venerdì 15 aprile 2016

Leggere lentamente. Storia di José Pinho, libraio sovversivo


di Gabriele Santoro

José Pinho è un libraio portoghese di mezz’età, che lavora duro e ha dalla sua parte una dote preziosa: la fantasia che incontra la concretezza. Se corrisponde al vero che i luoghi hanno un’anima, non è una coincidenza che Ler Devagar, libreria educatamente sovversiva, sia sorta negli spazi di una tipografia che nei giorni della rivoluzione stampava fogli ostili alla dittatura. Pinho è nato in una casa con pochi libri. Nel paese natio non c’era una biblioteca. Nell’entroterra portoghese, nel suo piccolo villaggio non arrivavano neanche le biblioteche itineranti. Giunto in città per il liceo ha imparato a distinguere fra le letture consigliate, obbligatorie, e a scegliere il proprio percorso. A sedici, diciassette anni ha cominciato a leggere soprattutto altro dal programma scolastico.

Ler Devagar a Lisbona
Questa è una storia di resistenza, amicizia e creatività capace di stare sul mercato, oltre la crisi, perché offre quello che altri non danno. Si differenzia nella capacità di non farsi dettare i tempi, di restituire, dopo un’accurata selezione presso le case editrici, esistenza a libri necessari che finirebbero al macero. Leggere lentamente (Ler Devagar) non è a caso il nome dell’impresa, che circa vent’anni fa ha visto il convergere d’interesse di venti amici, i quali amavano trascorrere insieme il periodo delle vacanze nel sud del Portogallo. Pinho, che possiede il 62% delle quote, è l’anima del gruppo. Nel 1998, stanco della propria occupazione in una multinazionale di comunicazione e pubblicità nordamericana, prese la buonuscita e salutò la compagnia. S’iscrisse all’università per un corso di perfezionamento sulle professioni nell’ambito editoriale.

José sostiene di fumare poco, ma la raucedine lo tradisce. Si accende una sigaretta, gli occhi si illuminano della sua vitalità e racconta: «I compagni universitari, all’epoca ben più calati di me in questo contesto professionale, si lamentavano soprattutto della quantità di libri pubblicati che tornavano sistematicamente indietro e finivano sotto la ghigliottina». Pinho, che ha trascorso tre giorni in Italia su invito dell’amico editore di Marcos y Marcos Marco Zapparoli, promuovendo la nuova edizione di Letti di notte, dice che il copy and paste, il copia e incolla è anche una questione artistica: prendere dagli altri modelli da rendere poi pezzi unici come Ler Devagar. Lui ama viaggiare, visitando le librerie del mondo. Si avventura nei fondi degli editori, va a caccia dei tesori fra le giacenze.

Proprio dall’assenza sul mercato portoghese di una libreria di fondi è nata l’idea embrionale, che ha unito le risorse culturali ed economiche di venti amici. Pinho ha conservato intatta la buonuscita fino a quando non è stato trovato il luogo più adatto per iniziare: a Bairro Alto, uno stabile di 2500 mq nel quale destinare 300mq alla libreria. Centoventimila euro il capitale iniziale stanziato dai soci: «Non avevamo idea se avrebbe funzionato o meno. Nella peggiore delle ipotesi si sarebbe trattato di un salotto per letture fra amici».

A porte aperte la risposta è stata una crescita esponenziale. Al sesto anno di attività, con i conti arrivati in equilibrio, il proprietario dello stabile, attratto da un’operazione finanziaria immobiliare, propose l’acquisto dello spazio per una cifra esorbitante, pari a circa tre milioni di euro. Un costo inaccessibile per i soci che nel frattempo erano già raddoppiati. Sotto sfratto sorgeva la domanda angosciosa: dove sistemare i circa quarantamila volumi che animavano la libreria? «Quando abbiamo dovuto fermare l’attività, poiché non avevamo la liquidità per acquistare l’immobile, è stato il momento più difficile. Anzi è stato un dramma collettivo vissuto da tutti gli associati, all’epoca eravamo già quaranta persone. Molti piangevano. Ho sempre detto: la vita è dura, come ho imparato in Francia, ma non bisogna mollare. Occorre essere persistenti, resistenti».

