Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 21,
24 ottobre 2012
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
DOPO il boom da esordiente con Il Mercante di libri
maledetti, Marcello Simoni prova a ripetersi con La biblioteca perduta
dell’alchimista (9,90 euro, disponibile anche l’e-book a 4,99 euro, 336
pagine), secondo episodio di una trilogia sulla quale puntò due anni fa la casa
editrice Newton Compton. Il trentaseienne scrittore comacchiese, ex archeologo
e medievalista appassionato, propone un nuovo thriller medievale con le
indagini avventurose del mercante di reliquie Ignazio da Toledo che
scaturiscono dal ritrovamento del libro Turba philosophorum, custode
dell’espediente alchemico più ambito al mondo.
Simoni inserisce gli elementi
della fiction narrativa in un’ambientazione storica autentica e cavalca
l’interesse ritrovato per l’Età di Mezzo. «Che - sottolinea l’autore - non è
una sacca di secoli bui come spesso viene dipinta. È il periodo in cui nascono
le università, i Comuni e comincia a diffondersi uno spirito civico. Senza
dimenticare il lavoro fondamentale degli Amanuensi».
Il suo primo libro, Il Mercante di libri maledetti, ha rappresentato un caso letterario: oltre trecentomila copie vendute, tradotto in undici lingue e attualmente presente nella top ten in diversi paesi europei. Come vive l’attesa per la seconda opera appena pubblicata?
«Non avverto l’ansia da prestazione. Preferisco viverla senza aspettative e spero di stupirmi come è avvenuto la prima volta».
In che modo ha stregato i lettori?
«Non dispongo di formule magiche: è stata una sorpresa anche per me. Dopo gli studi universitari (laurea in Lettere moderne con una tesi sull’archeologia di Comacchio, ndr) mi ero limitato a scrivere saggi, in cui puoi permetterti di essere un pò noioso. La mia invece è una narrativa popolare che si rivolge al grande pubblico e vuole intrattenere senza pretese di indottrinamento. Considero il mio romanzo storico una sorta di gioco di prestigio, in cui la fantasia si fonde con la ricerca basata su fonti storiografiche fino ad apparire verosimile».
Il successo ha rivoluzionato la sua vita?
«Continuo a fare il bibliotecario, ma mi sento immerso in un viaggio che mi ha reso una persona migliore. Ho iniziato a girare per l’Italia e in Europa come non avevo mai fatto prima. Ora ho un approccio più professionale alla mia creatività».
Nel suo paese, Comacchio, che reazione c’è stata? Viene citato anche nella pagina Wiki della Piccola Venezia.
«Ormai quando vado in centro o all’edicola a cinquanta metri da casa con la bicicletta mi fermano sempre. Rappresentare la mia comunità è una sensazione piacevolissima».
Qual è il suo rapporto con i social network?
«Sono molto attivo su Facebook. Da pochi amici intimi ora ho toccato quasi quota duemila. Tra i lettori si alimentano discussioni anche accese ed è il modo più efficace per interagire a distanza. Ma mi hanno arricchito anche gli incontri avuti durante le tantissime presentazioni del libro. Mi ha stupito l’interesse per la storia medievale, che a scuola viene un pò trascurata, soprattutto tra i giovani dai 18 ai 25 anni che nella Rete hanno una sponda e un contenitore in cui pescare molto materiale».
Quanto l’ha sorpresa la consacrazione quasi unanime che ha ottenuto nell’ultima edizione del Premio Bancarella?
«Ero già felice di figurare nella sestina. Si prova una certa adrenalina, ma si respirava un clima sereno tra i finalisti. Ho conosciuto una bella persona come Bjorn Larsson e un maestro come Marco Buticchi. Vincere con uno scarto così importante è stata un’emozione inaspettata. Credo che i premi letterari possano ancora promuovere le novità e aprire spazi importanti».
Quali imprese attendono il suo protagonista, Ignazio da Toledo, in questo episodio della trilogia?
«Si tratta di un thriller con un’ambientazione gotica tra la Spagna e il sud della Francia. I fatti narrati si svolgono nel decennio successivo (1227) a Il Mercante di libri maledetti. Stavolta il mozarabo Ignazio da Toledo viene chiamato dal Re di Castiglia Ferdinando III per ricercare la regina Bianca di Castiglia, reggente di Francia, rapita dall’alchimista Conte di Nigredo. Il volume è suddiviso in quattro capitoli, ognuno associato a un colore base della trasmutazione alchemica. In apertura cito anche un manoscritto attribuito a Comario e Cleopatra, che secondo la leggenda fu una delle prime alchimiste».
Come ha costruito il suo Sherlock Holmes medievale?
«In quest’epoca o nel Rinascimento non esisteva la figura dell’investigatore. Ignazio da Toledo è di conseguenza un personaggio inventato. Un Ulisse medievale, un inguaribile cercatore di misteri. Non mi volevo accontentare del solito monaco o cavaliere: Ignazio da Toledo incarna un ceto medio dinamico ed emergente».
Nell’intreccio narrativo risulta determinante la presenza di un libro sull’alchimia.
