venerdì 11 ottobre 2013

Susanna Basso, l'anima italiana delle opere del Nobel per la letteratura Alice Munro

Il Messaggero, sezione Cultura pag. 1-22,
 11 Ottobre 2013

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

Ieri Susanna Basso (
nella foto) ha vissuto una giornata particolare. La distanza oceanica che la separa da Alice Munro è stata colmata dalla gioia per il Nobel. È uscita dal cono d’ombra che spesso avvolge il mestiere complesso e duro del traduttore. «Il primo suo libro che tradussi, dodici anni fa, fu Il sogno di mia madre - dice Basso - poi ho compiuto un viaggio nel tempo delle sue opere. Ma in Italia era già arrivata grazie a piccoli editori coraggiosi, quali La Tartaruga, Serra e Riva, E/O. La Einaudi la fece conoscere al grande pubblico. L’ho adorata dalla prima lettura».

È rimasta spiazzata dall’assegnazione del Nobel?

«Mi ha sorpreso completamente, ma ci speravo tantissimo. Per rievocare il titolo di una sua raccolta di racconti: sento Troppa felicità!»

«Me ne ero dimenticata, ma è meraviglioso». Munro prima è apparsa disincantata, poi si è sciolta. La ritraggono sfuggente e impenetrabile. Lei l’ha incontrata?

«La reazione è in linea con il suo carattere. In lei credo convivano due grandi personalità: da una parte l’autrice consapevole del proprio valore, dall’altra la donna che scriveva storie senza smettere di dire allo specchio: chi ti credi di essere? L’ho incontrata una sola volta ma mi fece un’ottima impressione: elegante e ironica».

Concorda o aggiungerebbe qualcosa alla motivazione del premio: «Maestra del racconto contemporaneo»?

«Sì. È una grande maestra del narrare. Parte da un piccolo gomitolo di storie, che poi continua a dipanare senza abbandonare gli stessi embrioni narrativi che invecchiano nel senso più alto. Dice: “Scrivo da dove mi trovo nella vita”. Da lì riprende i bandoli dei racconti e ce li ripropone sempre diversi, nonostante contengano gli stessi personaggi, gli stessi scenari tra l’est e l’ovest del Canada. Tra l’Ontario e Vancouver. Tempi e spazi si scambiano nel corso dei suoi racconti e riesce comunque ogni volta a sorprenderti».

In che modo si è evoluta la sua costruzione dei racconti, che appaiono sempre più diretti e cruenti?
 
«L’evoluzione è molto interessante. I suoi primi racconti erano più radicati nel quotidiano. La sua scrittura è andata asciugandosi. Sì, nelle ultime raccolte ci sono racconti feroci. La violenza che prima era suggerita diventa manifesta. Le cose vengono raccontate con una libertà senile sempre più rilevante. Di particolare interesse è l’operazione che fa sul genere autobiografico in La vista da Castle Rock. Mescola la finzione alla sua vita. Appare lievissima la differenza tra biografia e narrativa».

Il Nobel la farà tornare sulla scelta di non scrivere più?

«Già due volte ha annunciato che avrebbe smesso. L’ultima volta dopo Uscirne vivi che sarà pubblicato da Einaudi. È bellissimo pensare a una terza, imprevedibile, smentita».


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