lunedì 5 febbraio 2018

I nostri briganti. L'emigrazione italiana e il prezzo del pregiudizio

di Gabriele Santoro


La teoria della cospirazione e dell’infiltrazione su un tessuto sano del malaffare straniero, spesso assimilato a un modo di essere, a un sentimento indomabile, e all’invasione di immigrati italiani sono state cavalcate quotidianamente per decenni dalla stampa, da sociologi e accademici lombrosiani nordamericani.

Il primo gennaio del 1884 The New York Times asserì in un articolo dal titolo esplicito “I nostri briganti” (Our Brigands):

«Gli italiani che giungono in questo paese con un rispetto ereditario per il brigantaggio, naturalmente pensano che l’America sia un ottimo terreno per il genuino brigantaggio italiano. Ciò che stupisce è che non abbiano mai pensato di impegnarsi in qualche altra attività. La città di New York offre eccellenti possibilità per il brigantaggio del genuino modello italiano».

Venti anni più tardi il tenore di un altro articolo (“Exotic crime”, 15 agosto 1904) dello stesso quotidiano fotografa il radicamento di un pregiudizio, che ha complicato e segnato l’intero processo di integrazione degli italiani e dei discendenti italo-americani onesti, ha precluso la misura della partecipazione politica:

«Sotto il nome generico di italiani stiamo ricevendo in massa un tipo di popolazione veramente indesiderabile. Provengono da varie zone dell’Italia e del Mediterraneo, scappano dai propri paesi ricercati dai gendarmi. Queste persone esportano le caratteristiche nazionali e raramente sono immigrati col desiderio di stabilirsi e divenire cittadini. Questo Paese offre loro opportunità migliori di fare soldi come mai prima, ma poi li spendono in Italia. A casa molte di queste persone erano cospiratori, briganti e rivoluzionari quando si è presentata l’occasione. Sono nati e sono stati allevati nell’atmosfera di comunità dedite al contrabbando; la Mafia è per loro familiare come il Metodismo per un americano».

Tra il 1880 e il 1930 oltre 27 milioni di immigrati entrarono negli Stati Uniti, dodici milioni dei quali passando per la porta stretta dell’isolotto di Ellis Island. Nel decennio precedente allo scoppio della Prima Guerra Mondiale 3.352.047 di italiani, 2.713.617 dei quali provenienti dalle regioni meridionali, emigrarono destinazione America. Si stanziarono soprattutto in Massachusetts, Connecticut, New Jersey, New York, Illinois, Ohio e Pennsylvania, gli Stati in cui a inizio Novecento si generava oltre il 60% dei prodotti industriali e minerari nordamericani. Nel primo decennio del Novecento la seconda generazione, i nati in America da genitori stranieri, crebbe da 254.500 a 771.645 individui.

Negli Stati Uniti, che fra il 1850 e il 1900 decuplicarono il valore della produzione industriale, la gran parte degli italiani che sbarcarono con in media otto dollari in tasca furono braccia oneste e resistenti, funzionali a tassi altissimi di crescita economica. La manodopera di massa dequalificata espatriata dal Sud Italia costruì le ferrovie e le grandi arterie stradali nordamericane, lavorò e spesso morì nelle miniere della Virginia, accontentandosi dei salari medi giornalieri più bassi che non raggiungevano i due dollari.

Emigrarono però anche criminali, mafiosi di alto rango soprattutto da aree ad alta densità mafiosa come per esempio Castellamare del Golfo. Già nel 1878 Salvatore Marino, membro di rilievo della cosca di Monreale degli stoppagghieri, espatriato dopo l’arresto nel 1875 in Italia, morì nella capitale della Louisiana, dove aveva esteso i propri traffici e intessuto relazioni.

