venerdì 1 novembre 2013

Come vivevano i felici, la saga dei Madoff e quel suicidio rivelatore

Il Messaggero, sezione Cultura pag. 24, 
1 novembre 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

L’INTERVISTA
Massimiliano Governi non si accontenta della superficie; indaga il sottosuolo dei sentimenti, la psiche. Narra i disequilibri e raccoglie i frantumi di una famiglia che si credeva onnipotente, prima di cadere su sé stessa. Come vivevano i felici (Giunti, 139 pagine, 10 euro) non è la cronaca dell’ascesa e del declino dell’ineffabile trader, o del più grande truffatore di tutti i tempi, Bernard Madoff. L'autore, immedesimandosi e scrivendo in prima persona, assume il punto di vista del figlio suicida Mark per denudare un sistema onirico, crudele e la malattia di legami portatori di infelicità.

«Conoscevo approssimativamente la vicenda
 - dice Governi - e la finanza in sé non mi appassiona per nulla. Mi colpì però la notizia del suicidio di Mark. In una sorta di voyeurismo letterario mi imbattei nell’immagine tremenda, poi rimossa da Google, del volto gonfio con il sangue indurito dal naso dopo l’auto-impiccagione. La prima frase è nata lì; dal guinzaglio del cane con il quale si è tolto la vita: una metafora del rapporto con il padre dal quale non è riuscito a liberarsi».

Che cosa racconta di noi il disfacimento del family business Madoff?

«Dalla truffa finanziaria mi interessava tirare fuori quella familiare. Alla costruzione esteriore di mondi fittizi, corrispondeva quella interiore come accade in molti microcosmi familiari. Mi sono ispirato a famiglie letterarie come la Compson ne L’urlo e il furore di William Faulkner o la famiglia Pollit ne L’uomo che amava i bambini di Christina Stead».

In che modo ha interpretato il suicidio?

«Stava per essere coinvolto nelle indagini. La moglie voleva cambiare il cognome ai figli. Viveva tra minacce di tutti i generi, ossessionato dai commenti del web. Il giorno dell’anniversario dell’arresto del padre ha capito di essere l’agnello sacrificale di un sistema».

«Questo uomo mente», appunta su un quaderno una compagna di classe immaginaria di Mark. C’è mai stato un momento di autenticità nel rapporto padre-figlio?

«Quando confessa ai figli il crollo del sistema. Le parole della bambina rappresentano una visione fondamentale. La rincorre, come la verità che tenta di afferrare, ma scappa per poi svanire».

L’intreccio, circostanziato e documentato, appare ambientato in un non-luogo.
«Non sarei riuscito a scrivere la storia ambientandola negli Stati Uniti. Senza citare luoghi l’ho impostata in Italia, dove abbiamo assistito allo sgretolamento di famiglie potenti; come nel crack Parmalat. In realtà però ho trovato una terra di mezzo; un limbo nuvoloso, color cenere».

La figura di Bernie è indispensabile, ma latente nel plot; svelandoci la banalità feroce di un sistema finanziario farsesco.
«La Bernard Madoff Investment Securities era una scatola vuota; non producevano e vendevano beni: garantiva alti ritorni agli investitori, utilizzando le somme versate da nuovi clienti. Un ex bagnino di Long Island, lanciatosi dagli Anni ’60 nell’attività di brokeraggio, ha costruito un impero bugiardo: un caso di longevità unica per i “Ponzi scheme”. Godeva della fiducia di clienti facoltosi, istituzioni e colossi finanziari. Non l’ho visto come un mostro, piuttosto banale nella distorsione funzionale del valore denaro. Ha giostrato un gioco finito male per tanti innocenti».


© RIPRODUZIONE RISERVATA  

Nessun commento: