venerdì 28 ottobre 2011

Anna Cremascoli, la prima presidentessa del basket

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=168009&sez=HOME_SPORT&ssez=ALTRISPORT

di Gabriele Santoro

ROMA – Pavia è stata la culla delle presidenze in rosa nello sport professionistico italiano. Nei primi Anni Novanta le pioniere Giusy Achilli e Barbara Bandiera aprirono il varco in un mondo declinato tutto al maschile: la prima presidentessa del Pavia calcio, la seconda della squadra di basket locale promossa nella massima serie. Se la signora Achilli ha fatto scuola nel mondo del pallone con diverse eredi, dalla romana Rosella Sensi alla bolognese Francesca Menarini solo per la serie A, nella pallacanestro si è dovuto attendere ventidue anni per avere un’altra donna alla guida di una società.

Lo scorso 17 settembre la trentottenne milanese, di professione ingegnere, Anna Cremascoli è diventata ufficialmente la presidente della Bennet Cantù. Una piazza storica come quella canturina ha sposato e accolto con entusiasmo il nuovo corso e la virata al femminile al vertice societario. «La pallacanestro è stata sempre la passione di casa. L’azienda di famiglia Ngc Medical è radicata da oltre vent’anni in Brianza con sede a Novedrate. Prima siamo entrati come sponsor di Cantù, poi come soci e infine abbiamo rilevato il 100% delle quote dalla proprietà precedente che non poteva più sostenere i costi», spiega la presidentessa.

Il cuore pulsante del triangolo cestistico lombardo Milano-Varese-Cantù dopo anni in chiaroscuro è tornato a battere forte. L’anno scorso la squadra allestita dal sapiente Bruno Arrigoni e allenata dall’ottimo Andrea Trinchieri ha riconquistato la finale scudetto e la qualificazione all’Eurolega. E in questa stagione si ripropone come l’outsider di lusso alle spalle delle regine designate Siena e Milano grazie a un gioco bello e concreto. Cantù conta trentamila abitanti, vive per la palla a spicchi e vanta la tradizione della provincia divenuta metropoli del parquet. Al botteghino è stato registrato il record di abbonamenti, oltre quattromila tra campionato ed Europa.

Una donna presidente, come ama definirsi, rappresenta un inedito per il basket. Come hanno reagito i colleghi?
«All’inizio quando andavo in trasferta accompagnata da mio marito salutavano lui come presidente. Ora mi sono fatta conoscere e apprezzare nell’ambiente. L'approdo alla presidenza è stato abbastanza naturale: ho stimoli e passione per ricoprire la carica con una dedizione assoluta. Nel mio percorso di studio e professionale ho imparato a guadagnarmi la pagnotta. Mi sono laureata in ingegneria meccanica. Ho girato il mondo lavorando per la Pirelli, poi quando i ritmi sono diventati inconciliabili con la volontà di costruire una famiglia sono entrata nei quadri dirigenziali della Ngc Medical».

Ci racconti la sua giornata tipo.
«Con mio marito e i nostri figli viviamo a Milano. La mattina presto accompagno i piccoli all’asilo (una figlia di 4 anni e il fratellino nato dopo la conclusione la finale 2011 Siena-Cantù, ndr). Poi vado a lavoro nel mio ufficio alla Ngc e alle cinque corro al Pianella per seguire gli allenamenti della squadra».

Si è fatta un'idea sul dibattito sempre aperto sulle cosiddette quote rosa?
«Il merito non dovrebbe avere bisogno di quote. Anzi credo si tratti di una forma di ghettizzazione. Non rincorro gli uomini e non svolgerò mai il mio ruolo di presidente come se lo fossi. Sono una presidentessa con le mie predisposizioni e il mio stile».

In un momento di crisi economica così grave e di austerity ha ancora senso investire nello sport?
«Investiamo in emozioni e il ritorno non è soltanto economico. Il basket rispetto al calcio è uno sport “povero” e richiede investimenti decisamente più bassi (intorno ai 7 milioni il budget annuale della Bennet, ndr). La trasmissione delle partite sui canali Rai e La7 ci ha restituito anche una visibilità importante».

Identità, organizzazione e passione: il modello Cantù.
«Esattamente. Con questi tre termini possiamo sintetizzare la ricetta vincente di una squadra che non ha soldi da spendere come Milano o Siena, ma compete con tutti. Chi indossa la nostra maglia è consapevole della storia che rappresenta. A Cantù la pallacanestro la respiri per strada. L’emozione del Pianella è difficile da descrivere. C’è un’energia antica che si infiamma nel rito domenicale della partita».

Qual è il suo rapporto con una “vecchia volpe” come il general manager Bruno Arrigoni? Come si è calata in una realtà che richiede una competenza specifica?
«Le racconto un aneddoto. Giovedì all’alba eravamo all’aeroporto di Bilbao tutti stanchi per la lunga trasferta e la gara di Eurolega di ieri sera. Arrigoni parlava del futuro: dalle nuove regole sui tesseramenti ai mercati giocatori da sondare. È il più anziano del gruppo, ma quello che vede più lontano di tutti. Penso che la maggiore qualità di un presidente sia scegliere i collaboratori giusti. Bruno l’ho ereditato dalla gestione precedente con una fortuna sfacciata e me lo tengo stretto. Sono entrata in punta di piedi con l’umiltà di chi deve solo apprendere. Ho anche una panchina settimanale. Quando arrivo in palestra per seguire gli allenamenti mi siedo vicina ad Arrigoni e mi spiega tutto. E se sorride a una mia domanda significa che ho detto una stupidaggine…».

Per lei c’è un posto in panchina pure la domenica…
«Sì, prima della palla a due mi siedo vicino al coach Andrea Trinchieri e parliamo per qualche minuto. Naturalmente non svelerò mai il contenuto dei nostri discorsi, si romperebbe l’incantesimo (sorride, ndr). Il “Trinca” è un allenatore pazzesco, per me geniale».

Ha una ricetta per guarire il basket italiano afflitto da troppe liti e l’assenza di una progettualità condivisa per il futuro?
«Tutte le componenti del movimento dovrebbero capire che siamo sulla stessa barca: se il giocattolo si rompe come in Nba non vince nessuno. Un problema centrale da risolvere è quello degli impianti: non abbiamo strutture all’altezza. E serve un pacchetto di regole certe da concertare con la Federbasket. Cantù per esempio deve disputare l’Eurolega a Desio e in tante altre realtà i palasport sono vetusti».

Un punto di forza di Cantù è l’aver assemblato un pool consistente di sponsor. Avrebbe accettato la presunta sponsorizzazione milionaria offerta dal sito Ashley Madison alla Virtus Roma?
«No, non ho neanche voluto curiosare sul sito (una piattaforma virtuale per far incontrare coniugi in cerca di avventure extraconiugali, ndr). Non credo molto ai soldi facili e gli altri sponsor mi avrebbero abbandonata. La pallacanestro merita altre sponsorizzazioni. In compenso si sono fatti una grande pubblicità, gratuita, con il nome di Roma».

Lo scudetto è un sogno proibito?
«Quest’anno sembra una corsa a due tra Milano e Siena, ma se qualcuno sbanda noi ci siamo».

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