di Gabriele Santoro
ROMA - Tra la moltitudine di giovani che affollano piazza della Repubblica non passano inosservati i volti degli operai colpiti dalla crisi economica. Sorrisi tirati, stanchi e arrossati dal sole. Gli operai cassaintegrati degli stabilimenti navali Fincantieri e delle ditte a cui vengono appaltati i lavori (il 70 per cento della manodopera di Fincantieri proviene dagli appalti) sono partiti stamattina alle 8 da Ancona e provincia con diciotto pullman della delegazione Fiom Cgil.
Il cinquantacinquenne Sante, da tutti i colleghi conosciuto con il soprannome Lupo, ha la barba incolta, i capelli spruzzati di grigio, le mani usurate, il volto scavato e sfila in silenzio. Ha passato una vita, oltre ventisei anni, negli spazi angusti dei doppifondi delle navi come pittore. «Sono disperato - racconta Sante - ma non perdo la dignità di una professione onesta che richiede un'alta qualità da artigiano. Sei mesi fa ho perso il lavoro che riempiva le mie giornate e sosteneva la famiglia composta da cinque persone. Nel cantiere è finito il ferro e non sono più arrivate le commesse». Gli ammortizzatori sociali? «Noi lavoratori delle ditte esterne occupati grazie agli appalti non abbiamo neanche quelli. Per sei mesi ho ricevuto un sussidio di disoccupazione, dal primo novembre non percepirò neanche un centesimo». Come si tira avanti? «Devo ringraziare un infortunio alla gamba sul posto di lavoro proprio in un cantiere che mi "frutta" una pensione d'invalidità pari a settecento euro mensili».
Insieme a Sante ci sono colleghi sempre più sull'orlo del baratro. «Tra Ancona e provincia sono duemila e cinquecento le famiglie colpite dai tagli di Fincantieri - spiega Giuseppe Ciarrocchi, responsabile regionale Fiom Cgil - Siamo in cassa integrazione dall'ottobre 2009 e i nostri stipendi sono decurtati del 30 per cento. Ora abbiamo occupato il cantiere anconetano. Colpa della crisi congiunturale? Non solo. L'azienda non investe in ricerca da oltre dieci anni ed esternalizza il processo produttivo. L'unica strategia assunta è quella del taglio occupazionale, 2500 posti persi, e salariale».
Qual è l'età media degli operai? C'è la possibilità di un reinserimento in altre realtà produttive del territorio? «Intorno ai quarant'anni - prosegue Ciarrocchi - Non scherziamo: le piccole e medie imprese della nostra zona stanno chiudendo i battenti. E poi non siamo operai generici: il nostro è un lavoro artigianale e non vogliamo smarrire la nostra identità».
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