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di Gabriele Santoro
ROMA (28 maggio) - «Il problema di Toti è che è solo, a dispetto delle tante persone che pretendono di aiutarlo. Un uomo da solo non può raggiungere risultati. Non si può gestire in prima persona il rapporto con i tifosi, la stampa e la squadra».
Le parole rilasciate a gennaio da Svetislav Pesic, ex coach della Lottomatica Roma tra i più vincenti in Europa, restituiscono l’istantanea dell’epilogo della stagione romana. Claudio Toti, dopo aver assistito alla festa della Pepsi Caserta, prima ha subìto gli improperi di alcuni tifosi giustamente delusi, poi è andato negli spogliatoi a guardare in faccia i giocatori e infine si è presentato in sala stampa a spiegare il fallimento e le prospettive. Il tutto in completa solitudine.
Il presidente della Virtus ha annunciato di voler integrare l’organigramma societario con figure d’esperienza e soprattutto è auspicabile con personaggi che diano del tu alla pallacanestro. «La scelta che dovrò fare - ha spiegato Toti - è di affiancare ai giovani degli elementi di esperienza, sia nella squadra che nell’organico della società». Prima di qualunque discorso tecnico su allenatore e giocatori, la Virtus deve costruire una struttura dirigenziale credibile, magari inserendo anche persone che hanno fatto la storia di questa società.
Disincanto, amarezza e rassegnazione. L’applauso con cui il PalaLottomatica ha accompagnato lo show del casertano Jumaine Jones sapeva quasi di liberazione. Sugli spalti non c’era neanche la forza di contestare in una sorta di malinconica consapevolezza dell’eterno ritorno dell’uguale: «Tanto va a finire sempre così», il ritornello dominante. Come dargli torto? A chi, solo per citare due esempi, ha visto perdere una gara5 di semifinale scudetto in casa dopo essere stati in vantaggio di 21 punti con Carlton Myers e Anthony Parker (2/12 al tiro) in squadra. A chi è rimasto incollato alla tv o alla radio per tre tempi supplementari, prima che un fallo non fischiato su Righetti consegnasse la delusione più cocente e aprisse l’incredibile ciclo della Montepaschi Siena. Ora l’idea prospettata da Toti di rifugiarsi nella vetusta casa del Palazzetto per ritrovare il calore della gente sarebbe un autogol. Qui serve un entusiasmo nuovo, un maggiore coinvolgimento della città e non la cura compiacente di una riserva indiana, un merchandising che non arrivi a campionato concluso e una squadra con gli attributi di cui innamorarsi anche senza investimenti necessariamente faraonici. Poi a forza di ripetere che l’importante non è vincere nell’immediato si sta prendendo una sinistra confidenza con la sconfitta.
Allenatore. Il futuro di Matteo Boniciolli (57.7% vittorie sulla panchina romana) è uno dei primi nodi da sciogliere. Nel post-partita il patron ha dato una mezza conferma al coach triestino, ma il quadro è tutto da definire. Boniciolli, come avvenuto la scorsa stagione a Bologna, dopo aver ereditato e risollevato le sorti di una squadra in crisi con buoni risultati si è perso nel finale con uno sguardo proiettato troppo verso la luna (Siena e lo scudetto) e meno verso la terra. Scegliere una diversa guida tecnica, l’ottava in dieci anni di presidenza Toti, vorrebbe dire ricominciare tutto da capo con tutte le incognite del caso. L’eventuale tentazione di lanciare un tecnico giovane (Bechi da Biella?) deve essere assecondata da una società in grado di sostenerlo e non utilizzarlo come parafulmine.
La squadra: chi resta e chi parte. Per la stagione 2010-2011 sono contrattualizzati Hutson, Giachetti, Vitali, Gigli, Crosariol, Tonolli e Toure (firmato con un triennale, costato più di Jones e finito in tribuna è ancora da piazzare altrove). Le condizioni fisiche e l’età consigliano ponderare la conferma di Hutson. Scade il prestito biennale da Siena di Datome, reduce da una stagione nera e un rapporto mai sbocciato con Boniciolli, che dovrà decidere se restare o meno nella Capitale. Nel contratto di Winston c’è una clausola a favore della società per l’estensione del contratto. L’americano nelle statistiche è stato impeccabile, ma si dovrà riflettere sul suo reale impatto. Stesso discorso per il serbo Dragicevic. Salutano Roma De La Fuente, professionista esemplare in parabola discendente, e Ibrahim Jaaber il più grande equivoco di quest’annata pessima. Da rivedere Washington, che ha offerto piccoli lampi ma è in possesso di un prezioso passaporto comunitario.
Le statistiche se interpretate alla lettera possono essere fuorvianti, ma offrono indicazioni importanti. Nella stagione appena conclusa la Lottomatica è l’ultima squadra nei rimbalzi (serve un pivot che vada in doppia cifre di rimbalzi), quart’ultima nel tiro da tre (serve un tiratore affidabile), penultima nel rapporto assist/palle perse (se Vitali è quello che abbiamo visto, serve un playmaker di costruzione) e nella top ten dei cannonieri non ce n’è un giocatore virtussino (serve un leader offensivo). Tradotto occorre ricostruire il quintetto base con giocatori non adattati e sfoltire rotazioni tanto lunghe quanto inutili.
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