venerdì 7 luglio 2017

La memoria argentina. Un dialogo con Estela de Carlotto


di Gabriele Santoro


Negli anni Settanta Laura, la più grande dei quattro figli di Estela de Carlotto, studiava storia all’Università Nazionale di La Plata, città in cui ancora vive la famiglia. Era un’attivista politica nella Gioventù Universitaria Peronista. Durante la dittatura, come migliaia di studenti del paese, fu sequestrata dalle forze militari e rimase per nove mesi in un campo di concentramento clandestino. Il suo compagno fu ucciso subito, lei era incinta e, dopo aver dato alla luce il suo bambino che le fu immediatamente strappato via, venne assassinata.


Estela de Carlotto

Nel 1980 Estela seppe da sopravvissuti, liberati dai campi illegali di detenzione, che Laura aveva partorito un maschietto e che le era stato concesso di tenerlo fra le braccia solo per poche ore. Per trentasei anni ha cercato il nipote ovunque, in Argentina e oltre confine, fino al 5 agosto del 2014 quando il tempo delle lacrime ha incontrato quello della giustizia. La Banca Nazionale dei Dati Genetici, fondata nel 1987 al fine di poter rintracciare e identificare i nipoti separati dalle famiglie naturali, le ha ridato Guido, la creatura nata dall’amore di Laura: “Ho pianto di gioia, ho abbracciato i miei figli, nipoti, la mia famiglia e le mie compagne. Mi ha illuminato la vita. Abbiamo un bellissimo rapporto. È un musicista e una persona fantastica.”

Dal giorno del sequestro della figlia, il 26 novembre del 1978, a oggi Estela è sempre stata in prima fila, figura preponderante dell’Associazione Abuelas de Plaza de Mayo, un’organizzazione unica al mondo per almeno due ragioni: l’incessante ricerca di tutti i bambini sottratti in quel periodo nefasto, restituendo la vera identità a 122 nati nelle stanze dei burocrati del dolore, dell’orrore, e la costruzione di un processo storico di verità, memoria e giustizia che non ha eguali.

A maggio in Argentina si è assistito a un’imponente mobilitazione popolare anche nelle piazze contro una sentenza della Corte Suprema che aprirebbe le porte all’impunità per tutti gli assassini condannati, i quali potrebbero chiedere la riduzione della pena che la Corte ha già concesso a Luis Muiño. Nei giorni delle proteste a Buenos Aires c’era anche il Presidente della Repubblica Mattarella, il quale ha reso omaggio ai desaparecidos con il rituale lancio di fiori sulle acque del Rio de La Plata. Vera Vigevani Jarach, madre di Franca Jarach che, appena diciottenne, fu una fra le trentamila vittime desaparecidas della dittatura civico-militare argentina, gli ha consegnato una lettera nella quale si legge:

“Oggi, e dopo 40 anni di pacifico ma perseverante impegno, noi, Madri e Nonne della Plaza de Mayo, i familiari dei desaparecidos e tutti gli altri organismi che per i diritti umani da sempre hanno lottato, abbiamo finalmente avuto in parte giustizia con i processi e le condanne per i colpevoli di questi crimini contro l’umanità.

Oggi, però, siamo molto tristi e preoccupati per una decisione della Corte Suprema che permetterebbe a questi criminali di beneficiare di una forte riduzione delle pene, cosa che ci porterebbe al rischio di incontrarli per strada. Loro, i torturatori, gli assassini dei nostri figli.

Tutto questo non rappresenta solo una marcia indietro verso l’impunità, non solo un colpo tremendo per tutta la società argentina, ma, trattandosi di crimini contro l’umanità, è un’offesa e una minaccia per tutto il mondo».

La sentenza, definita “del 2×1” – che dopo la reazione anche del legislatore non dovrebbe avere gli effetti temuti – si inserisce in un contesto critico emerso fin dal successo elettorale del Presidente Mauricio Macri. Dalle dichiarazioni ad alcuni provvedimenti è stato da subito percepito in modo particolare l’indebolimento del sostegno politico al processo di memoria, verdad y justicia.

“Il governo di Macri ha condotto battaglie concrete per lo svuotamento o la paralisi di organi dedicati alla ricerca di crimini contro l’umanità, ma ha anche compiuto gesti che mirano a una regressione nella battaglia culturale per la memoria” dice Estela de Carlotto. “Alcuni ministri negano che i desaparecidos siano stati trentamila, vari funzionari si mostrano vicini a familiari di condannati per delitti di lesa umanità, lasciando intendere che si tratta di vittime della “sovversione”, come se in Argentina ci fosse stata una guerra civile invece del terrorismo di Stato. Tali gesti danno la possibilità a chi nega che in Argentina ci fu un genocidio di riproporre la teoria dei due demoni, teoria che la giustizia argentina ha demolito mediante numerosi processi in tutto il Paese e nel resto del mondo.”

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