martedì 22 giugno 2010

José Mourinho: nato per vincere

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=107506

di Gabriele Santoro


ROMA (21 giugno) – Un’estate per costruire l’Inter ideale. Otto mesi di traguardi intermedi tagliati quasi sempre in testa in un fiume di parole taglienti e fuochi d’artificio verbali. Trenta giorni per concretizzare cinicamente e scrupolosamente una storica tripletta nel segno del “Principe” Diego Milito.

Una notte magica per regalare ai tifosi interisti l’agognata Champions League in quel Santiago Bernabeu già scelto per saziare l’intima, voluttuosa fame di successi e di nuovi primati da tagliare. L’uragano José Mourinho in due anni ha fatto impazzire di gioia una tifoseria, ha eccitato e provocato stampa e televisioni con le costanti esternazioni da prima pagina e ha quantomai diviso l’Italia calcistica. Le lacrime finali in terra spagnola consumate con rapida disinvoltura sono sembrate più un corollario dovuto al trionfo, al protocollo d’addio all’Inter. Disarmante la lucidità e i tempi contingentati dell’annuncio di un altrove sportivo madridista già irresistibilmente meditato da mesi e da riempire di nuovi tituli. La poesia e i sentimenti con cui lo Special One ha conquistato indelebilmente il popolo nerazzurro si chiamano assoluta dedizione alla professione, trofei in serie e slogan in cui immedesimarsi e vendere come una maglietta di Samuel Eto’o.

José Marinho, giornalista sportivo portoghese di punta ora passato dall’altra parte della barricata come direttore sportivo del Guimaraes, grande conoscitore e confidente del celebre connazionale nel libro José Mourinho: nato per vincere (Cavallo di ferro, euro 14, pag. 228) racconta i segreti di uno stile inimitabile in panchina. «Un allenatore a cui piace la controversia, che si nutre di provocazione e che seduce per il suo gusto quasi schizofrenico dello scontro. È un uomo che per sua natura gioca all’attacco, ma che acquista grandezza nel modo in cui si difende». A immagine e somiglianza dell’Inter triplete. Una guida preziosa, aggiornata fino al successo di Madrid con le pagine a firma di Darwin Pastorin, per i Mou-dipendenti e per chi già inizia a sentirne la mancanza. Il libro approfondisce soprattutto l’esperienza al Chelsea di Roman Abramovich, in cui oltre a spendere con criterio le fortune del milionario russo è stata «rifondata una società e una squadra con uno spirito vincente. Il Chelsea prima identificato con la tifoseria chic di un ricco quartiere londinese, ora ha supporters in tutto il mondo».

Una nuova identità che è passata dalla costruzione di aspetti tangibili, come il fantastico centro di allenamenti di Cobham, e intangibili come la capacità di infondere nei giocatori una fiducia assoluta. «José è il primo produttore mondiale di autostima». Un tratto comune a tutte le esperienze del portoghese è la missione di far credere ai propri calciatori di essere i migliori al mondo. Così lo Special One spiega come abbia conquistato subito la squadra al suo sbarco londinese: «Dovevo dire chi ero, come funzionavo e, soprattutto, che ero un drogato del successo. E volevo sapere se anche loro avevano il mio stesso vizio».

Marinho snocciola i numeri straordinari dell’esperienza inglese: sei titoli di cui due scudetti in tre anni, 269 punti in tre Premier League contro i 249 dello United, 95 punti e record nella prima stagione. Non mancano le classiche punture di spillo a tecnici avversari come Claudio Ranieri e Rafael Benitez, erede designato sulla panchina interista. “Il rumore dei nemici” trasuda dalle pagine di Marinho, ma anche la stima per Van Gaal da cui ha imparato l’attenzione maniacale a tutti i dettagli. Il giornalista portoghese raccoglie poi una provocazione paradossale “E se Mourinho ci avesse rubato il calcio?” «Lui è l’uomo che sta rovinando il calcio con l’egemonia della sua perfezione. Mou è così competente in tutti gli aspetti del suo universo che nel considerarsi speciale ci ha rubato il calcio e l’ha tenuto tutto per sé». Si legge uno scambio di email tra l’autore e il tecnico precedente all’arrivo in Italia, dove riecheggia già la frase simbolo dell’addio al Bel Paese: «Non mi piace l’ipocrisia del calcio italiano. Non cambierò questo paese, ma neanche loro cambieranno me». Nulla lasciato all’improvvisazione.

Sia chiaro niente a che vedere con la romantica e appassionante prosa calcistica di Osvaldo Soriano, dove non c’è spazio per l’ammirazione di strategie comunicative o pianificazioni di sorta. Che cosa avrebbe scritto Soriano di Mourinho e del suo calcio fondato sul primato del denaro, sull’equilibrio tecnico/tattico e su una mentalità vincente? Lo scrittore argentino che in ”Ribelli, sognatori e fuggitivi” definiva così il ruolo dei tecnici: «Si ha la tendenza a esagerare la loro importanza. È stato patetico vedere il prof. jugoslavo Milutinovic, c.t. del Messico, tracciare un disegno fatto di punti, linee e crocette su un pezzo di carta mostrato allo sgomento Carlos de los Cobos, il quale si stava preparando per entrare al posto di Tomas Boy».

Il Soriano a cui basta una sola vittoria per restituire lo spazio infinito di una gioia lunga una vita e per celebrare il mito di un piccolo allenatore come el bambino Vieira «che si è intestardito a vincere il titolo con la società della sua infanzia, la derelitta su cui neanche un cane avrebbe scommesso un soldo, e a farci felici». «Magico San Lorenzo, cazzo! Vent’anni dopo el Ciclon torna a essere grande. Queste righe che sto scrivendo scendono dalla mano di Dio Onnipotente, vedo le lettere di “San Lorenzo campione” con la stessa nitidezza con cui Beethoven riusciva a udire al di là dei brusii e della sordità. Questo non sarà il Boca né il River ma ha la sua storia e un cuore grande come una lingua di cinghiale!» Marinho ci regala anche una lettera sincera del compianto Bobby Robson, maestro e amico dello Special One. «José mi piacerebbe che la tua reputazione fosse più simile a quella di Bill Shankly e meno a quella di Napoleone, un generale senz’altro brillante ma che, comunque, è finito male per il suo gusto per il conflitto».

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