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di Gabriele Santoro
ROMA (13 ottobre) – La parabola, fatta di pochi alti e molti bassi, del ciclista belga Frank Vandenbroucke è finita in una stanza d’albergo in Senegal, stroncato da un embolia polmonare. Vandenbroucke solo la settimana scorsa aveva annunciato di voler tentare un ennesimo ritorno alle gare professionistiche con il sostegno del tecnico italiano Aldo Sassi (già allenatore del campione del mondo Cadel Evans, ndr): «Lo so che a 34 anni non sarà facile trovare un nuovo ingaggio, perché tutti pensano che non sono riuscito a liberarmi dai miei demoni».
Prima il doping, poi il tunnel della cocaina, la depressione e problemi in famiglia culminati in due tentativi di suicidio nel 2005 e nel giugno 2007 a Milano. Una deriva progressiva che purtroppo non è una novità nel mondo del ciclismo: dalla tragica fine di Marco Pantani nel residence Le Rose di Rimini a quella dell’amato scalatore spagnolo José Maria Jimenez scomparso a trentadue anni in una clinica psichiatrica di Madrid, dove era ricoverato per curare una profonda depressione che lo aveva colpito quando era ancora in sella.
«La grazia», «classe e talento allo stato puro», «un’intelligenza nelle gare considerevole». Dalla prima vittoria in una tappa nel 1994 al Giro del Mediterraneo abbondavano gli aggettivi per definire il talento cristallino di Vandenbroucke, la più grande speranza del ciclismo belga nella seconda metà degli anni Novanta. Un movimento che ha radici profonde nelle Fiandre e in Vallonia, dove si corrono alcune delle corse classiche più importanti. Vandenbroucke è stato da subito designato come l’erede del mostro sacro del ciclismo belga, Eddy Merckx: «L’unico in grado di riportare la maglia gialla in Belgio». Un’eredità e una responsabilità pesantissima anche per questo estroverso e sfrontato vallone.
Vandenbroucke ha fretta di vincere. All’età di cinque anni viene investito da un’auto e da allora convive con una debolezza strutturale del ginocchio sinistro con la gamba più corta di sedici millimetri rispetto all’altra. «Pensa che avrà una carriera breve - spiegano i tecnici a lui più vicini - e questo spiega la sua frenesia di vittoria. Corre sempre come se fosse l’ultima gara». Vandenbroucke da professionista vince quarantacinque gare e fa le cose migliori in maglia Mapei, diretto dal belga Lefévère. Nel suo palmares ci sono le classiche Parigi-Bruxelles, la Gand-Wevelgem, la Parigi-Nizza nel 1998. L’anno seguente arriva il successo più prestigioso in maglia Cofidis: la Liegi-Bastogne-Liegi.
Nel giugno della stessa stagione iniziano i problemi per il doping. Non viene trovato positivo, ma passano sotto la lente d’ingrandimento i suoi rapporti con Bernard Sainz, il “dottor Mabuse”. Dopo un estenuante tira e molla con la Cofidis il contratto viene ridotto a una sola stagione e inizia la sua discesa agli inferi. Nel 2000 si susseguono i ritiri e le rinunce alle gare. Vandenbroucke non accetta l’ombra dei sospetti, la sconfitta e cade in depressione: le gambe non girano come la testa. Nel 2002 il “santone” francese Sainz viene fermato dalla polizia per eccesso di velocità . Durante i controlli nella sua auto vengono trovate fiale e siringhe e lui afferma di essere stato in Belgio “per fornire tre persone e di aver passato la notte nella casa di Vandenbrouke”.
La gendarmeria ritroverà nell’abitazione del ciclista Epo, morfina e anabolizzanti e arriva la squalifica di sei mesi. Altre formazioni, come le italiane Lampre e Acqua e sapone scommettono nella sua rinascita, ma lui continua la personale fuga solitaria dalla vita.
di Gabriele Santoro
ROMA (13 ottobre) – La parabola, fatta di pochi alti e molti bassi, del ciclista belga Frank Vandenbroucke è finita in una stanza d’albergo in Senegal, stroncato da un embolia polmonare. Vandenbroucke solo la settimana scorsa aveva annunciato di voler tentare un ennesimo ritorno alle gare professionistiche con il sostegno del tecnico italiano Aldo Sassi (già allenatore del campione del mondo Cadel Evans, ndr): «Lo so che a 34 anni non sarà facile trovare un nuovo ingaggio, perché tutti pensano che non sono riuscito a liberarmi dai miei demoni».
Prima il doping, poi il tunnel della cocaina, la depressione e problemi in famiglia culminati in due tentativi di suicidio nel 2005 e nel giugno 2007 a Milano. Una deriva progressiva che purtroppo non è una novità nel mondo del ciclismo: dalla tragica fine di Marco Pantani nel residence Le Rose di Rimini a quella dell’amato scalatore spagnolo José Maria Jimenez scomparso a trentadue anni in una clinica psichiatrica di Madrid, dove era ricoverato per curare una profonda depressione che lo aveva colpito quando era ancora in sella.
«La grazia», «classe e talento allo stato puro», «un’intelligenza nelle gare considerevole». Dalla prima vittoria in una tappa nel 1994 al Giro del Mediterraneo abbondavano gli aggettivi per definire il talento cristallino di Vandenbroucke, la più grande speranza del ciclismo belga nella seconda metà degli anni Novanta. Un movimento che ha radici profonde nelle Fiandre e in Vallonia, dove si corrono alcune delle corse classiche più importanti. Vandenbroucke è stato da subito designato come l’erede del mostro sacro del ciclismo belga, Eddy Merckx: «L’unico in grado di riportare la maglia gialla in Belgio». Un’eredità e una responsabilità pesantissima anche per questo estroverso e sfrontato vallone.
Vandenbroucke ha fretta di vincere. All’età di cinque anni viene investito da un’auto e da allora convive con una debolezza strutturale del ginocchio sinistro con la gamba più corta di sedici millimetri rispetto all’altra. «Pensa che avrà una carriera breve - spiegano i tecnici a lui più vicini - e questo spiega la sua frenesia di vittoria. Corre sempre come se fosse l’ultima gara». Vandenbroucke da professionista vince quarantacinque gare e fa le cose migliori in maglia Mapei, diretto dal belga Lefévère. Nel suo palmares ci sono le classiche Parigi-Bruxelles, la Gand-Wevelgem, la Parigi-Nizza nel 1998. L’anno seguente arriva il successo più prestigioso in maglia Cofidis: la Liegi-Bastogne-Liegi.
Nel giugno della stessa stagione iniziano i problemi per il doping. Non viene trovato positivo, ma passano sotto la lente d’ingrandimento i suoi rapporti con Bernard Sainz, il “dottor Mabuse”. Dopo un estenuante tira e molla con la Cofidis il contratto viene ridotto a una sola stagione e inizia la sua discesa agli inferi. Nel 2000 si susseguono i ritiri e le rinunce alle gare. Vandenbroucke non accetta l’ombra dei sospetti, la sconfitta e cade in depressione: le gambe non girano come la testa. Nel 2002 il “santone” francese Sainz viene fermato dalla polizia per eccesso di velocità . Durante i controlli nella sua auto vengono trovate fiale e siringhe e lui afferma di essere stato in Belgio “per fornire tre persone e di aver passato la notte nella casa di Vandenbrouke”.
La gendarmeria ritroverà nell’abitazione del ciclista Epo, morfina e anabolizzanti e arriva la squalifica di sei mesi. Altre formazioni, come le italiane Lampre e Acqua e sapone scommettono nella sua rinascita, ma lui continua la personale fuga solitaria dalla vita.
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