sabato 27 ottobre 2012

La resistibile ascesa di Mussolini. Vivarelli: «Abile a disfarsi di avversari di scarsa caratura»

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 25 con richiamo in prima pagina,
27 ottobre 2012

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

«CONSIDERO il completamento della mia opera come una promessa mantenuta con chi mi avviò e spronò negli studi». Roberto Vivarelli, ottantaquattrenne professore emerito di storia contemporanea alla Scuola Normale di Pisa, annuncia così il terzo volume della trilogia Storia delle origini del fascismo (Il Mulino, 548 pagine, 36 euro). Lo storico ripercorre il biennio, dall’autunno del 1920 al 1922, in cui l’Italia scivolò verso la dittatura, sostenendo una tesi di fondo: «Il fascismo non fu la causa della crisi dello Stato liberale, bensì il frutto».

Vivarelli, con la sua ultima pubblicazione ha concluso un lungo percorso di ricerca e ricostruzione delle origini del fascismo. Quali elementi analizza in questa occasione?
«È l’epilogo di un lavoro complesso iniziato molti anni fa. Analizzo il vuoto politico apertosi con le elezioni del 1919 e chiusosi con l’avvento al potere di Mussolini. La crisi dello Stato liberale ebbe radici profonde, che affondano soprattutto negli esiti della Prima Guerra mondiale. Un fattore fondamentale che approfondisco in queste pagine è l’incapacità atavica delle nostre istituzioni di creare un sentimento di appartenenza e identità nazionale».


Come si spianò la strada alla dittatura?
«Il fascismo godette del sostegno economico degli agrari e in parte degli industriali. Ma in realtà c’era una richiesta di sicurezza sociale e di un governo che restituisse stabilità al sistema. Mussolini approfittò della situazione di stallo creatasi dopo il voto del 1919, presentandosi come la persona in grado di sciogliere il nodo. Dimostrò un’abilità, nel disfarsi degli avversari politici, in verità di scarsa caratura. Do un giudizio assai poco indulgente sulla sua figura. In sostanza mi sembra un cinico, opportunista, per molti aspetti spregevole nella gestione del potere nell’arco del ventennio».

Domani ricorre il novantesimo anniversario della Marcia su Roma.

«Che rappresenta di per sé una leggenda. I fascisti non conquistarono così la città, fu una sfilata. Nessuno di loro entrò prima che Mussolini ricevesse l’incarico di formare l’esecutivo».

Il libro, oltre ad Anna compagna della sua vita, è dedicato a Federico Chabod e a Gaetano Salvemini. Come influirono nella sua formazione?
«Nel novembre del 1956 arrivai all’Istituto Croce di Napoli, molto incerto su cosa volessi e potessi fare. In un primo momento incontrai il maestro Chabod e poi mi incoraggiò Salvemini, che frequentai regolarmente nel suo ultimo anno di vita a Capo di Sorrento. Mi donò molte delle sue carte relative alla storia del fascismo. Lo studio mi appassionò, fu lo stimolo a produrre un senso critico sulla cosa pubblica».

L’attuale quadro politico nazionale si presenta estremamente frammentato e magmatico con un profondo smarrimento dell’elettorato. Secondo lei si possono rintracciare analogie con il passato?

«Sono sempre molto cauto nello stabilire parallelismi. Come allora, però, emerge l’incapacità della società italiana di formare una classe dirigente credibile, capace di guidare un Paese moderno. Il contesto è diverso, ma anche oggi ci troviamo di fronte al fallimento e a un vuoto di rappresentanza della politica».

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