domenica 15 novembre 2009

Fenomeno BJ, da Compton per Roma destinazione Nba

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i Gabriele Santoro


ROMA (15 Novembre) – Semplicemente fenomeno, Jennings ha fatto meglio anche di Kareem Abdul Jabbar. Che nel destino di Brandon Jennings ci fosse scritto di bruciare tutte le tappe era ormai una certezza. Ma il diciannovenne, primo giocatore statunitense a saltare il college per venire in Europa con la casacca della Lottomatica Roma, questa volta è andato veramente oltre: i 55 punti (14/26 da 2, 7/8 da 3) in tre quarti di gioco, realizzati contro la pur allegra difesa di Golden State, lo inseriscono di prepotenza nell’Olimpo della Nba. Per la cronaca la sua Milwaukee ha battuto i californiani 129-125 ed è giunta alla quarta vittoria consecutiva, una marcia davvero sorprendente rispetto alla qualità del roster.

Il play di Compton ha superato il record di punti per un rookie in maglia Bucks, detenuto da un certo Kareem Abdul Jabbar (51 punti il 21 febbraio del 1970), e si è fermato a tre punti, 58, dal record assoluto della Lega della leggenda Wilt Chamberlain. Il Bradley Center di Milwaukee si sta accorgendo sempre più di aver fatto il vero colpo dell’ultimo Draft. La sua scelta al numero 10 è passata sotto silenzio, ma ormai ha conquistato la fiducia di un coach esigente come Scott Skiles. Brandon è contento, ma non si sbilancia: «Mi sento come nell’ultimo anno da senior a Oak Hill. E’ vero le statistiche sono ottime, ma non penso solo a segnare. Mi adatto alle esigenze della squadra». Possiamo immaginare la straripante felicità della mamma, sua ombra nell’esperienza romana, che l’ha cresciuto da sola dopo il suicidio del marito e padre di B.J..

La copertina del portale Nba.com è tutta sua: “Benvenuti alla festa di Brandon”, così come impazzano tutti i forum degli appassionati statunitensi. Nella locker-room (spogliatoio) dei Bucks si affollano i microfoni. Scott Skiles quasi non ci crede: «Non so veramente cosa dire. In una partita giocata non bene difensivamente dalla mia squadra, Jennings ci ha letteralmente preso per mano. Ho detto ai miei diamo la palla a Brandon e lasciamolo lavorare: per un rookie alla settima partita tra i Pro è qualcosa di incredibile». Le parole del coach avversario il volpone Don Nelson sono ancora più esplicite: «Che partita! In trent’anni di carriera è la migliore prestazione di un rookie a cui abbia assistito. Abbiamo provato a fermarlo, ma è stato veramente dura».

Ora nella mente si rincorrono due domande. Quanto possa avergli fatto bene imparare a gestire la pressione di una stagione da professionista in Europa? Come è possibile che con la maglia di Roma, tolta l’ottima pre-season, non abbia combinato praticamente nulla?Alla prima domanda la risposta è sicuramente tanto. Jennings sta affrontando tutte le partite con lo spirito e la mentalità giusta, quella europea di chi sa che ogni vittoria è fondamentale fin dalla stagione regolare. La seconda domanda andrebbe girata allo staff tecnico della Virtus Roma. In ordine all’ex coach Jasmin Repesa e all’attuale Nando Gentile per la gestione del giocatore. Jennings nella scorsa annata è stato relegato a terzo playmaker, nelle rotazioni dietro a un certo Giachetti, e poi messo in tribuna per far posto ai disastri di Ruben Douglas e a Jurica Golemac. D’accordo il gioco in campo aperto dell’Nba si adatta maggiormente alle caratteristiche di Jennings, ma è possibile che in un paio di mesi si sia trasformato da brutto anatroccolo in cigno? Dejan Bodiroga, l’unico a difendere sempre BJ, ci aveva visto bene e non resta che consolarsi con l’idea di avergli almeno visto indossare la maglia virtussina.

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