Il Messaggero, sezione Tutta Roma Agenda pag. 54,
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
IL CATALOGO
La fotografia in bianco e nero di Sebastiana Papa dà
alla vita consacrata il senso, apparentemente sfuggente, di apertura di sé agli
altri per l’incontro e l’accoglienza. Il suo primo scatto monastico risale al
1967 in Toscana, a Pontassieve. Lì cominciò un viaggio laico e appassionato,
durato oltre trent’anni, per raccontare la ricchezza quotidiana e la
complessità di una scelta radicale. Le donne, d’ogni culto, che cercano Dio,
appaiono nella potenza espressiva dei propri volti. «Non è stato facile portare
un mezzo così adatto all’indiscrezione in un mondo di donne che hanno scelto il
nascondimento. Si scommette con il tempo e s’impara la pazienza», si legge
negli appunti della fotografa abruzzese scomparsa nel 2002.
Papa ci ha lasciato un prezioso archivio fotografico e
documentale (appunti, pagine manoscritte e dattiloscritte, ritagli, le macchine
Leica usate), che nel 2006 la famiglia ha donato all’Istituto centrale per il
catalogo e la documentazione. Dalla valorizzazione di questo materiale vede la
luce Le Repubbliche delle donne (Postcart con ICCD, 460 pagine, 65 euro), che
era rimasto allo stadio del menabò. Laura Moro, direttrice dell’ICCD, lo
definisce «un testamento spirituale che racchiude la riflessione più profonda
della fotografa sull’universo femminile». Fino al 28 febbraio si terrà anche
un’esposizione presso la sede dell’ente a Trastevere (Via San Michele, 18).
Ella Baffoni e Katrin Tenenbaum hanno seguito l’impostazione
ereditata del lavoro, che costruisce un ponte tra passato e futuro. «Era
un’intellettuale schiva e raffinata, curiosa e generosa - ricordano le due
curatrici -. In queste pagine ha condensato più di trent’anni di una ricerca
sulle monache, non limitandosi al monachesimo cristiano, in una sorta di
antropologia comparata dei monasteri del mondo. Sebastiana ha colto l’anima di
queste Repubbliche delle donne e ha testimoniato il valore della comunità». Già
all’inizio dell’opera emerge questo aspetto: «Il monastero si presenta a chi ne
varca la soglia quale operoso microcosmo, quale città utopica in sé
autosufficiente e autonoma. (…) L’avventura monastica sa creare una catena di
energie che si trasformano in gesti, atti, sentimenti e pensieri un po’ simili
ovunque».
La foto nasce da un rapporto di fiducia e dal dialogo, che
Papa seppe creare mantenendo una forma di rispetto e di giusta distanza. Questo
volume riprende un percorso tematico fondamentale nell’attività e nelle
pubblicazioni (Il femminile di Dio, Fahrenheit, 1995, su tutti) dell’autrice:
la ricerca della dimensione del divino nella condizione umana.
IN TUTTO IL MONDO
Con Le Repubbliche delle donne viaggiamo dal monastero di
Santa Maria a Rosano (Pontassieve) alla Birmania. Ai duemila metri del
villaggio McLeod Ganji, sobborgo di Dharamsala, raccolse la testimonianza della
Lama tibetana Tenzìn Sochan, costretta all’esilio dalla persecuzione cinese.
Nel 1998 incontrò il Dalai Lama: «Nonostante una resistenza iniziale da parte
del Buddha all’ingresso delle donne nella comunità monastica, Egli ha
fondamentalmente insegnato l’uguaglianza. Fra dieci anni avremo le nostre monache
intellettuali. Credo che nella società futura possano avere un ruolo molto
importante. Esse scelgono il celibato, ma vivono la maternità dello spirito
attraverso la compassione».
Papa ci restituisce i colori, i profumi e i sentimenti del
monastero greco ortodosso della Dormizione a Kalyviani, nell’isola di Creta,
durante una particolare funzione funebre. Nella sezione femminile del monastero
di Dabra Libanos, a un centinaio di chilometri da Addis Abeba, ammiriamo
l’impegno e il coraggio delle “sorelle” al fianco dei più poveri. In Estonia,
di fronte al golfo di Finlandia, ci sembra di assaporare il pane caldo, figlio
di un’antica ricetta, sfornato dalle monache coltivatrici.
Il calo delle vocazioni soprattutto in Europa e in Nord
America; il ruolo nella Chiesa e la stessa ragion d’essere delle realtà
monastiche nella nostra contemporaneità sono questioni d’attualità. Papa non
eluse l’argomento ed elaborò una propria risposta agli interrogativi insiti in
una scelta di fede estrema: «Si suole guardare la vita monastica come fuga. Se
si trattasse soltanto di questo, di una forma alienata e alienante di vita
significherebbe davvero ben poco. La vita monastica è un mettersi insieme in
vista della città celeste con l’intenzione dell’anticiparla nell’oggi. È apertura
e non fuga, perché ricerca attraverso le forme concrete della comunità il senso
pieno della propria vita».
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