Dalla seconda metà dell’Ottocento New Orleans è stata uno dei primi scali per gli immigrati italiani. Le navi approdavano cariche di uomini e agrumi siciliani, quella con il porto di Palermo era una delle principali rotte commerciali dirette, la seconda dopo New York. Nella guerra e nella repressione tra le due fazioni italo-americane per la gestione del business portuale dello scarico e dello smistamento ortofrutticolo, settore da sempre d’interesse per i mafiosi, David C. Hennessy, capo della polizia di New Orleans, con alcuni arresti sembrò giocare un ruolo in favore di Joe Provenzano, a discapito dell’impresa rivale dei Matranga. Hennessy e Provenzano si conoscevano ed erano membri di uno stesso club.

Poco prima della mezzanotte del 15 ottobre del 1890 il trentaduenne Hennessy, descritto nelle cronache come coraggioso, sagace e già ben affermato nei circoli nazionali della polizia, fu ferito da cinque colpi di arma da fuoco sul gradino della porta di casa, e morì la mattina successiva. Del delitto vennero accusati diciannove siciliani, condotti poi a processo. L’assassinio, correlato alla disputa tra le due fazioni, fece emergere tutta la tensione verso l’immigrazione italiana e mostrò il radicamento dell’idea della «cospirazione aliena», il contagio della violenza e dell’omertà siciliana ai danni della civiltà pura americana.

Che cosa accade quando già nel discorso pubblico inizia a morire lo Stato di diritto e a prevalere il razzismo? Che cosa accade quando la sentenza di un tribunale non soddisfa le attese popolari?


La polizia, nonostante l’assenza di testimoni e di qualsiasi evidenza probatoria, rastrellò il quartiere italiano e 250 persone si ritrovarono sotto custodia cautelare, fra i quali Macheca, in società con i quattro fratelli Provenzano, e cinque appartenenti alla famiglia Matranga. Le indagini come il processo, celebrato dalla fine del febbraio del 1891, si rivelarono inclocludenti. La notizia dell’assoluzione degli imputati scatenò uno dei più violenti linciaggi di massa mai accaduto negli Stati Uniti. Da Canal Street la folla armata e inferocita, incitata dalle case, raggiunse il carcere di Parish, dove si consumò la mattanza degli imputati assolti dalla giustizia, mentre cinque fra gli assassinati erano addirittura ancora in attesa del giudizio. Undici morti in totale, che per almeno un anno provocarono il raffreddamento i rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Italia, preoccupata dell’eventuale diminuzione dei flussi migratori in uscita. La crisi italoamericana si risolse con il pagamento di un indennizzo economico, circa 24mila dollari, alle famiglie delle vittime.

Per comprendere il ruolo dei mass media, vale ricordare che dal 1889 il principale giornale locale, Times Picayune, associò al crimine il 78% degli articoli sulla comunità italiana.

Il 15 marzo 1891 The New York Times aprì con un titolo inequivocabile: «Vendicato il Capo Hennessy», e nell’occhiello «undici dei suoi assassini italiani linciati dalla folla». La cronaca racconta nei dettagli «una sollevazione di cittadini indignati a New Orleans», cita nomi e cognomi degli assalitori, che poi non sono mai stati sottoposti a giudizio.

Il caso non fu isolato, si ripeté da Tallulah a Erwin.

Le parole pronunciate in piazza a New Orleans prima del massacro da Mr. Parkerson, leader politico locale, uno degli avvocati più in vista della città messosi alla testa dell’assalto, ci indicano tutt’oggi la scelta tra la civiltà giuridica e la barbarie della presunta giustizia privata:

«Cittadini di New Orleans, dovete scegliere se la città sia regolata da un governo ordinario o da assassini organizzati. Oggi dovete scegliere se essere governati dalle leggi da voi scelte o dagli editti della mafia siciliana. […] Uomini che vivono in una comunità civilizzata e organizzata, trovando le proprie leggi inefficaci, sono forzati a proteggersi da soli. Quando il tribunale fallisce la gente deve agire. Quale protezione o assicurazione ci è rimasta quando il Capo della nostra polizia è assassinato dalla Mafia e i suoi assassini sono liberi di nuovo nella comunità? Ogni uomo qui presente mi seguirà e vedrà vendicato l’omicidio di Hennessy?».

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