Il Romanista, pag. 9, 5 gennaio 2010
ROMA - Svetislav Pesic è un personaggio unico, mai banale. È sul podio insieme a Ettore Messina e Zelimir Obradovic dei tecnici più vincenti d’Europa degli ultimi vent’anni. Amato e odiato nella sua parentesi romana (dal gennaio 2005 al giugno 2006), ricordato per frasi storiche come “Se vincemo grande coach, se perdemo solo coach” e per il modo speciale in cui vive la panchina. Nell’era Toti è stato l’allenatore che ha offerto il rendimento e i risultati migliori, rispetto alla squadra messa a disposizione. Discutibile lo stile capelliano del suo brusco addio per tornare nell’amata terra di Catalogna. Dalla sua Belgrado, dove si sta godendo un anno sabbatico, ci parla della Virtus, dell’Eurolega e della Serbia ritrovata.
Quanto le manca una panchina da top-team europeo e il sapore della vittoria?
«Dopo una carriera di trent’anni senza pause ho deciso di stare fermo per una stagione. Al momento sto discutendo diverse offerte sia con squadre di club sia con nazionali. La mia giornata è sempre piena di pallacanestro con molti clinic per addetti ai lavori. Poi sono impegnato nella rappresentanza Adidas e a febbraio sarò negli Stati Uniti. La voglia di vincere è quella di sempre».
Roma non sta vivendo un momento felice. Claudio Toti a fine stagione sarebbe pronto a lasciare. Come sono stati i suoi rapporti con il presidente?
«Molte persone hanno tentato di creare dissidi tra me e il presidente, ma il mio rapporto con lui è stato eccellente. Il problema di Toti è che è solo, a dispetto delle tante persone che pretendono di aiutarlo. Un uomo da solo non può raggiungere risultati. Porto un profondo rispetto per la sua persona, per gli investimenti e la passione che ha messo nella pallacanestro. Senza di lui la vedo dura per il basket di alto livello a Roma».
Si rimprovera qualcosa per come ha lasciato Roma? Con un po’ più di pazienza non avrebbe potuto vincere anche qui?
«Tornare indietro purtroppo è impossibile. Il mio problema è stato quello di volere vincere subito, per quella che è la storia della mia carriera. Non ho trovato la mia stessa passione e fame nel lavoro. Ma penso di aver profuso il massimo impegno. Siamo arrivati a un supplementare dalla vittoria in Coppa Italia. Abbiamo riportato l’entusiasmo al Palaeur con due semifinali e la qualificazione europea. Se li ricorda? Io non dimentico quegli spalti».
Ha parlato con Bodiroga dopo il suo addio alla Capitale?
«Dejan (Bodiroga, ndr) è sereno. Sta riorganizzando la sua vita a Belgrado, dopo aver lasciato tanti anni fa il suo paese in tenera età. Ci siamo confrontati anche sulla Virtus e lui ha la mia stessa opinione. Toti è troppo solo».
Dopo molti anni la Serbia è tornata competitiva negli Europei in Polonia. Quali sono i giovani più interessanti?
«La Serbia è un altro mondo rispetto a paesi come la Spagna, l’Italia. Il basket è lo sport più popolare, un po’ come in Lituania o in Slovenia, si respira la passione per le strade con un bacino di talenti potenzialmente enorme. Negli ultimi anni, dopo il trionfo al Mondiale di Indianapolis, la nazionale maggiore non ha ottenuto risultati importanti, ma si è lavorato molto sulle giovani generazioni. C’è stata una nuova covata di talenti. Nemanja Bjelica e Marco Keselj sono i giocatori più interessanti, possono ricoprire diversi ruoli. Poi c’è Boban Marjanovic (alto 221 cm, 127 kg), un centro molto interessante in forza all’Hemofarm (tutti e tre classe 1988, ndr). Nei top-team europei abbiamo gente di valore lanciata dal Partizan come Velickovic e Tepic».
Non pensa che gli agenti abbiano troppo potere di condizionare le società, soprattutto quelle deboli?
«Questo è un argomento molto interessante, ma ci vorrebbe molto tempo per svilupparlo. Gli agenti sono una parte importante dello sport. Penso che sia necessaria una cooperazione leale. Dal mio punto di vista i procuratori non devono interferire nello sviluppo tecnico del giocatore, quello è un lavoro che spetta solo all’allenatore».
Non trova noiosa l’attuale Eurolega, con il gap economico stratosferico tra le squadre?
«La crisi economica che ha travolto il mondo ha aumentato la distanza economica tra i club. Questo è negativo, ma ha anche aspetti positivi. Può costringere le squadre a non comprare giocatori tanto per farlo, ma per costruirli in casa, progettare e produrre in proprio. Secondo me Roma ha un’idea interessante in questo senso. Si trova un buon nucleo di italiani, a partire da Datome e da quel playmaker di due metri (Vitali, ndr). L’Italia purtroppo non è ricca di prospetti, ma ci sono giovani molto interessanti come Aradori, Melli e soprattutto Gentile. La Virtus si riprenderà con il sostegno dei tifosi e deve difendere gli altri due anni di licenza per l’Eurolega».
Boniciolli è la scelta giusta?
«Conosco Matteo da vent’anni. È un ottimo coach, carismatico e con molta esperienza nel campionato italiano. Può far risalire la squadra, anche se purtroppo le finali di Coppa Italia sembrano compromesse. Due anni fa mi impressionò positivamente la sua Avellino».
Il Barça riporterà l’Eurolega in Spagna?
«Credo che alle Final Four ci sarà un derby spagnolo con il Real Madrid, poi il solito Panathinaikos. Siena quest’anno credo si giocherà il posto con l’Olympiakos, che è più talentuosa ma meno squadra».
Il quintetto ideale di giocatori allenati da Svetislav Pesic.
«Vuole mettermi in difficoltà, ce ne sono troppi. Come point-guard Sasa Obradovic, sul perimetro Peja Stojakovic e Dejan Bodiroga, sotto canestro Teoman Alibegovic e Vlade Divac». Niente americani, c’erano pochi dubbi Svet.
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