«L’alchimia medievale è qualcosa di particolare e si differenzia da quella rinascimentale. Nel 1200 non viene ancora riconosciuta come forma eretica, in quanto spingerebbe l’uomo a farsi Dio volendo trasmutare la materia. In questo periodo si traduce una grande mole di documenti che proviene dall’Oriente e che fa riferimento all’alchimia greca ed egiziana. In questa rientra il Turba philosophorum, che ho studiato ed interpretato, cercato da Ignazio da Toledo, perché può aiutarlo a portare a compimento la pericolosa missione».
Il suo primo libro, Il Mercante di libri maledetti, ha rappresentato un caso letterario: oltre trecentomila copie vendute, tradotto in undici lingue e attualmente presente nella top ten in diversi paesi europei. Come vive l’attesa per la seconda opera appena pubblicata?
«Non avverto l’ansia da prestazione. Preferisco viverla senza aspettative e spero di stupirmi come è avvenuto la prima volta».
In che modo ha stregato i lettori?
«Non dispongo di formule magiche: è stata una sorpresa anche per me. Dopo gli studi universitari (laurea in Lettere moderne con una tesi sull’archeologia di Comacchio, ndr) mi ero limitato a scrivere saggi, in cui puoi permetterti di essere un pò noioso. La mia invece è una narrativa popolare che si rivolge al grande pubblico e vuole intrattenere senza pretese di indottrinamento. Considero il mio romanzo storico una sorta di gioco di prestigio, in cui la fantasia si fonde con la ricerca basata su fonti storiografiche fino ad apparire verosimile».
Il successo ha rivoluzionato la sua vita?
«Continuo a fare il bibliotecario, ma mi sento immerso in un viaggio che mi ha reso una persona migliore. Ho iniziato a girare per l’Italia e in Europa come non avevo mai fatto prima. Ora ho un approccio più professionale alla mia creatività».
Nel suo paese, Comacchio, che reazione c’è stata? Viene citato anche nella pagina Wiki della Piccola Venezia.
«Ormai quando vado in centro o all’edicola a cinquanta metri da casa con la bicicletta mi fermano sempre. Rappresentare la mia comunità è una sensazione piacevolissima».
Qual è il suo rapporto con i social network?
«Sono molto attivo su Facebook. Da pochi amici intimi ora ho toccato quasi quota duemila. Tra i lettori si alimentano discussioni anche accese ed è il modo più efficace per interagire a distanza. Ma mi hanno arricchito anche gli incontri avuti durante le tantissime presentazioni del libro. Mi ha stupito l’interesse per la storia medievale, che a scuola viene un pò trascurata, soprattutto tra i giovani dai 18 ai 25 anni che nella Rete hanno una sponda e un contenitore in cui pescare molto materiale».
Quanto l’ha sorpresa la consacrazione quasi unanime che ha ottenuto nell’ultima edizione del Premio Bancarella?
«Ero già felice di figurare nella sestina. Si prova una certa adrenalina, ma si respirava un clima sereno tra i finalisti. Ho conosciuto una bella persona come Bjorn Larsson e un maestro come Marco Buticchi. Vincere con uno scarto così importante è stata un’emozione inaspettata. Credo che i premi letterari possano ancora promuovere le novità e aprire spazi importanti».
Quali imprese attendono il suo protagonista, Ignazio da Toledo, in questo episodio della trilogia?
«Si tratta di un thriller con un’ambientazione gotica tra la Spagna e il sud della Francia. I fatti narrati si svolgono nel decennio successivo (1227) a Il Mercante di libri maledetti. Stavolta il mozarabo Ignazio da Toledo viene chiamato dal Re di Castiglia Ferdinando III per ricercare la regina Bianca di Castiglia, reggente di Francia, rapita dall’alchimista Conte di Nigredo. Il volume è suddiviso in quattro capitoli, ognuno associato a un colore base della trasmutazione alchemica. In apertura cito anche un manoscritto attribuito a Comario e Cleopatra, che secondo la leggenda fu una delle prime alchimiste».
Come ha costruito il suo Sherlock Holmes medievale?
«In quest’epoca o nel Rinascimento non esisteva la figura dell’investigatore. Ignazio da Toledo è di conseguenza un personaggio inventato. Un Ulisse medievale, un inguaribile cercatore di misteri. Non mi volevo accontentare del solito monaco o cavaliere: Ignazio da Toledo incarna un ceto medio dinamico ed emergente».
Nell’intreccio narrativo risulta determinante la presenza di un libro sull’alchimia.
«L’alchimia medievale è qualcosa di particolare e si differenzia da quella rinascimentale. Nel 1200 non viene ancora riconosciuta come forma eretica, in quanto spingerebbe l’uomo a farsi Dio volendo trasmutare la materia. In questo periodo si traduce una grande mole di documenti che proviene dall’Oriente e che fa riferimento all’alchimia greca ed egiziana. In questa rientra il Turba philosophorum, che ho studiato ed interpretato, cercato da Ignazio da Toledo, perché può aiutarlo a portare a compimento la pericolosa missione».
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