domenica 26 dicembre 2010

I Big Three dominano il Natale Nba: Miami travolge i Lakers

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=132059&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA (26 dicembre) – Nella sfida più attesa del Natale griffato Nba i “Big Three” dei Miami Heat spazzano via 80-96 dei Lakers e un Kobe Bryant (17 punti con 19 tiri) irricoscibili. Allo Staples Center di Los Angeles vanno in scena le prove tecniche di una successione tanto attesa: Dwayne Wade (18 punti, 6 assist), Chris Bosh (24 punti, 13 rimbalzi) e un LeBron James da tripla doppia (27 punti, 11 rimbalzi, 10 assist) stregano Hollywood con un’energia e un talento straripante. La chiave della quattordicesima vittoria nelle ultime quindici partite degli Heat è la difesa solida in cui ognuno è pronto a fare la propria parte e qualcosa di più per aiutare un compagno. In attacco non fanno schierare gli avversari con una parola d’ordine: correre in transizione. Il trio d’assi della franchigia di South Beach si spartisce equamente le soluzioni e il bottino offensivo. Una partita tutt’altro che spettacolare disputata su ritmi europei con basse percentuali al tiro (35.5% Lakers, 40% Heat) e pochi effetti speciali, ma che offre più di un’indicazione sui futuri equilibri nella Lega statunitense.

I 556 dollari di costo medio del biglietto per l’evento natalizio clou dello sport americano non sono stati ricompensati da una Los Angeles apparsa in tono decisamente dimesso. Davanti alla solita parata di stelle del cinema, da Dustin Hoffman a Cameron Diaz, e a una platea televisiva globale i Lakers appaiono svuotati tanto fisicamente quanto mentalmente, come appagati dai tanti recenti trionfi. Il “Black Mamba” Bryant gira a vuoto, battuto sistematicamente nell’uno contro uno da Wade. Gasol (8/17 dopo lo 0/7 del primo periodo) non è un fattore in attacco, mentre il furore agonistico di Artest viaggia a intermittenza. «Il mio ritiro? Certo che penso a cosa farò dopo, ma non è dietro l’angolo. Non gioco per attirare l’attenzione, ma per vincere». Così parlava Kobe alla vigilia della partita. Parole chiare da cui deve ripartire il faro della franchigia alla ricerca del terzo titolo consecutivo.

L’orchestra ricca di solisti sopraffini pensata in estate da Pat Riley e affidata alla guida del delfino Rick Spoelstra ha voglia di suonare insieme ed è una musica coinvolgente. Un tratto comune al trio di fenomeni di Miami è la fame di successi per la quale sono disposti a sacrificarsi. A partire da “King” James che in sei mesi ha rivoluzionato la propria vita e carriera con l’addio al veleno alla natia Cleveland e ha in testa solo l’anello. Lo scorso due dicembre proprio sui legni dei Cavs è iniziata la cavalcata degli Heat: 38 punti segnati da LeBron con il sorriso sulle labbra, in un mare di fischi e insulti degli ex tifosi, hanno archiviato un avvio di stagione complicato. Buone notizie arrivano anche da Chris Bosh, sempre più a proprio agio nei panni del terzo violino. «In difesa abbiamo fatto un ottimo lavoro - ha spiegato il leader Wade - soprattutto sotto canestro dove i ragazzi hanno controllato Odom e reso la vita difficile a Gasol. La battaglia con Kobe? È uno dei migliori e sono un competitore come lui. Ma sul campo ho vinto io: è il mio regalo di Natale».

La partita.
Alla palla a due la premiata ditta Bryant-Odom dà il benvenuto al parterre hollywoodiano con uno spettacolare alley-oop. Il veterano Derek Fisher infila una delle sue triple mancine per la buona partenza Lakers, 7-2. Miami non si fa impressionare: James risponde a Fisher, Chris Bosh (9 punti, 6 rimbalzi) punisce gli spazi concessi da L.A. Il secondo siluro di LeBron lancia la prima fuga, 10-17. Kobe Bryant sbatte contro il muro difensivo costruito da coach Spoelstra, mentre Pau Gasol dà l’istantanea di un attacco improduttivo (0/9 al tiro per i due, 5/18 per i Lakers al 12’).

La leadership esplosiva di Dwayne Wade indica la strada a Miami: difendere forte e volare in transizione. Il numero 3 è un rebus insolubile per la difesa losangelina. Alla fine del primo periodo i “Big Three” segnano 19 dei 20 punti complessivi della franchigia di South Beach. Nel secondo periodo il copione non cambia: Wade domina uno spento Bryant che con Gasol colleziona un desolante 1/13 al tiro. Lionel Chalmers sfrutta a dovere dalla lunga distanza gli assist della coppia Wade (10 punti, 5 assist)-James (11 punti) per il massimo vantaggio, 20-33 al 16’. Ron Artest prova a scuotere moralmente i gialloviola, ma Chris Bosh (18 punti) è una sentenza, 38-47 al 24’.

