sabato 1 novembre 2014

L'amore criminale

di Gabriele Santoro

Nella televisione, che spesso lucra sul dolore, Matilde D'Errico con la trasmissione Amore criminale ha saputo ritagliare, su Raitre, uno spazio di civiltà e reale servizio pubblico. Quell'esperienza di ascolto e denuncia sociale catodica, oggi è condensata nelle pagine di un libro, dall'omonimo titolo, pubblicato da Einaudi. Un'idea arcaica di possesso e controllo è il filo nero che unisce le storie di violenza sulle donne in quanto tali, narrate dall'autrice.

La scrittura mostra un profondo senso di rispetto per le vittime e soprattutto per le ferite non cicatrizzabili di chi resta, dei familiari che cercano di sopravvivere all'assenza. Il femminicidio, termine polisemico che esprime la forma estrema di violenza di genere, non viene derubricato a mero fatto di polizia e giustizia. Non è neppure solo questione di statistica, che comunque serve, perché nei grandi numeri e negli strepitii dell'emergenza scompaiono le individualità. Corriamo il rischio dell'assuefazione all'indicibile, ai silenzi che condannano.

Trascorrono le giornate, ma riecheggiano sempre vivide le parole rivolte alla madre dall'iraniana Reyhaneh Jabbari prima dell'impiccagione: «Ho capito che la bellezza non è fatta per questi tempi. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, la bella calligrafia, la bellezza degli occhi e di una visione, e persino la bellezza di una voce piacevole». Maria Rosaria, Adriana, Sabrina, Beatrice, Veronica e Giulia hanno incontrato uomini incapaci di comprendere la bellezza propria della libertà, spingendosi fino all'assassinio dell'altrui individualità. D'Errico però saggiamente invita a non considerare il crimine un evento che riguarda solo il carnefice e la vittima. È una lotta dura e ancora lunga tra inconciliabili visioni culturali del mondo.

Due studi recenti e autorevoli, prodotti dall'Unione Europea e dal World Economic Forum, lo testimoniano, fotografando la preoccupante realtà del Vecchio Continente e focalizzando aspetti dirimenti del divario di genere in Italia. Il Global Gender Gap Index 2014, diffuso dall'Istituto ginevrino, allarga lo spettro d'analisi sul problema strutturale, e correlato, della discriminazione. L'Italia, ultimo tra i paesi industrializzati, si posiziona nella classifica delle disparità al 69° posto su 142 nazioni prese in esame. Non basterà forse un secolo per colmarlo. Piombiamo dal 97° al 114° per la presenza di donne in campo economico.

Il vasto rapporto Violence against women, curato dall'Agenzia per i Diritti Fondamentali di Vienna, stima che nei dodici mesi precedenti alle interviste, condotte ai fini della rilevazione, tredici milioni di donne in Europa abbiano subito violenze psicologiche, e circa quattro milioni fisiche. Del campione di 42mila intervistate, tra i 15 e i 70 anni, solo il 4% dichiara di aver sporto denuncia alle autorità competenti. Il 35% dichiara di aver patito abusi prima della maggiore età. D'Errico sottolinea la trasversalità sociale, professionale e culturale di un fenomeno ancora molto sommerso, e i dati confermano: il 75% delle top manager e il 74% delle professioniste interpellate dice di essere stata vessata da molestie.

«La violenza è una scelta, non impulso irrefrenabile che si manifesta all'improvviso. Gli uomini violenti demoliscono giorno dopo giorno la dignità e l'autostima delle donne che hanno accanto. La chiamata in causa è per tutti», conclude la regista.

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