di Gabriele Santoro
ROMA – A luglio la scelta di Miami e le accuse di tradimento per l’addio a Cleveland. Dopo le sconfitte di novembre dicevano che sarebbero serviti tre palloni per farli coesistere in campo. Il coach, Erick Spoelstra, non avrebbe avuto abbastanza carisma per gestire un tale cast di stelle. Le molte sconfitte subite durante la stagione regolare dagli altri top team dell’Nba segnalavano una presunta carenza di personalità. Nella notte italiana l’urlo festoso del tris d’assi LeBron James, Dwayne Wade e Chris Bosh ha spento le speranze dei Chicago Bulls e consegnato ai Miami Heat il titolo dell’Eastern Conference con un secco 4-1 nella serie di finale.
Ora alla consacrazione manca il passo più importante: da martedì parte la finalissima, remake del 2006, contro i Mavericks di Dirk Nowitzki. «Prima della scelta gli ho detto che nessuna dirigenza ha smontato la squadra per inserire due stelle free agent e poi vinto l’anello. Tra l’altro penso che abbia scelto la squadra sbagliata. Il modo con cui ha lasciato i Cavs è stata la più grande umiliazione nella storia dello sport.» Chissà che tra qualche settimana Mark Cuban, proprietario di Dallas, debba rivedere i pensieri estivi.
Il ragazzo diventato uomo ha lasciato le strade di casa, Cleveland, perché a volte per coronare i propri sogni bisogna allontanarsi da un nido pieno di troppe certezze. LeBron James (26 punti, 8 rimbalzi, 6.6 assist di media nelle cinque gare contro i Bulls), messo al mondo nel sobborgo malfamato di Akron e cresciuto dalla ragazza-madre Gloria James, protagonista in tutte le fasi del gioco ha dominato con lo strapotere fisico che lo rende il miglior atleta della pallacanestro mondiale. “King” James ha stravinto la partita nella partita con Rose. Il sistema di Tom Thibodeau ha fatto i conti con la realtà di tre fenomeni tanto in attacco quanto in difesa, senza dimenticare la panchina di tutto rispetto degli Heat grazie al recupero di un uomo di equilibrio come Udonis Haslem.
Il volto deluso di Derrick Rose racconta di una Chicago che ha provato ad allungare la serie con la modalità con cui aveva vinto gara uno: difesa aggressiva, ritmo bloccato e condivisione delle responsabilità offensive, 67-57 al 38’. Il leader dei Bulls e Mvp della stagione regolare è mancato (0/4 al tiro, 0/2 ai liberi, 2 stoppate subite e 2 palle perse, le cifre di Rose negli ultimi 5’ di partita) nel momento chiave e Thibodeau non ha trovato un’alternativa. In 3’14 James (28 punti e 2 triple micidiali per la risalita, 11 rimbalzi) e Wade (21 punti, 6 rimbalzi) hanno confezionato una rimonta spettacolare: Chicago crolla sotto un parziale terrificante di 18-3, da 77-65 all’80-83 finale.
«Palle perse, tiri sbagliati, falli commessi … So che tutto è sulle mie spalle. L’avventura è finita e posso solo farne esperienza per il futuro», è stato il commento laconico di Rose. «Il nostro linguaggio del corpo è cambiato nell’ultimo periodo: non ci siamo disuniti, abbiamo difeso forte e fatto canestro», ha spiegato James. «Vogliamo dimostrare a tutti di essere i migliori giocatori della Lega - ha sottolineato Chris Bosh (23 punti, 42/70 da2, 8 rimbalzi di media), fondamentale contro Chicago - Sappiamo che razza di campione sia LeBron. Sappiamo quanto bruci dalla volontà di affermarsi e questo non può che aiutare la squadra».
Allo United Center è finita con il talentuoso e ormai pensionato centro Alonzo Mourning che negli spogliatoi consegna il trofeo agli ex compagni di squadra. Nel frattempo a South Beach esplodeva la gioia dei tifosi Heat raccolti in strada davanti al maxi schermo. «Dove giocherai LeBron?» «Miami, South Beach. È una nuova sfida per vincere subito e nel futuro», parole e musica firmate “King” James.