Al rientro dall’intervallo lungo si attende una reazione almeno emotiva dei Lakers, che invece continuano a subire l’intensità e i ritmi dettati da Miami. King James si diverte, è perfetto dall’arco (5/5 da3) e sottolinea ogni canestro con sguardi di sfida. Wade innesca divinamente Bosh (20 punti, 10 rimbalzi) e il risolutivo LeBron (21 punti). Sulla sirena del terzo periodo Chalmers rimanda il colpo del ko definitivo, 64-75 al 36’. Lamar Odom (14 punti) è l’ultimo ad alzare bandiera bianca, ma Los Angeles non ha le energie fisiche e mentali per restare dentro la partita. L’attore non protagonista Jones piazza la tripla dell’89-70 che fa calare il sipario sull’incontro chiave del Natale Nba e accende la stagione.

martedì 7 dicembre 2010

L'Nba compra i New Orleans Hornets

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=129816

di Gabriele Santoro

ROMA (7 dicembre) - L’Nba nel segno del proprio lucido visionario commissioner David Stern sta per portare a termine un’operazione potenzialmente rivoluzionaria, tanto per capirci come se la Lega calcio, cioè tutte le squadre di serie A, acquistasse la Roma che è in vendita. Manca solo il via libera definitivo, atteso per la prossima settimana con il voto dell’NBA's Board of Governors (assemblea dei proprietari), all’acquisto da parte della stessa Lega statunitense di una propria squadra, i New Orleans Hornets di Marco Belinelli. In seguito alla rinuncia di Gary Chouest, azionista di minoranza della franchigia, di rilevare le quote del proprietario George Shinn, intenzionato a vendere, e in mancanza di acquirenti interessati le altre franchigie si sono rese disponibili all’acquisto. La cifra dell’affare si aggira intorno ai 300 milioni di dollari equamente divisi e consentirà di mantenere la squadra nella New Orleans in lenta ripresa dal disastro dell’uragano Katrina.

L’Nba scommette sulla rinascita dell’economia locale a cinque anni dall'uragano che distrusse l'80% di New Orleans e nell'anno del disastro ambientale provocato dalla fuoriuscita di petrolio della Bp nel Golfo del Messico non lascia la città senza basket. L’altra squadra rappresentativa sono i New Orleans Saints della NFL (football americano). Il principale centro della Louisiana si sta lentamente ripopolando e oggi conta circa 363 mila residenti rispetto ai 455mila della metà del 2005. Ma il senso di abbandono e la rabbia per i colpevoli ritardi nell'assistenza dell’amministrazione Bush e le promesse ancora non mantenute dalla presidenza Obama restano più che mai vivi.

Nella storia dello sport a stelle e strisce c’è un precedente: nel novembre 2001 la Major League Baseball comprò i Montreal Expos per 120 milioni di dollari vendendola e ricollocandola dopo quattro anni a 450 milioni con i Washington Nationals. L’obiettivo dell’Nba è lo stesso, ma guarda anche oltre all’eventuale guadagno derivante dalla futura cessione. Le franchigie e Stern non sembrano avere nessuna fretta nel trovare un acquirente: la squadra e l’indotto derivante potrebbero diventare un investimento per tutta l’Nba. Nei tifosi degli Hornets, che sui forum si sono espressi in posizione attendista rispetto a questa transazione, l’interesse si mescola al timore di un nuovo trasloco.Nel 2005 le conseguenze di Katrina hanno costretto al trasferimento per due stagioni a Oklahoma City, per fare rientro in Louisiana nel 2007.

David Stern prima ringrazia George Shinn, figura fondamentale per l’esistenza degli Hornets. «George Shinn è stato un proprietario straordinario per New Orleans. Davanti alla situazione e alle prospettive incerte dell’economia della città e della Louisiana ha deciso di non proseguire nell’investimento». Poi spiega la scelta dell’Nba. «In assenza di compratori ho convinto i proprietari dell’Nba che l’assunzione del controllo era la via migliore per assicurare stabilità e profitti anche una volta risolta la questione della proprietà. Si rivelerà un ottimo investimento per la Lega e migliorerà la condizione finanziaria di tutte le franchigie». Infine illustra le prospettive del club. «Il management attuale è di livello assoluto e abbiamo designato Jac Sperling, originario di New Orleans e dirigente navigato nell’ambito dello sport-business, come presidente. Le autorità governative sono state informate dell’operazione e ora inizierà un proficuo rapporto per far trovare ai nuovi proprietari un terreno d’investimento fertile». L’attuale stagione degli Hornets è partita alla grande, 11 vittorie e una sola sconfitta, per poi subire un fisiologico rallentamento. C’è un top-player Nba come il miglior playmaker della Lega Chris Paul, un buon allenatore come Monty Williams e tutti gli ingredienti per lottare per un posto nei prossimi play-off. Lo show può continuare e l'Nba conferma una volta di più tutta la propria lungimiranza che sposa sport e business.

giovedì 2 dicembre 2010

L'arte di Charles Schulz: "Piccola storia dei Peanuts"

di Gabriele Santoro

ROMA (2 dicembre) - «Charles Monroe Schulz è uno dei migliori maestri da cui lasciarsi guidare nell’apprendistato della felicità». Simona Bassano di Tufillo nel prezioso saggio “Piccola storia dei Peanuts” (Donzelli, pag. 191, euro 19.50) ripercorre la storia dell’arte del fumetto che più di ogni altro ha costruito la propria fortuna sulla forza della parola come strumento di progresso, svago e umorismo scaturito dalla riflessione. Le strisce dei Peanuts con lo sguardo “straniato” dei bambini disegnati con un pennino a china da Schulz hanno accompagnato per cinquant’anni e si sono riservati un posto speciale nella cultura statunitense (nel 1997 è arrivata anche la stella sull’Hollywood’s Walk of fame). «Un’arte incentrata sull’impegno sociale - scrive l’autrice - il suo mondo infantile non è sintomatico di una volontà di estraniarsi dalle problematiche della vita sociale, ma al contrario un mezzo straniante per puntare i riflettori da un’altra angolazione e fare luce maggiore».

