guai a perdere lo sguardo soggettivo», spiega Fabio Caffarena, direttore dell’Archivio ligure di scrittura popolare e docente dell’Università di Genova.

Se il Regio decreto del 23 maggio 1915 impose la censura postale, oggi l'esercito statunitense con il Social Media Considerations for deployed Soldiers and their families fissa forti limitazioni agli scambi epistolari.

Da oltreoceano arriva, pubblicato da Nottetempo con la traduzione di Silvia Bre, un testo di particolare interesse. Siobhan Fallon, figlia di un reduce del Vietnam e moglie di un marines, condensa in otto racconti di struggente sincerità e feroce umanità tracce della propria biografia. Quando gli uomini sono via (260 pagine, 16.50 euro) illumina il fronte privato delle guerre contemporanee, sempre più asimmetriche e di comprensione labile. Tra e-mail, conversazioni via Skype e messaggi Facebook le donne a Fort Hood, in attesa dei compagni in Iraq, vivono sospese, prefigurano un futuro senza alcun presente a cui appigliarsi.

«La linea di demarcazione tra Fort Hood e il mondo civile è chiaramente segnata da una rete metallica sormontata dal filo spinato. Ho tentato di aprire una finestra su questo mondo. Ho cominciato a scrivere nel periodo in cui mio marito era appena tornato dal suo secondo dispiegamento e si preparava ancora una volta a partire. Il pensiero delle missioni pervade ogni aspetto della vita del coniuge di un militare. Il padre dei nostri figli d'un tratto è a dodicimila chilometri da casa. Così con le altre coniugi creiamo le nostre nuove ed esili famiglie», dice l'autrice.


I rumori del campo militare che le accoglie sono asettici e intimi, come i tacchi di Natalya che non resiste all'ansia di un marito assente. La coraggiosa Kailani ricompone i frammenti dell'esistenza di Manny sepolti a Baghdad, nella consapevolezza che la distanza di quell'anno di missione non sarà mai colmabile. Il libretto d'istruzioni per la reintegrazione nella vita civile suggerisce ai marines di essere seducenti e soprattutto: «Gli psicologi consigliano di non avere rapporti sessuali con vostra moglie subito dopo il ritorno, aspettate qualche giorno fino a quando non sarà lei a mandarvi segnali di risposta. SIATE PAZIENTI!!!» Helena prova a riconquistare la propria giovinezza lontano da Fort Hood. Josie a causa di un attentato ha perso il sergente Schieffel. E cerca l'odore del marito sulla divisa del ventunenne sopravvissuto Kit. 

Colpisce il personaggio complesso di David Mogeson, recluta volontaria all'indomani dell'11 settembre. Trapelano l'entusiasmo, il senso del dovere, il dolore fino alla presa di coscienza e alla conseguente disillusione. Sembra di rileggere passi delle Lettere dalla trincea dell'ufficiale Filippo Guerrieri, che il 3 luglio 1916 si rivolse così al fratello: «In complesso è una vitaccia la nostra e ci aiuta a sopportarla il senso del dovere, la forza di volontà, la speranza di finirla. Carissimo Renato, anche tu vestirai la divisa, farai il soldato ma non la guerra. Un giorno mi darai ragione piena, gli impulsi e gli entusiasmi cose d'altri tempi, ora non siamo nella poesia, ma nella prosa e ognuno al suo posto sì, ognuno compia il suo dovere sì, ma...nient'altro. A venticinque anni si comincia a ripensare e meditare».

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