Pubblichiamo la seconda parte del pezzo che racconta la storia di Shirley Chisholm. Qui la prima puntata: buona lettura.
di Gabriele Santoro
Rosa Parks con Shirley Chisholm |
Chisholm era convinta che negli anni Sessanta le sfide poste nel decennio precedente al segregazionismo avrebbero proseguito a scuotere il paese. Aderì all’atto fondativo del movimento femminista National Organization for Women. Nel 1954 la sentenza della Corte Suprema sul caso Brown versus Board of Education of Topeka, che dichiarava incostituzionale la segregazione scolastica, aveva riacceso la lotta. Il primo febbraio del ’60 quattro giovani afroamericani, violando le leggi del Sud razzista, si sedettero per consumare il pranzo al Woolworth’s Store a Greensboro e rifiutarono di andarsene, prima di essere serviti come il cliente bianco. L’esempio che diede coraggio alla moltitudine degli oppressi nel nome di Emmett Till. Rosa Parks aveva già detto di essere stanca di cedere il posto e guardava lontano fuori dal finestrino.
La nonna di Ella Baker da schiava non aveva accettato di sposare l’uomo scelto dal padrone. La nipote è stata una delle principali protagoniste della battaglia contro la legislazione Jim Crow nel profondo Sud: «Occorreva far comprendere alle persone che avevano un potere da utilizzare nel solo caso in cui avrebbero preso coscienza di quel che stava avvenendo e che i gruppi di azione, la collettività era in grado di controbattere alla violenza», diceva Ella. Milioni di americani ispirati dalla militanza politica degli attivisti per i diritti civili credettero che le iniziative collettive potessero aprire le porte esclusive dei club politici e influenzarne l’agenda. La mobilitazione di massa, combinata alla disobbedienza civile, assumeva un’importanza indissociabile dalla presenza al voto e dalla candidatura dei neri. La lotta per i diritti civili al Nord, specialmente a Brooklyn, era abbastanza diversa dal Sud. La popolazione nera di Brooklyn pativa la segregazione de facto, che incideva dal lavoro al diritto all’abitare, con l’esclusione dalla rappresentanza politica, ma non sperimentava la brutalità dello stato di apartheid, violenza e morte del Sud.
Nel 1964 la disponibilità di un posto presso la Corte Civile di Brooklyn spinse Shirley al grande balzo. L’avvocato Tom Jones, dopo un mandato nell’Assemblea dello Stato di Nyc ad Albany, decise di correre come giudice. Dopo una lunga e fruttuosa gavetta decennale Shirley non diede attenzione a voci ostili o contrarie e si candidò senza riserve per quel seggio lasciato vacante. Shirley autofinanziò, 4mila dollari in totale, una durissima campagna elettorale estiva strada per strada con un messaggio chiave: voglio servire la mia comunità da dove si giostra il comando. Shirley vinse, raccogliendo 18151 voti, con un margine ampio nella corsa a tre contro il candidato liberale e quello repubblicano. Il 1964 fu uno spartiacque per lo Stato di New York e non solo: eletta Chisholm, il reverendo Martin Luther King Jr vinceva il Nobel.
In realtà dietro alla vittoria ad Albany c’è anche un uomo. Andrew Cooper lasciò un segno permanente nel panorama politico locale e nazionale, intentando una causa per la ridefinizione dei confini dei distretti elettorali di Brooklyn. La sua causa come altre (Baker v. Can; Reynolds v. Sims) tra il 1962 e il 1964 affrontarono il nodo della natura geopolitica della rappresentanza congressuale. L’impatto di queste sentenze e la conseguente redistribuzione incrementarono la rilevanza e il potere politico delle aree urbane. A Brooklyn la causa Cooper v. Power produsse la creazione del New York Twelfth Congressional District che nel 1968 elesse Chisholm al Congresso.
Fu stretto il rapporto di Chisholm con il senatore dello Stato di New York, Robert Francis Kennedy. Un prodotto di quella politica è stato ed è la Bedford-Stuyvesant Restoration Corporation, il primo modello di associazione no profit negli Stati Uniti, che a dicembre compirà quarant’anni di attività, per lo sviluppo di una comunità, per migliorare le condizioni di vita e le opportunità di occupazione in quell’area depressa di Brooklyn.
Shirley continuerà sempre a danzare dentro e fuori dal sistema. L’ampia base elettorale e il consenso costruito nel tempo le consentivano di non subire le ritorsioni, l’esclusione riservata a chi non si allineava al partito. Essere dissidente non comportava alcuna deroga al ruolo legislativo. All’assemblea di Albany presentò cinquanta progetti di legge, otto quelli approvati: un numero sopra la media.
A quarantacinque anni dal primo progetto di legge sul tema, firmato Chisholm, la categoria professionale dei lavoratori e delle lavoratrici domestiche nello Stato di New York ha conquistato il Domestic Workers Bill of Rights, che nel contesto giuridico del New York State Human Rights Law mette nero su bianco le tutele invocate da Chisholm. I programmi del suo Seek (Search for Education, Elevation, Knowledge) sono componenti integranti della vita accademica della City University of New York e della State University of Nyc. Sempre vigile sulle materie di propria competenza, la scuola su tutte, si segnalò per un’accesa battaglia contraria al finanziamento statale delle scuole private. Shirley si spese invano per un progetto di legge, che mantiene la propria attualità. Voleva rendere obbligatorio per diventare poliziotti la frequenza accademica di corsi sui diritti e sulle libertà civili per una cultura del rispetto delle minoranze e dei rapporti interrazziali.