Si tratta di una guida per gli appassionati di un fenomeno di costume diventato patrimonio planetario, ma è accessibile anche ai profani interessati a comprendere il dietro le quinte dei personaggi (Charlie Brown, Linus, Snoopy, etc)che almeno una volta nella vita ti hanno regalato un sorriso. La narrazione è accompagnata da numerose illustrazioni. La vita del fumettista originario del Minnesota è difficilmente scindibile dall’opera dei Peanuts: un impegno quotidiano (dalle 9 alle 17, escluso il weekend), incessante, una compagnia fedele e una necessità vitale da assecondare. L’avventura irripetibile del fumetto più popolare al mondo iniziò il 2 ottobre del 1950 per concludersi nel 2000 con la scomparsa del suo creatore. Questi sono i numeri di un prodotto da esportazione che fattura montagne di dollari: duemila quotidiani hanno acquistato le strisce Peanuts, 355 milioni di lettori l’hanno amato ed è pubblicato in 75 paesi diversi, tradotto in ventuno lingue (dati riportati dal sito ufficiale United Media, agenzia autori Usa).

Il mondo infantile rappresentato da Schulz non è una metafora o una caricatura critica del mondo spesso nevrotico degli adulti. Non c’è bisogno di andare oltre: nelle gabbie grafiche del fumetto «ogni lettore può immedesimarsi - sottolinea l’autrice - ma non perché essi facciano le veci di noi adulti contemporanei stressati, bensì per la relazione affettiva che instauriamo con i personaggi, oltre che per il conseguente processo di immedesimazione che scatta anche grazie alle situazioni quotidiane e comuni rappresentate». I personaggi dei Peanuts sullo sfondo della provincia americana calati nella loro realtà minimale, dove lo spazio dell’azione è estremamente contratto, creano relazione, comprensione e un atteggiamento solidale mediante l’atto linguistico. Schulz affronta il culto dell’individualismo, tratto tipico della società americana, interpretata nel fumetto con l’immagine dei fiocchi di neve (definiti da Snoopy “gli ultimi tenaci individualisti”) tutti diversi ma alla fine indistinguibili formano una massa. «Un tema molto caro all’autore che difende le differenze individuali, ma senza ombra di egoismo, in nome della varietà come fonte di vita. Ogni personaggio è un unico, un po’ come un fiocco di neve, ma è il gruppo che fa la grandezza del fumetto». Non resta che gustarsi le “Noccioline”, che ci insegnano a ridere di noi stessi senza prenderci troppo sul serio.

martedì 23 novembre 2010

Nba made in Italy

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=127906&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA (23 novembre) – L’avvio della stagione Nba parla italiano. Danilo Gallinari, Andrea Bargnani e Marco Belinelli stanno attraversando il periodo migliore dallo sbarco nella Lega statunitense. Sono tre le chiavi delle splendide prestazioni e dell’ottimo rendimento degli alfieri del basket azzurro: la grande fiducia degli staff tecnici, il rispetto dei compagni per cui sono diventati punti di riferimento e la consapevolezza di dover dimostrare di essere all’altezza della sfida americana. Nel mese di novembre hanno fatto registrare numeri da all’All Star Game.

La vera sorpresa è l’esplosione di Belinelli, che dall’anno prossimo sarà free agent e dovrà meritarsi un nuovo contratto Nba. La guardia di San Giovanni in Persiceto, dopo aver archiviato l’anonimato dell’esordio ai Golden State Warriors e la grossa delusione a Toronto, sembra aver trovato la dimensione giusta a New Orleans. Il coach degli Hornets Monty Williams gli ha dato il quintetto base come guardia tiratrice titolare, l’ha reso subito parte integrante del progetto di squadra e lui ha risposto presente. I compagni lo definiscono come «uno dei migliori tiratori mai visti». Per le caratteristiche tecniche del bolognese avere al fianco Chris Paul, playmaker divino e il miglior passatore dell’Nba, fa la differenza. «Nella prima partita contro Milwaukee - racconta Belinelli - dopo aver sbagliato qualche tiro aperto non ne volevo prendere altri. Chris Paul mi ha ripreso: “Hey devi tirare! Quando ti passo la palla è perché sono sicuro che andrà dentro”. Ecco avere la fiducia di un campione così ti fa rendere molto di più». In estate Belinelli aveva definito un fallimento l’eventuale ritorno in Europa. «Ho lavorato molto per arrivare in questa posizione, tutti sanno che è un anno fondamentale e vogliamo raggiungere i play-off». Il “Beli” viaggia a 12.8 punti di media, tira con il 40% da3, distribuisce 1.4 assist, contribuendo all’ottimo record di 11 vinte e 2 perse dei suoi Hornets, appena dietro ai Lakers e agli Spurs nella Western Conference.

Per i New York Knicks di Mike D’Antoni e Danilo Gallinari questo è l’anno zero. La stella Stoudemire è il punto di ripartenza con il “Gallo”, una volta messe a tacere le voci di uno scambio con Melo Anthony a Denver, che finalmente ha iniziato l’annata senza disturbi fisici. La franchigia della Grande Mela ha incassato una striscia nera di sei sconfitte consecutive,ma è in ripresa con una serie di tre vittorie con Gallinari protagonista. In questi successi l’ala milanese ha messo a referto 27 punti di media (16.7 in 14 partite), è stato in campo 38.6 minuti, 35/36 ai tiri liberi, 10/16 dalla lunga distanza. Il “Gallo” ha eguagliato anche il record personale di punti segnati con i 31 dell’ultima partita contro i Clippers.

