martedì 18 ottobre 2011

Carlo Delle Piane, la valigia dell'attore tra risate e solitudine

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di Gabriele Santoro

ROMA – Può bastare una semplice biografia a raccontare una vita straordinaria? Probabilmente no, ma il libro Signori e signore, Carlo Delle Piane (Testepiene, 240 pp., 22 euro) scritto dal giornalista Massimo Consorti restituisce l’emozione, le difficoltà e l’arte dell’attore romano che ha intrecciato la sua esistenza con l’epoca dorata del cinema italiano. La narrazione della valigia del caratterista per eccellenza con cento film all’attivo illumina l’umiltà di chi ha conquistato l’ammirazione di giganti come Vittorio De Sica o l’amicizia di Aldo Fabrizi con cui condivise solitudine e risate. «L’idea della biografia è di Anna Crispino, una donna molto importante per me, e dopo molti anni si è concretizzata», dice Delle Piane. Al libro è allegato un dvd (Il Bello del Cinema Italiano) del regista Giuseppe Aquino con le interviste a Franco Battiato, autore della postfazione, e Pupi Avati che ha curato la bellissima prefazione.

La biografia regala un affresco della Roma sospesa tra l’occupazione nazifascista e l’attesa della liberazione. È un’infanzia felice con un pallone da rincorrere a Campo de Fiori, gli odori della cucina di casa e il cinema Modernissimo.
«Abitavamo a Trastevere nei pressi di Ponte Garibaldi. Il ricordo più nitido della guerra sono le mitragliatrici dei tedeschi che presidiavano il ponte, poi il rifugio nello scantinato del palazzo durante i bombardamenti. E una mattina all’alba da via Arenula si sentì un gran rumore e scendemmo in strada: erano i carri armati della libertà con le loro caramelle e chewing-gum. Le nostre giornate trascorrevano giocando a calcio per strada e al cinema Modernissimo, dove cercavamo di fregare le maschere: un biglietto per due film. In casa c’era già un attore inconsapevole, mio padre, di mestiere sarto. Per mantenerci a scuola accettava tutte le richieste dei clienti e poi s’inventava o recitava le scene più strane per giustificare il ritardo nella consegna».

Che passione il calcio. Lei un’ala destra velocissima e quella pallonata che le ha cambiato il naso e la vita.
«Il calcio era lo svago principale e si giocava nei campionati studenteschi al campo Mastai. Il 26 ottobre del ’46 durante una partita un difensore rinviando un pallone mi prese in pieno sul volto. E cambiò per sempre i connotati del mio naso alla francese».

Cuore, Duilio Coretti e il primo giorno a Cinecittà.
«Un giorno del marzo ’48 vennero a scuola Coletti e i suoi collaboratori per scegliere tra i bambini le facce giuste per il film Cuore, tratto dall’opera di Edmondo De Amicis. Li colpì la mia faccia curiosa e mi chiesero di andare a Cinecittà per il provino. Nell’attesa giocavamo incoscienti a pallone nel cortile con gli altri coetanei. Davanti alla macchina da presa risposi alle domande con molta naturalezza e fui scelto per il personaggio di Garoffi».

«Bravo hai girato una scena perfetta. Naturale, spontanea e armoniosa. Se a tredici anni reciti così avrai una carriera luminosa». Il ciak per Domani è troppo tardi che conquistò Vittorio De Sica, il primo maestro.
«Già nel film Cuore De Sica fu importantissimo. Sapeva parlare con i bambini e ci insegnò a dire le battute, l’intonazione, le pause. L’anno successivo mi chiamò per Domani è troppo tardi e se ne uscì con quel commento, dopo una scena in cui spiegavo come nascevano i bambini. Ci ha visto giusto».

«Carle’, ma quanno la cambi ‘sta machina?». L’avventura unica del Rugantino e l’amicizia con il commentadore Aldo Fabrizi.
«Fuori dai set non ho mai frequentato colleghi. Aldo Fabrizi è l’eccezione. Il primo incontro avviene nel ’52 con Guardie e ladri, poi a teatro dal ’62 con l’edizione grandiosa del Rugantino a Roma e la tournée mondiale. Non gli piaceva la mia Alfa Romeo coupè, perché stava scomodo sui sedili. Amava l’arte del cucinare; la cucina di casa era un appartamentino. Una sera eravamo a tavola da lui con un’amatriciana fumante pronta. Il primo boccone e poi…”Er sale, Carle’, manca er sale”. Buttò tutto e ne preparò una squisita».

