giovedì 30 gennaio 2014

Dieci anni senza Marco Pantani: il mito fragile del Pirata che volò via

Il Messaggero, sezione Macro pag. 19, 
30 gennaio 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

IL PERSONAGGIO
Con il Panta è sempre stata una questione di millimetri. Il meccanico, artigiano, Dino Falconi, una vita trascorsa in bottega, l’ascoltava e l’assecondava; cercando di dare al mezzo la leggerezza propria dello scalatore. Quel 14 febbraio buio di dieci anni fa, insieme al Pirata, è morto un po’ anche lui. Non sfuma giornata, che il Falco non dedichi sguardo e pensiero all'ultima bicicletta, inesorabilmente appesa al muro. I suoi gregari, esposti al vento, non l’hanno dimenticato. In molti hanno smesso di pedalare, perché senza di lui la fatica perdeva il senso. «La qualifica di gregari di Pantani ci ha riportato alla vita», dice Riccardo Forconi. Non l’ha dimenticato la gente, che l’amava e trasformava le curve del Mortirolo in una muraglia umana densa di passione.

LA STORIA
Sì, per loro “Marco Pantani era un dio” (titolo del libro 66thand2nd, 220 pagine). Il personaggio è stato scandagliato oltre i limiti dell’accanimento voyeuristico, a caccia di presunte verità. Abbonda la pubblicistica di genere. Il giornalista Marco Pastonesi ha scritto qualcosa di diverso, risparmiandoci la retorica di maniera. Una storia, priva di amnesie e sconti al mito fragile, che restituisce voce ai militi ignoti, che tra ascese e cadute l’hanno scortato sulla strada. «Se Pantani era un solista, e un solitario, questo libro è il coro delle tragedie greche, è la banda che accompagna un feretro nei funerali di New Orleans, è cento cantastorie che raccontano le gesta di un guerriero, di un bandito, di un pirata».

I LUOGHI
Il Carpegna era la sua montagna: il punto di osservazione dal quale sfidare le salite del mondo, e in fondo il cielo. Da subito avevano intravisto la luce del talento; quel ragazzino in salita non si staccava mai; accudiva, fino a lavarla nella vasca da bagno, la bici regalata dal nonno Sotero. Mani basse sul manubrio, alla ricerca della gamba e della testa. Andava a sensazioni con l’ambizione del campione e l’indomabile spirito battagliero. «Parla poco e dimostra tanto. È, semplicemente, il più forte. Lo rivedo al Giro d’Italia del 2003. Il giorno della tappa alle Cascate del Toce, è una grande emozione vedere Pantani che scatta, ancora, e fa venire i brividi, sempre», confessa Andrea Noè, un mediano onesto delle due ruote.

LE SALITE
Il suo mare d’inverno a Cesenatico e la piadina, il pane dei poveri, a cui non sapeva rinunciare. Pastonesi narra le radici romagnole di un ciclismo operaio, popolare e appenninico. «Gli scalatori hanno il dovere dell’agilità e il potere della volatilità. Anime solitarie, si sposano al paesaggio e si sublimano con il dolore verso l’infinito». Era un uomo buono, silenzioso e simpatico a suo agio con i più semplici. Rincorreva l’attrazione onirica della vita notturna, come lo soddisfaceva la pasta e fagioli, gustata in collina con gli amici veri.

Ritroviamo il ciclista che risorge da incidenti tremendi. Quello che attacca e stacca, liberandosi dell’effimero. Le tappe indelebili: il duello con Tonkov per la maglia rosa; il Galibier per la consacrazione in giallo al Tour del 1998, che su Youtube ci esalta ancora, come il Ventoux del 2000; lo scontro con l’Americano arrogante, coperto da un castello di bugie. La poesia delle ascensioni e la ferita del doping, da sempre realtà scomoda dello sport, nelle ipocrisie di un sistema malato. La scienza applicata alle discipline sportive da stregoni a lungo venerati e resi indispensabili dall'assenza di regole. «L’epo era un compagno di viaggio, e se non ti adeguavi eri fuori», ripete Filippo Simeoni. Un ritardo culturale ancora da colmare. La tempesta funesta dell’eritropoietina che rende il sangue una specie di marmellata. Gli sbalzi dell’ematocrito del Pirata.

LA DISCESA
L’oscurità nella mattinata di Madonna di Campiglio, quando, a una tappa dalla passerella vincente del Giro ’99, venne estromesso dalla corsa e finì tutto. «A dieci anni di distanza, Pantani potrebbe confermare: «Credo che ci sia qualcosa di strano». Ma non dimentichiamoci di una cosa fondamentale: Pantani, come tutti, o quasi tutti, non va a pane e acqua. Pantani va a pane, acqua ed epo». Poi la cocaina, quel tunnel che sottrae l’anima: la solitudine e gli avvoltoi.

Nel dolore del mistero della sua morte vengono in soccorso le parole con le quali Orio Vergani omaggiò Fausto Coppi: «Il grande airone ha chiuso le ali. Fortissimo e fragile al tempo stesso. La fragilità fu la compagna sinistra di quest’uomo che per tanti anni sembrò un ragazzo, il ragazzo più forte di tutti, sostenuto da un’energia quasi magica, una forza da racconto delle fate. Il trittico su cui poggiava il misterioso «sistema» delle sue capacità fisiche - cuore, polmoni, muscoli - nascondeva, quasi invisibile, un punto di estrema vulnerabilità».


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