Andrea Bargnani, in seguito alla partenza di Chris Bosh, è l’uomo franchigia dei Toronto Raptors. Dopo aver fallito la qualificazione con l’ambizioso roster dello scorso anno la squadra canadese si è ridimensionata nei nomi. L’ultima vittoria in volata, 102-101, contro i Boston Celtics ha dato però convinzione ai Raptors (record negativo di 5 vinte e nove perse in 14 uscite) in striscia positiva da tre partite. Il Mago è il terminale offensivo principale: 29 punti realizzati contro i vicecampioni Nba, 28.3 punti di media (21.7 complessivamente) in questi tre successi consecutivi. Il romano è ormai una stella che brilla di luce propria tra i Pro e ambisce alla consacrazione definitiva.

Flop Miami Heat, il terzetto magico non decolla. I progetti estivi di dominio sono almeno rimandati per la franchigia di South Beach. LeBron James (23.5 punti a serata), Dwayne Wade (21.4 punti) e Chris Bosh non hanno ancora trovato l’equilibrio giusto e annaspano con un deludente 60% di vittorie dopo le ultime due brutte sconfitte contro avversari certamente non irresistibili come Indiana e Memphis. Nella pesante caduta, 93-77, con i Pacers il terzetto ha preso 52 degli 82 tiri complessivi della squadra e Wade ha steccato con un clamoroso 1/17 al tiro. Tre primi violini che si mettono in proprio non potranno ambire all’anello Nba. Pesante la perdita per infortunio del lungo Haslem, che poteva essere un collante. L’arena di Miami ha invocato a gran voce il ritorno in panchina del santone Pat Riley, vero regista della faraonica campagna acquisti, con il delfino Spoelstra che non sembra avere la personalità per assemblare e far funzionare un gruppo zeppo di attori protagonisti.

sabato 20 novembre 2010

Le mafie nel pallone

di Gabriele Santoro

ROMA (20 novembre) - «Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé». Nick Hornby nella spassosa narrazione della passione, dell’inspiegabile groppo nello stomaco per il “suo” Arsenal in Febbre a 90 sintetizza splendidamente il coinvolgimento di miliardi di persone per lo sport più popolare al mondo. Un prato verde, un pallone, ventidue giocatori, una fede che accomuna perfetti sconosciuti, il repentino stravolgimento di emozioni inseguendo un gol, un divertimento che intreccia le giornate di padri e figli: che cosa ne è oggi del gioco che al contempo fa impazzire di gioia i bambini in ogni angolo del mondo e muove interessi, fiumi di denaro impressionanti?

Il giornalista Daniele Poto nell’utile libro Le mafie nel pallone ricostruisce il mosaico delle pericolose infiltrazioni criminali e dei crescenti appetiti mafiosi nell’industria calcio, uno dei principali biglietti da visita del Belpaese nel mondo. Le pagine redatte con la preziosa collaborazione di Libera (a luglio l’associazione contro le mafie ha presentato un dossier sul tema) costringono tutti gli appassionati a porsi delle domande, a partire dalla provenienza dei capitali che accendono le fantasie domenicali. Come evidenzia Gianni Mura nella prefazione dell’opera: «Dove c’è un pallone, uno stadio, una squadra di calcio ci sono soldi. Molti, moltissimi soldi. Ma il pallone è anche strumento di consenso e potere». Inutile dunque cullarsi nell’illusione dell’isola felice. Il calcio non è un’astrazione, ma parte integrante del sistema paese. Nell’Italia in cui le mafie fatturano dai 120 ai 150 miliardi di euro annui una fetta di proventi, circa il 10% stimato nell’ordine dei 15 miliardi di euro, proviene da attività illecite connesse al calcio.

Poto riannoda i fili e mette nero su bianco l’illegalità «nel gioco più truccato del mondo» tra il riciclaggio di denaro sporco, i bilanci societari allegri e il nero dilagante, le scommesse legali e clandestine, il doping e la devianza criminale di settori del variegato mondo ultras. Lungo la penisola sarebbero oltre trenta i clan con interessi malavitosi nel pallone: dalla camorra dei Casalesi alle ‘ndrine con le famiglie Pelle e Pesce fino alla mafia siciliana con i Lo Piccolo. I piccoli club diventano la testa di ponte dei clan per accrescere la pervasività del controllo sociale, guadagnare consenso e un canale di reclutamento mafioso. A fronte di questo crescente pericolo la giustizia sportiva, che spesso giunge in grave ritardo e a ruota della giustizia ordinaria, dovrebbe essere dotata di ben altri mezzi investigativi.

Le mafie nel pallone è un libro che ha memoria di storie polverose della periferia calcistica, come quella del ventisettenne Bergamini “morto suicidato” in un ambiente sportivo malsano, e dell’elite con il Napoli di Maradona, la cocaina e le amicizie compromettenti. Un binomio, quello tra il consumo della polvere bianca e i calciatori, in preoccupante ascesa e affrontato nel capitolo firmato da Sandro Donati. I fatti con nomi e cognomi narrati da Poto fotografano l’arroganza di un potere, dallo scandalo eccellente di “Calciopoli” ai tanti scandali più piccoli e sconosciuti al grande pubblico, che spegne la competizione leale e lo spettacolo nel rettangolo verde. Interessante anche l’ultimo capitolo che offre una retrospettiva sul malaffare nel calcio nell’Est europeo tra la violenza ultras e i risultati truccati collegati al business mondiale delle scommesse sportive (per esempio in Asia il volume di affari tra circuito legalizzato e nero ammonta a circa 450 miliardi di dollari). Le mafie nel pallone costituisce un punto di partenza per una pubblicistica sull’argomento attualmente molto povera. È una prima guida per addentrarsi in un terreno tutto da indagare e da approfondire.

