lunedì 21 ottobre 2013

Pasticceria, moda e design: la creatività in carcere per reinventarsi con il lavoro

Il Messaggero, sezione Macro pag. 19, 
21 ottobre 2013

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

LE STORIE
«V.S. si muoveva con pesantezza. Le braccia mostravano segni evidenti di ferite da taglio, leggere ma fitte. All’inizio era schiva, mi fissava con l’ira negli occhi e chiedeva alle guardie di essere riportata in cella. Tra tessuti, lane, bottoni e filati ha compiuto il primo passo verso il cambiamento: ha trovato la materia per trasformarsi. Noi abbiamo governato artisticamente i suoi eccessi, lei ha scoperto la propria grazia». Monica Cristina Gallo, fondatrice dell’associazione La Casa di Pinocchio, racconta l’impresa quotidiana che si sviluppa nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Un laboratorio tessile dietro le sbarre, sostenuto dalla Compagnia San Paolo, in cui la capacità di progettare e produrre da materiale riciclato di un gruppo di detenute, contrattualizzate e retribuite, ha portato due anni fa alla nascita di Fumne, un marchio di moda ormai commercializzato nei negozi.

CALL CENTER E CERAMICA
Nella difficile realtà dei penitenziari italiani esistono delle oasi con numeri ancora molto piccoli, dove vi sono gli strumenti per attuare con risultati eccellenti il dettato costituzionale di rieducazione del condannato. Storie di riscatto sociale che cambiano la vita a chi ha sbagliato e costituiscono una sfida culturale per il Paese.

A Natale lo squisito panettone, sfornato dentro al Due Palazzi di Padova, registra spesso record di ordini. La pasticceria I Dolci di Giotto è il fiore all’occhiello del Consorzio Rebus, che dal 1990 porta avanti l’integrazione mediante l’occupazione vera. Nelle varie attività (call center, officina meccanica, produzione di ceramica) sono impiegati circa 130 detenuti, che arrivano a guadagnare anche novecento euro al mese. «Non pratichiamo assistenzialismo: qui si compete sul mercato con la qualità del manufatto e la professionalità. Abbattiamo sul campo la recidiva: chi impara un’arte raramente torna a delinquere», evidenzia il presidente Nicola Boscoletto.

Il filo che unisce queste esperienze cooperativistiche è la creatività. A Rebibbia si sogna di aprire il primo museo d’arte contemporanea in un carcere. Un’idea visionaria coltivata da Luca Modugno, che da privato cittadino, in accordo con la direzione della casa di reclusione romana, ha fatto decollare la declinazione sociale della cooperativa Artwo, che investe nel design ecosostenibile. In un laboratorio s'incontrano artisti e detenuti, che nascondono talenti, e dalla decontestualizzazione e il riuso di scarti industriali prendono vita nuovi oggetti belli e utili.


© RIPRODUZIONE RISERVATA  

Nessun commento: