domenica 15 giugno 2014

Peter Cameron: «Il dolore ci salverà»

Il Messaggero, sezione Cultura pag. 21,
15 giugno 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

L’INTERVISTA
Il weekend (177 pagine, 16 euro, traduzione di Giuseppina Oneto) è il penultimo titolo di Peter Cameron pubblicato in Italia da Adelphi. Attualmente l'autore statunitense sta lavorando a un nuovo romanzo: «Ha come protagonisti due individui antitetici - dice - che s’incontreranno solo alla fine, scoprendo in modo inaspettato di avere in realtà molto in comune. La struttura del romanzo sarà differente dal passato: uno stimolo per me, quanto spero lo sia per i lettori».

Cameron si trova in Italia per il Premio Bottari Lattes Grinzane. Il libro che era in concorso ha una trama minima che esplora in profondità un intreccio complesso di sentimenti, speranze, paure e sofferenze. Nel primo anniversario della morte del compagno Tony, Lyle trascorre due giornate nella villa di Marian e John; fratello apparentemente così diverso dell’uomo scomparso a causa dell'Aids. La presenza di Robert, nuovo partner di Lyle, rompe gli schemi e le finzioni relazionali.

In che modo affronta il rapporto con i libri, quando escono dal suo controllo e prendono vita autonoma?
«Ogni autore credo intrattenga una relazione interessante e complicata con i propri libri. Per me, una volta pubblicato, è che come se ne perdessi la proprietà. Appartiene al lettore. La lettura esprime il valore più alto quando è intesa come atto di condivisione, perché ciascuno rielabora nei testi il proprio vissuto. Considero la lettura alla stregua della creazione».


Quali sensazioni le suscita riprendere in mano “Il weekend”, uscito nella prima edizione vent'anni fa?
«Concludere la stesura di un libro equivale alla fine di un rapporto. Sfogliando e rileggendo romanzi come “Il weekend”, posso ritrovare la persona che ero all'epoca, che cosa pensassi. Ma non è il tempo la variabile determinante della relazione. Essi per me esistono sempre nel presente».

La narrativa contemporanea è in grado di essere un luogo dove i problemi trovano la loro soluzione ideale?

«L'intenzione di questo romanzo era anche di far dialogare personaggi, con punti di vista differenti, sulle possibilità dell’arte nella contemporaneità. È un argomento che mi appassiona. Devo crederci. La letteratura, seguendo una strada strana e meravigliosa, cattura la complessità della vita come nessuna altra forma espressiva. Fino a quando l'arte scaverà nelle relazioni che segnano l'essere umano, manterrà una centralità nelle nostre esistenze».

Che cos'è la creatività?

«Da scrittore sono terrorizzato dall’idea di fare il mestiere nella stessa maniera di Jane Austen, o di autori di trecento anni fa. L'influenza di ciò che leggo è potente. Pittori e musicisti hanno sempre dovuto preoccuparsi di inventare, di innovare. Avverti l'urgenza di creare qualcosa di nuovo, per non assopirti nella nostalgia».

Caratteristica delle sue opere è la stratificazione interiore dei personaggi. Si sentono a disagio, lottano per un posto nel mondo. Elaborano l'assenza. Lei va in direzione contraria alla società che consuma voracemente anche il dolore.
«L'esperienza del dolore è quella che realmente ci trasforma. Il cuore della mia ricerca letteraria è narrare come cambiano le persone. La stabilità ci sottrae dalla sfida straordinaria del conoscersi sotto pelle».

Nel romanzo descrive l'intensità emotiva e raffigura la corporeità di un amore omosessuale. A eccezione di un passaggio, sembra evitare qualsiasi implicazione politica sulle questioni di genere e dell'orientamento sessuale.
«È limitativo occuparsi di ciò. Voglio entrare nel merito di quello che smuove i personaggi. Poi da cittadino ovviamente ho le mie convinzioni, a cominciare dalla battaglia contro le discriminazioni, ma le lascio da una parte».


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