Il caso Potenza. «Presidente, i soldi non fanno la felicità: vincere». All’indomani della sconfitta sul campo della Salernitana i tifosi del Potenza Calcio lasciano questa scritta sui muri adiacenti allo stadio potentino. Il 30 aprile del 2008, come riporta Poto, il Potenza è di scena a Salerno: il rampante presidente Giuseppe Postiglione decide di non convocare per la partita i tre giocatori più forti nella rabbia del tecnico Pasquale Arleo costretto a subire il diktat presidenziale e che per protesta seguirà i propri ragazzi dalla tribuna. «La promessa vittoria alla Salernitana - scrive Poto - fornisce a Postiglione la considerevole cifra di 150mila euro». Il Potenza perderà la partita, ma anche il calcio. Nella primavera del 2010 il Tribunale Nazionale di Arbitrato dello Sport ha retrocesso la società all'ultimo posto nel torneo di Lega Pro (la vecchia Serie C) di prima divisione e ora dopo aver fallito l’iscrizione alla seconda divisione annaspa nel girone unico dell’Eccellenza lucana. Postiglione è stato inibito dalla giustizia sportiva per cinque anni, dopo l’arresto è tornato in libertà in attesa del processo.

L’Antimafia ha ricostruito il rapporto di contiguità del club con il clan mafioso del boss locale Cossidente. «Nel triennio d’oro 2006-2009 - annota Poto - la cogestione criminale del Potenza calcio di Postiglione-Cossidente si fonda su una serie di sinergie emerse dall’indagine denominata “Ultimate” del nucleo investigativo dei carabinieri di Potenza. I due sono perfettamente affiatati dentro la società nella cogestione del settore giovanile e della sicurezza dentro e fuori lo stadio con il pieno utilizzo di pregiudicati». I vivai sono un settore estremamente sensibile: non basta saper giocare bene a pallone, al giovane di talento serve la raccomandazione giusta per fare il salto di qualità. In Sicilia un tesserato su 10.000 riesce ad arrivare al grande calcio. Liberate il pallone prima che sia troppo tardi per tornare indietro.

http://www.liberazione.it/news-file/Liberate-il-pallone-prima-che-sia-troppo-tardi-per-tornare-indietro-----LIBERAZIONE-IT.htm

domenica 10 ottobre 2010

Nba Europe: Knicks di D'Antoni e Gallinari a New York

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=121406&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

MILANO (3 ottobre) – «Gallo-Mike: bentornati a casa». Lo striscione esposto sulle tribune di un Forum d’Assago stracolmo di persone, oltre dodicimila, e di passione per il basket sintetizza il clima di festa della sfida inedita e ricca di suggestioni Armani Jeans Milano-New York Knicks.

Il ritorno di chi ha fatto la storia dell’Olimpia e della pallacanestro italiana come Mike D’Antoni e di Danilo Gallinari, il talento che ha fatto innamorare una nuova generazione di appassionati. Nella prima tappa della quinta edizione dell’Nba Europe Live la franchigia della Grande Mela, rinnovata negli uomini e nelle ambizioni, mantiene illibata la casella delle sconfitte (0-17) negli scontri diretti tra team statunitensi e italiani battendo l’Armani 113-125.

Lavori in corso è il cartello comune a entrambe le formazioni, soprattutto in casa Knicks con alle spalle appena una settimana di preparazione transoceanica. Quarantotto minuti conditi da molti errori (48 palle perse complessivamente), ma anche da giocate spettacolari. Amar’e Stoudemire (32 punti in 28’), mister 100 milioni di dollari e pedina fondamentale del mercato, incanta e prende subito in mano la scena insieme a un emozionato Gallinari (24 punti, 5/11 da3) trascina al successo un gruppo ancora tutto da forgiare tanto in difesa quanto in attacco.

La partita. Milano non ha la fisicità per reggere a lungo il confronto, ma nel primo tempo resta sempre a contatto grazie alle percentuali al tiro e alle amnesie dei Knicks, 23-26 al 12’. Nel secondo periodo il pubblico milanese scopre la mano educata dell’ucraino Pecherov (23 punti) e le fughe in contropiede di Jaaber (16 punti e 7 recuperi) per il primo vantaggio, 39-34 al 16’, con 14/19 da2 e 11 perse Knicks. D’Antoni ributta nella mischia la coppia Gallinari-Stoudemire e ristabiliscono le distanze, 52-58 al 24’. Al rientro dall’intervallo la stella innescata dal pick ‘n roll di Felton abusa del proprio strapotere tecnico-fisico e il vantaggio sale in doppia cifra, 79-91 al 36’, mentre crollano le percentuali e l’intensità milanese. Nell’ultimo quarto i Knicks mollano la presa e fanno infuriare D’Antoni, da 80-94 a 101-109. A calmarlo e a chiudere in bellezza il ritorno a casa ci pensa Gallinari con le triple e l’autorità che tutti si aspettano da lui.

Amarcord Olimpia.
Nella tre giorni milanese dei New York Knicks Mike D’Antoni ha riannodato i fili dei ricordi e delle mille sensazioni speciali di una vita sportiva lunga diciassette anni nel club più titolato d’Italia (25 scudetti). Dal 1977 al 1990 il playmaker D’Antoni con la casacca Olimpia ha conquistato cinque scudetti, due Coppe Campioni, una Korac e una Intercontinentale. Dal ’90 al ’94 invece sulla panchina meneghina ha collezionato una Korac e maturato l’esperienza, insieme al ciclo vincente trevigiano, per poi approdare da coach nell’Nba.

L’abbraccio e i sorrisi di tanti compagni, da Roberto Premier al presidente federale Dino Meneghin, e allenatori come Dan Peterson e Franco Casalini. Oltre ai bei ricordi nel bagaglio di Mike c’è spazio anche per la nostalgia «di un’atmosfera unica che ho vissuto qui e speravo di ritrovare e trasportare nei posti in cui sono stato, ma è stato impossibile».

L’intreccio tra il passato recente e remoto dell’Olimpia e il coach Knicks continua nel segno della famiglia Gallinari. Da giocatore con il compagno di squadra Vittorio, da allenatore con il talentuoso figlio Danilo che D’Antoni ha voluto fortemente e difeso nella Grande Mela. Prima della palla a due sul volto e nelle poche parole di saluto pronunciate dal numero 8 Knicks tutta l’emozione di un talento sbocciato sui playground a qualche decina di chilometri dal Forum. Il Gallo ha incantato per due anni in maglia Armani, dal 2006 al 2008, oggi è diventato un “brand” dell’Nba (appena presentata la sua biografia, scarpe personalizzate, etc) a cui il New York Times dedica una pagina intera ed è una delle fondamenta sulle quali ricostruire una franchigia che non vince l’anello dal 1973. Nel soggiorno lombardo ha speso per lui parole importanti Donnie Walsh, presidente dei Knicks, in prima fila a gustarsi il match: «È un giocatore che contribuisce in diverse situazioni del gioco, oltre a essere il tiratore che ci serve. Vogliamo tornare ai play-off e se lui continua a crescere può puntare anche all’All Star Game». Gallinari è consapevole di tutto questo e ha avuto un’estate di lavoro fisico per farsi trovare pronto nell’anno della consacrazione.

Nba Europe
. Il viaggio dell’Nba in Europa, per il quinto anno consecutivo, non si ferma a Milano. Il 4 ottobre a Londra si affronteranno Lakers-Minnesota, il 6 a Parigi Knicks-Minnesota e il 7 in Spagna la gran chiusura del tour con Barcellona-Lakers con l’accoglienza presumibilmente trionfale dell’enfant du pays Pau Gasol. Da venerdì scorso Piazza Duomo è stata l’epicentro dell’evento con la Fan Zone di oltre 3mila metri quadrati con canestri e incontri speciali con le stelle Nba, nonché gli spettacoli delle New York City Dancers (cheerleaders Knicks). Questo tour fa parte della strategia di diffusione globale del marchio Nba del commissioner David Stern.Un’organizzazione ai limiti della perfezione che sposa show-business, lo spettacolo e i valori di questo sport e l’attenzione anche alle tematiche sociali con i programmi dell’Nba Cares (a Quart’Oggiaro, quartiere della periferia milanese, è stato donato da Nba, Adidas e Fondazione Laureus un nuovo play-ground).

lunedì 13 settembre 2010

Kevin Durant, magie da Dream Team: Usa campioni del mondo

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=118607

di Gabriele Santoro


ROMA (12 settembre) - Kevin Durant (28 punti) spegne il sogno mondiale della Turchia di Bogdan Tanjevic
. L'ala classe '88 riporta
dopo sedici anni di astinenza gli Usa sul tetto del mondo ed è la nuova stella globale al pari degli assenti eccellenti Kobe Bryant e Lebron James. Per coach Mike Krzyzewski (il mentore di Duke) e Jerry Colangelo responsabile dell'Usa basketball team possiamo dire missione compiuta.

Dopo i disastri nel mondiale casalingo di Indianapolis 2002 e nell'Olimpiade 2004 con la "squadra da incubo" hanno saputo ricostruire un gruppo vincente, prima con la riedizione del Dream Team che ha stravinto l'oro a Pechino 2008, ora la Coppa del Mondo con l'esperienza della coppia Billups-Odom e una nuova generazione di fenomeni con i vari Rose, Durant, Westbrook, Gay che hanno ristabilito il predominio della propria pallacanestro. Uno strapotere tecnico-fisico adattato al gioco europeo.

Sul terzo gradino del podio sale la Lituania, che schianta la Serbia nella finale per il bronzo: 99-88 il risultato.

La Turchia conquista così la prima medaglia color argento ai mondiali, convince tutti con un'organizzazione ottima e riceve l'applauso, i cori incessanti della gente ormai innamorata di questo sport. Bogdan Tanjevic è l'artefice principale di questo successo: il frutto pregiato di tanti anni di grande lavoro per la nazionale turca. La curva pericolosa del cancro non ha fermato il tecnico montenegrino, che dopo mesi difficili e dolorosi si è ripreso quella panchina dove per trentanove anni ha regalato magie, emozioni e trofei. Da uomo coraggioso ha mantenuto la promessa "saranno i medici a dover rincorrere me, non io loro". Ora l'aspetta la nuova avventura come direttore tecnico della Lottomatica, anche se gli rimane la voglia compatibile con le condizioni di salute di restare come ct turco fino agli Europei 2011.
La partita. Alla vigilia della finale Hidayet Turkoglu parlava di limitare i tiri a disposizione di Durant e gli errori per non concedere punti facili in campo aperto agli Usa. Non è ingeneroso verso i padroni di casa dire che sfida vera non c'è mai stata. La Turchia resiste per un quarto e mezzo, 17-14, ma al 18' il conto delle palle perse è arrivato già a 9 e gli statunitensi hanno una maggiore reattività evidenziata dal 12-2 sulle seconde occasioni di tiro. Kevin Durant è uno spettacolo, un rebus irrisolvibile per la difesa a zona di Tanjevic. L'americano corre, si diverte, segna come e quando vuole: al 20' mette a referto il 50% dei punti, 20 sui 42. I biancorossi rincorrono a dieci lunghezze di distanza, 32-42, tirano con percentuali deficitarie 35% da2 e 33% da3 e soccombono a rimbalzo. L'unico a tenere la rotta è Turkoglu con 11 punti e 7 rimbalzi.

