Nella televisione, che spesso lucra sul
dolore, Matilde D'Errico con la trasmissione Amore criminale ha
saputo ritagliare, su Raitre, uno spazio di civiltà e reale servizio
pubblico. Quell'esperienza di ascolto e denuncia sociale catodica,
oggi è condensata nelle pagine di un libro, dall'omonimo titolo,
pubblicato da Einaudi. Un'idea arcaica di possesso e controllo è il
filo nero che unisce le storie di violenza sulle donne in quanto
tali, narrate dall'autrice.
La scrittura mostra un profondo senso
di rispetto per le vittime e soprattutto per le ferite non
cicatrizzabili di chi resta, dei familiari che cercano di
sopravvivere all'assenza. Il femminicidio, termine polisemico che
esprime la forma estrema di violenza di genere, non viene derubricato
a mero fatto di polizia e giustizia. Non è neppure solo questione di
statistica, che comunque serve, perché nei grandi numeri e negli
strepitii dell'emergenza scompaiono le individualità. Corriamo il
rischio dell'assuefazione all'indicibile, ai silenzi che condannano.
Trascorrono le giornate, ma
riecheggiano sempre vivide le parole rivolte alla madre dall'iraniana
Reyhaneh Jabbari prima dell'impiccagione: «Ho capito che la bellezza
non è fatta per questi tempi. La bellezza dell’aspetto, la
bellezza dei pensieri e dei desideri, la bella calligrafia, la
bellezza degli occhi e di una visione, e persino la bellezza di una
voce piacevole». Maria Rosaria, Adriana, Sabrina, Beatrice, Veronica
e Giulia hanno incontrato uomini incapaci di comprendere la bellezza
propria della libertà, spingendosi fino all'assassinio dell'altrui
individualità. D'Errico però saggiamente invita a non considerare
il crimine un evento che riguarda solo il carnefice e la vittima. È
una lotta dura e ancora lunga tra inconciliabili visioni culturali
del mondo.
Due studi recenti e autorevoli,
prodotti dall'Unione Europea e dal World Economic Forum, lo
testimoniano, fotografando la preoccupante realtà del Vecchio
Continente e focalizzando aspetti dirimenti del divario di genere in
Italia. Il Global Gender Gap Index 2014, diffuso dall'Istituto
ginevrino, allarga lo spettro d'analisi sul problema strutturale, e
correlato, della discriminazione. L'Italia, ultimo tra i paesi
industrializzati, si posiziona nella classifica delle disparità al
69° posto su 142 nazioni prese in esame. Non basterà forse un
secolo per colmarlo. Piombiamo dal 97° al 114° per la presenza di
donne in campo economico.
Il vasto rapporto Violence against
women, curato dall'Agenzia per i Diritti Fondamentali di Vienna,
stima che nei dodici mesi precedenti alle interviste, condotte ai
fini della rilevazione, tredici milioni di donne in Europa abbiano
subito violenze psicologiche, e circa quattro milioni fisiche. Del
campione di 42mila intervistate, tra i 15 e i 70 anni, solo il 4%
dichiara di aver sporto denuncia alle autorità competenti. Il 35%
dichiara di aver patito abusi prima della maggiore età. D'Errico
sottolinea la trasversalità sociale, professionale e culturale di un
fenomeno ancora molto sommerso, e i dati confermano: il 75% delle top
manager e il 74% delle professioniste interpellate dice di essere
stata vessata da molestie.
«La violenza è una scelta, non
impulso irrefrenabile che si manifesta all'improvviso. Gli uomini
violenti demoliscono giorno dopo giorno la dignità e l'autostima
delle donne che hanno accanto. La chiamata in causa è per tutti»,
conclude la regista.
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