di Gabriele Santoro
CASTEL VOLTURNO - Il piccolo Manuel, meno di un anno di vita, figlio di una giovane donna nigeriana strappata alla prostituzione della via Domiziana e accolta dal Centro per immigrati Fernandes di Castel Volturno ti guarda con gli occhi e il sorriso inconsapevole del mondo difficile che lo circonda e lo aspetta. Al momento sono quattro le ragazze nigeriane ospitate nel Centro: una goccia nel mare delle oltre 500 donne vittime della tratta sessuale nella zona.
Dalle finestre del terzo piano dell'unico centro accoglienza di tutta la Campania si scorgono i materassi, le tende e i tappeti rivolti verso la Mecca che nelle notti estive castellane si affollano di migranti. Il Fernandes (operativo su legge regionale dal 1996), tenuto aperto dalla Caritas con un organico ridotto all'osso e da realtà di volontariato, accoglie all'interno oltre settanta persone che raddoppiano per il pernottamento nel parcheggio esterno, dove Miriam Makeba ha finito i propri giorni cantando per la dolente Africa italiana. Un punto di riferimento aperto 365 giorni all'anno che offre ai migranti: assistenza legale con lo sportello del patronato Acli, assistenza sanitaria con gli ambulatori dei medici volontari dell'Associazione "Jeremy Masslo", un servizio mensa, corsi di lingua italiana e mediazione culturale tutto a carico della Diocesi di Capua senza alcun contributo economico delle istituzioni locali.
Le cifre evidenziano una sproporzione demografica e una miscela che in assenza di politiche d'integrazione e legalità può diventare esplosiva: alla popolazione locale di 23mila abitanti si somma in questo periodo un corpo vissuto come estraneo di oltre diecimila migranti originari soprattutto dell'Africa sub-sahariana (in maggioranza ghanesi e nigeriani). Il malcontento nella cittadinanza è diffuso e questa presenza viene considerata come un ostacolo al rilancio turistico della zona.
In un territorio contaminato e controllato da una criminalità organizzata florida e feroce la manovalanza e la gestione di alcuni settori criminali dal ricco indotto economico, come lo spaccio e la prostituzione, viene appaltata o lasciata alla malavita straniera da quella albanese a quella nigeriana. Una polveriera sempre pronta a infiammarsi nell'agglomerato, nell'ecosistema più complesso e dall'equilibrio costantemente instabile dell'immigrazione italiana non governata. Non è lontano il ricordo delle violenti proteste all'indomani della strage camorristica dei sei migranti nel settembre 2008.
La crisi economica ha portato a Castel Volturno parte del motore umano delle fabbriche del nord del Paese: tutti operai migranti regolari rimasti senza lavoro e privi di tutele sociali. Nel Centro e nelle fatiscenti abitazioni dei quartieri ghetto, scrutabili senza particolari ricerche puoi trovare i reduci della "guerra" di Rosarno, i braccianti stagionali estivi per la raccolta dei pomodori (ricca produzione autoctona) o gli "indiani invisibili" che pullulano nelle aziende bufaline e secondo il rapporto dell'Oim vivono anche nelle stesse stalle in cui lavorano. L'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) ha sollecitato le autorità italiane a indagare sulle "deplorevoli condizioni di lavoro" dei migranti. All'alba il sole deve ancora sorgere quando inizia la lunga marcia del pendolarismo migrante verso "le rotonde degli schiavi" di Villa Literno, Villaricca, Giugliano, Casal di Principe, Mugnano. Ci si schiera in fila in attesa di essere scelti per i lavori di giornata nell'edilizia, nei campi agricoli con paghe che oscillano dai 25 ai 40 euro quotidiani. Sempre in agguato la guerra tra poveri con la sfida al salario più basso. La sera quando il sole sfuma lungo la Domiziana sembra di essere in una qualunque città africana: sfrecciano colonne di biciclette con schiene piegate dalla fatica e un ritorno in una casa che non ha nulla di accogliente.
Perché gli africani scelgono Castel Volturno? Perché qui in qualche modo la vita si arrangia, si sbarca il lunario e con i molti connazionali presenti è un po' come sentirsi a casa. In secondo luogo c'è una grossa offerta abitativa. L'inquinamento del litorale domizio ha portato a un progressivo abbandono del patrimonio immobiliare e residenziale, per lo più abusivo, sorto a partire dagli Anni Settanta mentre il primo flusso di immigrati è iniziato ad arrivare negli Anni Ottanta. Quelle che erano residenze estive, ormai in totale stato di dismissione e molte delle quali senza servizi (acqua, fogna, luce), ora vengono affittate dagli italiani ai migranti anche a circa ottocento-novecento euro al mese in nero da suddividere sempre dal numero igienicamente insostenibile di inquilini.
In tutte le difficoltà Antonio Casale, direttore del Fernandes, conferma l'impegno dell'accoglienza: "Allo Stato spetta la riaffermazione della legalità. Noi non derogheremo al nostro dovere di assistenza e d'integrazione a fronte di un welfare pressoché inesistente".
(Foto di Michele Docimo)
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