Al rientro in campo dal riposo lungo ci si attende l'ultimo assalto turco, ma Durant toglie qualsiasi velleità. Il tempo di piazzare due triple, 28 punti in 26', e scende il sipario sulla contesa, 32-50. Arslan si mette in proprio con due siluri, ma in transizione la coppia Westbrook (13 punti)-Gay con 5-0 chiude i conti. Nell'ultimo periodo c'è spazio per lo show formato Nba con Odom (15 punti): schiacciate e contropiedi spettacolari. Il divario sale oltre i venti punti, 50-72, fino al conclusivo 64-81.

Bilancio e numeri Mondiale.
Patrick Baumann, segretario generale della Fiba, l'ha definita "l'edizione più riuscita
nei sessant'anni della storia dei mondiali". Un successo per il grande spettacolo sportivo offerto dalle ventiquattro nazionali presenti nonostante l'assenza delle stelle Nba, per la straordinaria partecipazione della nazione ospitante trascinata dai successi dei propri beniamini e dai numeri prima mai registrati della copertura mediatica dell'evento.

Un miliardo di persone in oltre duecento paesi hanno seguito le partite: un bacino di utenza tutto da conquistare è quello cinese che ha toccato il picco di 65 milioni di telespettatori per il match del girone eliminatorio Cina-Grecia. Nell'intervallo della finalissima con una bella cerimonia di premiazione il presidente della Federbasket Dino Meneghin, insieme ad altre quindici stelle del basket mondiale (Divac, Sabonis, Gomelski etc) tra giocatori e coach, è entrato ufficialmente anche nella "Hall of fame" (La casa delle stelle) Fiba. L'ultimo riconoscimento per il monumento e la guida del movimento cestistico italiano che deve rilanciarsi, a partire dagli Europei 2011.

L'Europa esce con una medaglia di bronzo e molte certezze, a partire dalle nuove leve balcaniche e baltiche. La Serbia ha mostrato al mondo un serbatoio fantastico di talenti, destinato a dominare la scena continentale nei prossimi anni.La Lituania seppur priva di molti protagonisti è il solito mix di qualità e gioventù. La Spagna invece ha deluso senza la leadership di Pau Gasol, ma c'è da giurarci che per i prossimi mondiali in casa del 2014 tornerà alla ribalta. Nel Latino America L'Argentina di Luis Scola è in parabola discendente e il ritorno di Manu Ginobili non basterà a rilanciarla. Il Brasile è stata l'unica squadra a mettere in difficoltà gli Stati Uniti, con i lunghi Splitter e Varejao è ormai una realtà mondiale. Dal resto del mondo poche novità con la Cina che dopo il fenomeno Yao Ming stenta ad affermarsi. Le immagini più belle di questa edizione resteranno la tripla da otto metri di Milos Teodosic che ha dato la semifinale alla Serbia e la stoppata di Erden che ha spalancato le porte della finale alla Turchia. Frammenti di grande basket e una certezza: gli americani si sono ripresi definitivamente il gioco che hanno inventato.

venerdì 10 settembre 2010

Castel Volturno, l'Africa italiana e il "Fernandes"

di Gabriele Santoro

CASTEL VOLTURNO - Il piccolo Manuel, meno di un anno di vita, figlio di una giovane donna nigeriana strappata alla prostituzione della via Domiziana e accolta dal Centro per immigrati Fernandes di Castel Volturno ti guarda con gli occhi e il sorriso inconsapevole del mondo difficile che lo circonda e lo aspetta. Al momento sono quattro le ragazze nigeriane ospitate nel Centro: una goccia nel mare delle oltre 500 donne vittime della tratta sessuale nella zona.

Dalle finestre del terzo piano dell'unico centro accoglienza di tutta la Campania si scorgono i materassi, le tende e i tappeti rivolti verso la Mecca che nelle notti estive castellane si affollano di migranti. Il Fernandes (operativo su legge regionale dal 1996), tenuto aperto dalla Caritas con un organico ridotto all'osso e da realtà di volontariato, accoglie all'interno oltre settanta persone che raddoppiano per il pernottamento nel parcheggio esterno, dove Miriam Makeba ha finito i propri giorni cantando per la dolente Africa italiana. Un punto di riferimento aperto 365 giorni all'anno che offre ai migranti: assistenza legale con lo sportello del patronato Acli, assistenza sanitaria con gli ambulatori dei medici volontari dell'Associazione "Jeremy Masslo", un servizio mensa, corsi di lingua italiana e mediazione culturale tutto a carico della Diocesi di Capua senza alcun contributo economico delle istituzioni locali.