Nella vicinanza della sede sfrattata di Ler Devagar esisteva una piccola libreria, che vendeva libri di filosofia di seconda mano. Il fratello del proprietario lavorava in una fabbrica di armi, Braccio d’argento, in dismissione nella parte orientale di Lisbona. Un’area del tutto abbandonata da reinventare.

Ler Devagar e le migliaia di libri avevano trovato una seconda casa senza chiedere un euro alle banche: «La banca soprattutto nei periodi di crisi vuole guadagnare più soldi. Se hai una struttura finanziaria non compatibile con le grandi catene, se devi pagare gli interessi molto alti, vuol dire che passi tutte le possibilità di guadagnare qualcosa agli altri. Non è fattibile appoggiarsi a loro. In una sola occasione ci siamo rivolti a un ente per il credito, dovendo coprire una parte dell’investimento iniziale per la città letteraria di Óbidos. Ventimila euro che abbiamo restituito in tre mesi».

Nel 2009 è arrivata la terza svolta nell’adolescenza di Ler Devagar, ora localizzata nella periferia deindustrializzata a ovest della città. Un immobiliarista, che Pinho qualifica come illuminato, invece che sfruttare un’area amplissima destinata alla speculazione edilizia ha dato in affitto, per appena mille euro al mese più il 20% dei ricavi sulle attività che non dipendono dai libri e dal bar, agli attuali 120 soci (400mila euro di capitale) una tipografia dismessa pari a 650mq che oggi contiene 70mila volumi. «La macchina tipografica è la vera creatrice della libreria, non io. L’identità, quanto l’ottima suddivisione degli spazi, osserva le caratteristiche della struttura preesistente. Il bar non confligge con i libri», sottolinea il libraio che insieme ai soci ha messo 130mila euro per la riqualificazione dello stabile.

Il fatturato è così ripartito: 70% dai libri, 15% dalla gastronomia e il restante dall’affitto delle sale per conferenze che non hanno scopi culturali. Gli eventi legati ai libri e alle arti invece sono ospitati gratuitamente. Dopo i primi sei mesi, durante i quali poche decine di clienti l’hanno visitata, Ler Devagar è diventata il cuore pulsante del quartiere, decuplicando il valore immobiliare dell’area. La libreria apre da mezzogiorno alla mezzanotte, che nei festivi diventa le due. Vi lavorano sette persone al 75% dell’orario e vengono retribuite meglio che alla Fnac, dice Pinho.

Il basso costo dell’acquisto dei volumi, quanto quello della relativa minore distribuzione e del canone d’affitto, e il margine sulla rivendita consentono di gestire la lunga vita dello stock di libri sugli scaffali. La domanda sorge spontanea: Pinho manda sul lastrico i già inguaiati editori? «No, desidero stabilire un rapporto equo con gli editori e i distributori, basato sulla fiducia e sul rispetto, che ti permetta di avere condizioni almeno uguali a quelle che i distributori garantiscono alle grandi catene librarie. E questo non è facile. Non ho mai pensato di arricchirmi con questo mestiere».

La società con i conti in ordine non redistribuisce dividendi ai soci. Chi investe sa che non guadagna, ma neanche perde nulla. Pinho lo chiama investimento emotivo, al posto della speculazione. Gli utili per statuto si rinvestono nell’acquisto di libri e nelle librerie. C’è un’assemblea generale che delibera. Per avere diritto di voto l’investimento minimo è pari a mille euro e il voto vale uno quanto quello di Pinho che detiene il 62% delle quote.

Nel 2012 Ler Devagar ha cominciato a produrre utili prontamente dirottati su un esperimento che ha ottenuto il timbro dell’Unesco. A Óbidos, borgo medievale che dista circa ottanta chilometri da Lisbona, l’amministrazione comunale presentò un bando per aprire una libreria di grandi dimensioni. I soci di Ler Devagar ne hanno aperte sette di piccola taglia, trasformando la zona in un ecosistema, una cittadina letteraria che attira migliaia di turisti per il festival internazionale della letteratura di Óbidos.

