sabato 15 maggio 2010

Santa Lucia, dove il basket in carrozzina restituisce la gioia della vita

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=102027&sez=HOME_SPORT&ssez=ALTRISPORT

di Gabriele Santoro


ROMA (15 maggio) – La quattordicenne Giulia Rossetti sprigiona dal suo corpo esile un’energia emozionante. Giulia convive con una tetraparesi spastica causata da una paralisi cerebrale infantile, ma con la propria carrozzina corre e disegna parabole sul parquet puntando il canestro.

All’età di nove anni presso la Fondazione Santa Lucia ha iniziato a praticare il minibasket, andando quotidianamente in direzione ostinata e contraria ai propri limiti. Giulia all’inizio faticava ad alzare il pallone di qualche centimetro dal palmo della mano. Oggi con un sorriso spiazzante ti racconta la gioia del primo canestro segnato in una partita ufficiale sul campo di Firenze. «Quel canestro mi ha ripagato di tutta la fatica e mi ha dato coraggio: la strada intrapresa è quella giusta. Il basket mi piace molto, mi fa divertire e soprattutto mi permette di socializzare. Ho conosciuto molte persone e sono legata a tutti i miei compagni di squadra». Tra ragazze e ragazzi sono in sedici a praticare gratuitamente minibasket al Santa Lucia, che garantisce loro l’assistenza medica, copre i costi delle trasferte e fornisce l’attrezzatura sportiva con un budget annuale di circa venticinquemila euro.

Dopo l’allenamento dei giovani nella bella palestra del complesso ospedaliero di via Ardeatina scendono sul parquet i campioni d’Italia per preparare gara-due della semifinale scudetto. Il basket in carrozzina a Roma ha due top team, Santa Lucia e Lottomatica Elecom, che si contendono la leadership italiana e sono state splendide protagoniste della Coppa Campioni disputata nella Capitale nel primo weekend di maggio.

Uomo simbolo di questo movimento vincente e pieno di valori positivi è Carlo Di Giusto: la mente e il braccio del basket Santa Lucia. Dal 1980 ha sposato la causa della squadra romana, prima come giocatore e dal 2001 come allenatore, conquistando tre volte la Champions e diciassette scudetti. Dal 2002-2007 è stato anche il c.t. della nazionale che ha vinto due titoli europei. Di Giusto non si perde neanche gli junior. «Lo scopo della nostra attività è duplice: agonistico e professionistico con la prima squadra, mentre con il minibasket proseguiamo la fase terapeutica riabilitativa e il percorso di reinserimento sociale mediante lo sport».

Al pari di altre discipline paralimpiche il basket in carrozzina ha fatto passi da giganti in avanti sia a livello tecnico sia nell’esposizione mediatica, ma non mancano le criticità come sottolinea Di Giusto. «Siamo carenti nella preparazione degli allenatori e non c’è una struttura adeguata per la loro formazione. L’altra mancanza riguarda il management. Molte società sono sorte e sparite in un arco di tempo breve per l’assenza di una progettualità con figure professionali e non volontaristiche».

Quali sono i primi passi da compiere per un buon allenatore? «Infondere la padronanza del mezzo. Imparare a gestire la carrozzina, governare l’equilibrio e la manovrabilità abbinata ai fondamentali della pallacanestro: palleggio, passaggio e tiro. Agli allenatori normodotati che si vogliono avvicinare dico: prima siediti sulla carrozzina e vedi cosa significa».

Poi c’è il nodo delle barriere architettoniche, che nei principali impianti romani non mancano. «Al PalaLottomatica e al Palazzetto, nonostante alcuni lavori di ammodernamento, il percorso per le carrozzine è sempre tortuoso. Manca un impianto moderno di media capienza senza barriere anacronistiche».

Andrea Cherubini e Matteo Cavagnini sono le torri della formazione romana. Due destini incrociati dal dramma di un incidente subìto in età giovanile e dalla riscoperta della vita grazie allo sport. Cherubini è il Francesco Totti del Santa Lucia, quindici anni con la stessa maglia e nessuna intenzione di mollarla, ma anche un campione olimpico polisportivo (c’è la scherma oltre al basket) e plurimedagliato: «La mia vita ruota intorno a mio figlio Joel, alla mia compagna e al coach Carlo Di Giusto (sorride, ndr). Nel 1991 ero ricoverato all’Aurelia Hospital, dopo aver subito un’amputazione, e altri ragazzi che praticavano lo sport per la riabilitazione mi hanno convinto a provare e da allora non ho più smesso con ottimi risultati».

Il bresciano Cavagnini invece è alla seconda stagione al Santa Lucia. «A quattordici anni un incidente in motorino mi ha stravolto l’esistenza con l’amputazione di un arto inferiore. Un dramma che ti toglie la voglia di sudare, di fare, di confrontarti con la gente. Il basket mi ha ridato una vita, mi ha aiutato ad accettare me stesso e la mia condizione. Tutto questo non sarebbe possibile senza l’amore e il supporto di mia moglie e delle mie due figlie».

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