sabato 10 ottobre 2009

Imprenditore coraggio

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di Gabriele Santoro


CASTEL VOLTURNO (8 ottobre) - «Mi hanno bruciato il deposito, ma la mia azienda non l’avranno mai». Franco D’Angiolella è un imprenditore diverso. O per dirla alla camorrista “n’o cape de mierda”. Sì, perché lui ragiona in un altro modo. D’Angiolella è una persona libera. Una libertà pagata a caro prezzo: l’ultimo di una serie di attentati incendiari l’ha subito il 19 luglio 2009.

Nei primi anni Novanta quando l’azienda di famiglia, una semplice falegnameria che produce soprattutto cassette per l’ortofrutta, era sull’orlo del fallimento lui l’ha presa in mano e fatta ripartire senza accettare aiuti compromettenti. Nel 1999 gli estorsori gli hanno chiesto cento milioni delle vecchie lire. Poi è arrivato lo sconto, 70 milioni. Infine li hanno voluti a rate: una da trenta, l’altra da quaranta. Da quel momento in poi, ogni volta che si sono presentati nella sua azienda a chiedere il pizzo Angiolella li ha denunciati all’autorità giudiziaria e fatti arrestare.

Nel 1998 ha aderito all’associazione anti-racket Fai, ma chiede più tutela dalle forze dell’ordine e più certezze dalla troppa burocrazia, che rallenta le pratiche di risarcimento previste dalla legge per chi subisce le ritorsioni conseguenti alla scelta della legalità. Tutte le filiali assicurative gli rifiutano la polizza sull’impresa, perché chi non si adegua al Sistema camorra corre rischi troppo alti, ricorrenti e per l’assicurazione non c’è business. In questo periodo, complice la tremenda crisi economica, lo stabilimento di Angiolella sta lavorando poco. Ma in realtà è stato messo in una situazione di isolamento; solo la Cooperativa Sole acquista da lui le cassette per la frutta.

«Non sono un eroe, ma sono libero. Nella mia impresa decido da solo chi ci deve lavorare e da chi acquistare i macchinari. Non ho una grande istruzione, ma ai miei diritti di cittadino e imprenditore non abdico». Lei è figlio di questa terra, cosa la spinge a essere una voce fuori dal coro? «Troppi imprenditori coltivano l’illusione che alla fine, tutto sommato, convenga non dare fastidio e si avrà un significativo vantaggio economico. Non è così. Dopo aver mangiato sul tuo lavoro, si prendono tutto. Il problema è che fino a quando la legalità non conviene la catena non si spezzerà».

L’imprenditore casertano ha un chiodo fisso, che ripete in continuazione: la politica. «Negli ultimi anni si sono fatti dei passi in avanti, ma guai a regredire. Soprattutto a livello locale è fondamentale avere un’amministrazione pulita, trasparente». Ma quello che gli sta più a cuore è il problema culturale: «Fino a quando non cambia la testa delle persone, il modo di pensare, il resto sarà vano (lo sguardo si fa triste, ndr). Così com’è sta terra è ‘na munnezza».

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