Fino alla metà degli anni Sessanta a New York la mappa elettorale per il Congresso privava dell’efficacia il diritto di voto delle minoranze. La sentenza della Corte Suprema, che decretò che i distretti fossero di eguale misura, compatti e contigui senza dividere e disperdere il voto nero, consentì a Chisholm di immaginare la strada verso Washington.
Superate le ruggini, ottenne il sostegno indispensabile del mentore Holder, mancò invece quello di Kennedy, propenso al contendente Thompson. Nel 1968 vedevano a portata di mano un traguardo storico. Furono dieci mesi di campagna elettorale durissima trascorsa a raccontare la storia di una giovane donna figlia di immigrati, emigrata a propria volta, che aveva deciso di sfidare e battere intanto il proprio grande partito. Shirley coniò lo slogan: «Fighting Shirley Chisholm – Unbought and Unbossed». Un manifesto vincente per dire due cose essenziali: il mio voto non è in vendita e più in profondità sono emancipata dalla schiavitù e dal colonialismo; sono una donna forte che non si fa comandare tanto a casa quanto nell’organizzazione politica.
Dopo la vittoria alle primarie Shirley si sentì male. O è incinta o è un cancro, sentenziò il medico alla prima visita. La biopsia scongiurò la malignità del fibroma. Dopo l’intervento riuscito e il decorso post operatorio tornò a casa emaciata, ma decisa a riprendere la strada: «Questa è la combattente Shirley Chisholm. Sono in piedi, in giro, a dispetto dei mormorii della gente».
La questione di genere fu utilizzata dagli avversari, mentre lei non caratterizzò la propria campagna congressuale in chiave femminista. Holder studiò a fondo l’elettorato e un dato deponeva a loro netto favore: per ogni uomo registrato nelle liste del distretto c’erano 2.5 donne, era il tallone d’Achille dei repubblicani. Nel quartiere le famiglie, le case erano guidate soprattutto dalle donne che si registrarono in massa per votare. Erano attive nei club politici, dunque occorreva coinvolgerle, fare rete. Un fattore determinante ignorato dagli avversari. «Le donne sono considerate cittadine di seconda classe come i neri. Una quantità immensa di talenti è sprecata dalla nostra società solo perché quel talento indossa una gonna. Voglio che giunga il tempo nel quale non vedremo più le differenze in base al sesso e al colore della pelle. La discriminazione contro le donne in politica è particolarmente ingiusta, perché non ho visto nessuna organizzazione funzionare senza di loro. Per anni sono rimasta dietro le quinte e ho lavorato per piazzare gli uomini negli uffici politici, scrivendo i loro discorsi e suggerendo come rispondere alle domande».
Il contendente, un afroamericano da Harlem, Farmer, era un leader del movimento per i diritti civili dalla comprovata qualità oratoria, che non tentennò nello scaricare Nixon inviso ai neri di Brooklyn, annunciando il voto per Hubert Humphrey. Farmer ricevette l’endorsement da celebrità quali Nina Simone. Le due candidature erano il segno dei tempi, travolti però in quel cruciale 1968 dalla violenza assassina che fece ripiegare il Paese. La campagna di Farmer, sposato con una donna bianca, si distinse per il maschilismo, ma non era una novità. Le donne erano marginalizzate anche dentro al movimento per i diritti civili. Nella grande marcia dell’agosto 1963 a Washington, Dorothy Height, al vertice del National Council of Negro Women, fu l’unica fra i leader delle maggiori organizzazioni a non parlare dal palco.
Nei dibattiti e confronti diretti Chisholm sbaragliò Farmer tanto quanto nelle urne: 34.885 voti a 13.777. Un trionfo che le diede la ribalta nazionale e le prime pagine dei giornali, ormai era bombardata dalle richieste di interviste. È interessantissimo in questo senso il lavoro di analisi sui media di Erika Falk: Women fot President, Media Bias in Eight Campaigns. Chisholm era spesso etichettata dalla stampa con lo stereotipo della femminista arrabbiata.
Shirley si è sempre presentata in anticipo sulla Storia. All’apertura della novantunesima sessione del Congresso degli Stati Uniti arrivò invece con un po’ di ritardo e infranse una delle tradizioni venerate della casa, prima di procedere al giuramento, entrando con il cappotto e il cappello ancora indosso. I deputati le chiedevano: «Che cosa ne pensa tuo marito dell’elezione?».
Non allestì uno staff personale all black, misurando invece la scelta sulla competenza, l’esperienza e la lealtà. Si distinse subito in una battaglia feroce riguardante l’assegnazione nelle commissioni. La destinarono alla Commissione agricoltura e alla subcommissione Forestale, mentre lei chiedeva quella dedicata a Educazione e lavoro. Affrontò, cosa inedita per un debuttante al Congresso, lo speaker McCormack riuscendo a variare l’indicazione iniziale. Vinse anche questa battaglia con l’insolita approvazione della stampa newyorchese. La spostarono alla Commissione per i Veterani di guerra. «Nel mio quartiere ci sono molti più reduci che alberi», commentò soddisfatta.
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