Pinho si accende quando pronunci la parola atmosfera, che si deve respirare dentro a una libreria a misura di persona. I recensori del Guardian e del New York Times hanno speso elogi sull’argomento in riferimento a Ler Devagar: «Ho maturato una grande esperienza nel creare questo clima. Intanto abbiamo sempre la musica anche a volume alto. Entri, ascolti, leggi e conversi. La musica a volte è scelta da chi lavora o dai clienti. Qualcuno non lo ama magari, ma finisce per essere un elemento di socializzazione. Poi avere degli spazi affinché la gente si possa sedere, restare per bere un caffè o un bicchiere di vino. C’è la musica dal vivo, le esposizioni artistiche. La gente che entra a Ler Devagar sa che può restare, anche senza consumare, quante ore desidera leggendo come dentro a una biblioteca. Lavorando in una società di comunicazione ho imparato due cose: la comunicazione non è altro che relazione pubblica, la migliore forma di comunicazione è il passaparola, il member get member, che funziona quando hai qualcosa di buono da proporre. Ler Devagar è stata riconosciuta prima all’estero che in Portogallo grazie ai social network».

Pinho considera replicabile la propria esperienza, indicando almeno tre priorità. Innanzitutto la scelta del luogo in cui sviluppare la propria idea senza essere penalizzati da un affitto esoso. Dopo la riconversione della fabbrica d’armi e della tipografa, a Óbidos è stata trasformata in un tempio di libri una chiesa barocca sconsacrata. C’è una libreria dentro al mercato ortofrutticolo, dentro all’enoteca del paese: dunque saper maneggiare la fantasia. Trovare un posto dove i potenziali clienti passino, che sia un luogo vistoso come Ler Devagar o più appartato.

«Per attirare i clienti serve il tempo – sottolinea –. Nel secondo trasloco a Lisbona Ovest siamo rimasti sei mesi senza clienti. Abbiamo resistito con la previsione finanziaria e la flessibilità della struttura. Durante quel periodo hanno percepito compensi solo gli impiegati dentro alla libreria. Occorre mettere insieme una squadra di tre, quattro persone che conoscano davvero i libri, che siano curiose e non aspettarsi di diventare ricco entro il primo mese. Bisogna aspettare, lavorare bene, avere dei bei libri e non è detto che i risultati arrivino».

L’American Booksellers Association ha rilanciato un interessante studio condotto con Civic Economics dal titolo Amazon & Empty Storefronts: The Fiscal and Land Use Impacts of Online Retail, che fornisce dei numeri sull’impatto negativo di Amazon sui negozi al dettaglio che chiudono e più in generale sulla sottrazione delle risorse a disposizione della comunità, a causa del minor introito di tasse. Circa la metà degli stati americani ancora non raccoglie introiti fiscali dalle vendite di Amazon e gli altri solo parzialmente. L’offerta di Amazon avrebbe provocato una netta riduzione della domanda al dettaglio sulla strada equivalente alla sparizione di oltre 30mila negozi.

Nel 2014 Amazon ha venduto beni per un valore di 44 miliardi, mentre evitava di pagare 625 milioni di dollari in tasse statali e locali. L’equivalente di 31mila negozi al dettaglio che avrebbero dovuto saldare 420 milioni di $ solo in tasse per la proprietà dello spazio fisico commerciale.

Un miliardo e più di ritorni fiscali persi dallo Stato e dai governi locali. Civic Economics calcola 8.48 dollari a famiglia americana. Negli States Amazon opera su 65 milioni di ft2 di spazio per la distribuzione, impiegando 30mila lavoratori full-time e 104mila fra stagionali e part time. Anche conteggiando tutti gli occupati nella distribuzione Amazon, il volume delle vendite avrebbe causato la perdita netta di 135.973 posti di lavoro.

L’ABA propone un kit di istruzioni per la sensibilizzazione al New localism, affinché si tuteli la vita della comunità locali anche mediante la qualità dei servizi al quartiere, qual è l’attività di una buona libreria. La fioritura di un movimento per il consumo locale è segnalato dai dati dell’inizio 2015, che segnalano una crescita del 27% rispetto al 2009 con 440 nuove librerie indipendenti attive nel paese.

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