«La scoperta di una comune visione del senso da dare alla vita, inclusa la vocazione alla solitudine, rafforzò l’amicizia di Carlo Delle Piane ed Aldo Fabrizi», scrive Massimo Consorti.
«Aldo aveva un carattere difficile, alla ricerca di affetti veri e non adulatori. Era stimato come attore. Ma non amato come uomo nell’ambiente, perché diceva sempre la verità e non accettava nessun tipo di compromesso. È questo il suo tesoro. Si paga un prezzo alto, quando si è sinceri e leali».

Tre nomi e cognomi: Antonio de Curtis (Totò), Alberto Sordi, Orson Welles.
«Quando recitai con Totò ero ancora un bambino. Mi voleva bene e mi trattava come un figlio. Lo ricordo tra un ciak e l’altro seduto sulla sua poltrona un po’ triste e malinconico. Sordi era una persona divertente, giocava e scherzava come in scena con una grande professionalità. Non dimenticherò mai l’incontro casuale sul set a Cinecittà con Orson Welles: una voce roboante, profonda e poi si spalancò una porta con quell’omone possente. Avevo appena incontrato il mito, ma solo successivamente capii la grandezza della sua opera».

Ieri, oggi e domani il cinema per Delle Piane.
«Non ho mai fatto nessuna scuola di cinema. Negli Anni ’60-’70 la mia formazione è avvenuta nei cineclub e cinema d’essai divorando film. Mi impressionò Buster Keaton: ho fatto tesoro della sua faccia e del suo recitare essenziale, scarno. Il mondo del cinema in cui sono nato era una grande famiglia, dove ci si divertiva. Nella mia vita intima ho vissuto e affronto un grande disagio come la mania per l’igiene. Il cinema mi dà una grande gioia. Lo amo ancora dopo tanti anni ed è come una terapia. Faccio quello che nella vita non farò mai».

L’incontro con Antonio Avati e i dubbi di Pupi.
«L’incontro con Pupi Avati lo devo al fratello Antonio. Nel ’76 Pupi stava preparando Tutti defunti tranne i morti e cercavano il secondo protagonista, ma nonostante le pressioni del fratello non ne voleva sapere niente di me. Antonio organizzò un appuntamento in sartoria per l’abbigliamento del personaggio, che era un investigatore, e mi misero impermeabile e cappello alla Humphrey Bogart. Aprii la porta dello stanzino e mi presentai davanti a Pupi: rise di cuore e mi assegnò il ruolo. Da lì è cominciato un sodalizio professionale lunghissimo e un’amicizia profonda».

Il caratterista diventa attore protagonista. «Carlo Balla era inevitabilmente Delle Piane» e il successo di Una gita scolastica.
«Nel 1983 Pupi Avati mi cuce addosso un ruolo per la prima volta da protagonista assoluto. In Una gita scolastica il professor Carlo Balla innamorato della collega, con volontà far trasparire sullo schermo anche la mia interiorità. «Non ho niente contro il matrimonio. È che bisognerebbe chiedere a lui cos’ha contro di me», diceva Balla. Non era un personaggio facile, poteva scadere nel ridicolo o nel melodrammatico. Pensando a Keaton ne diedi un’interpretazione asciutta, essenziale. Un film che riscosse moltissimi consensi e vinsi a Venezia il premio Pasinetti».

Regalo di Natale, una telefonata e il trionfo al Festival di Venezia.
«Nel 1986 è arrivata la consacrazione con il film Regalo di Natale. Vinsi a Venezia la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Il nostro nome non circolava tra i favoriti. Poi arrivarono due telefonate a casa di Antonio Avati. «Sei seduto?» «No, sono sdraiato». «Hai vinto, dobbiamo partire subito per il Lido!» Ricordo con particolare piacere l’abbraccio forte e i complimenti di Walter Chiari».

Oggi si riconosce nella commedia italiana?
«La commedia era un’altra cosa e non mi riferisco solo ai cosiddetti “cinepanettoni”. Il problema principale è che mancano gli sceneggiatori, non c’è una vera scrittura. Oggi si pensa soprattutto al denaro, ad andare sul sicuro. Una volta i grandi produttori almeno una volta all’anno scommettevano su un film d’autore. Il nostro cinema non varca più i confini della penisola. E mi rimprovero di non aver imparato l’inglese per lavorare oltre oceano. Ai giovani dico di fare la gavetta, di non sentirsi mai arrivati o pronti. Hanno a disposizione mezzi tecnici straordinari, ma mi sembra che oggi l’unico obiettivo sia apparire più che studiare».

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