Le cifre evidenziano una sproporzione demografica e una miscela che in assenza di politiche d'integrazione e legalità può diventare esplosiva: alla popolazione locale di 23mila abitanti si somma in questo periodo un corpo vissuto come estraneo di oltre diecimila migranti originari soprattutto dell'Africa sub-sahariana (in maggioranza ghanesi e nigeriani). Il malcontento nella cittadinanza è diffuso e questa presenza viene considerata come un ostacolo al rilancio turistico della zona.

In un territorio contaminato e controllato da una criminalità organizzata florida e feroce la manovalanza e la gestione di alcuni settori criminali dal ricco indotto economico, come lo spaccio e la prostituzione, viene appaltata o lasciata alla malavita straniera da quella albanese a quella nigeriana. Una polveriera sempre pronta a infiammarsi nell'agglomerato, nell'ecosistema più complesso e dall'equilibrio costantemente instabile dell'immigrazione italiana non governata. Non è lontano il ricordo delle violenti proteste all'indomani della strage camorristica dei sei migranti nel settembre 2008.

La crisi economica ha portato a Castel Volturno parte del motore umano delle fabbriche del nord del Paese: tutti operai migranti regolari rimasti senza lavoro e privi di tutele sociali. Nel Centro e nelle fatiscenti abitazioni dei quartieri ghetto, scrutabili senza particolari ricerche puoi trovare i reduci della "guerra" di Rosarno, i braccianti stagionali estivi per la raccolta dei pomodori (ricca produzione autoctona) o gli "indiani invisibili" che pullulano nelle aziende bufaline e secondo il rapporto dell'Oim vivono anche nelle stesse stalle in cui lavorano. L'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) ha sollecitato le autorità italiane a indagare sulle "deplorevoli condizioni di lavoro" dei migranti. All'alba il sole deve ancora sorgere quando inizia la lunga marcia del pendolarismo migrante verso "le rotonde degli schiavi" di Villa Literno, Villaricca, Giugliano, Casal di Principe, Mugnano. Ci si schiera in fila in attesa di essere scelti per i lavori di giornata nell'edilizia, nei campi agricoli con paghe che oscillano dai 25 ai 40 euro quotidiani. Sempre in agguato la guerra tra poveri con la sfida al salario più basso. La sera quando il sole sfuma lungo la Domiziana sembra di essere in una qualunque città africana: sfrecciano colonne di biciclette con schiene piegate dalla fatica e un ritorno in una casa che non ha nulla di accogliente.

Perché gli africani scelgono Castel Volturno? Perché qui in qualche modo la vita si arrangia, si sbarca il lunario e con i molti connazionali presenti è un po' come sentirsi a casa. In secondo luogo c'è una grossa offerta abitativa. L'inquinamento del litorale domizio ha portato a un progressivo abbandono del patrimonio immobiliare e residenziale, per lo più abusivo, sorto a partire dagli Anni Settanta mentre il primo flusso di immigrati è iniziato ad arrivare negli Anni Ottanta. Quelle che erano residenze estive, ormai in totale stato di dismissione e molte delle quali senza servizi (acqua, fogna, luce), ora vengono affittate dagli italiani ai migranti anche a circa ottocento-novecento euro al mese in nero da suddividere sempre dal numero igienicamente insostenibile di inquilini.

In tutte le difficoltà Antonio Casale, direttore del Fernandes, conferma l'impegno dell'accoglienza: "Allo Stato spetta la riaffermazione della legalità. Noi non derogheremo al nostro dovere di assistenza e d'integrazione a fronte di un welfare pressoché inesistente".

(Foto di Michele Docimo)

La N.C.O: l'impegno e la legalità nascono in cucina

di Gabriele Santoro

SAN CIPRIANO D'AVERSA - Nel cuore di San Cipriano D'Aversa, comune di 13mila abitanti della provincia casertana alla ribalta delle cronache nazionali come avamposto con la confinante Casal di Principe del clan camorristico dei "Casalesi", l'oasi di legalità costituita dalla "Nuova Cucina Organizzata" raccoglie i frutti sani del proprio lavoro e pianta nuove radici di speranza nel territorio. L'Nco, inaugurata il 1 agosto 2007, è la storia di una doppia scommessa vinta figlia di una lucida e creativa follia: aprire un'attività commerciale (un ristorante) fuori dal controllo malavitoso e assumere come soci lavoratori dei "matti". In applicazione della Legge 180, meglio conosciuta come Basaglia, la Cooperativa Agropoli (già attiva nel campo sociale/sanitario) ha concretizzato il progetto d'integrazione di ragazzi con disagi psichici nello staff operativo della pizzeria.

Gli occhi si fanno lucidi e la voce di Peppe Pagano, responsabile di Nco, s'incrina per l'emozione e la stanchezza quando narra un impegno che non conosce sosta, che non ha nulla di episodico o emergenziale. "Abbasso la testa e lavoro come un matto. E' inutile pensare di cambiare il mondo, se non cambiamo noi. Siamo rimasti sbalorditi da questo successo, per esempio con il servizio di consegne della pizza a domicilio: prima non lo faceva nessuno a San Cipriano, così come dai miglioramenti esponenziali dei ragazzi. Fondamentale è stato anche il contributo di Franco Rotelli, amico e collaboratore di Franco Basaglia, come direttore del reparto psichiatrico dell'ospedale di Aversa".

Il ristorante è un esempio di economia pulita. Un punto di riferimento per i sanciprianesi vogliosi di scrivere un racconto diverso di una terra devastata dal potere criminale e dall'assoluta mancanza di prestigio delle Istituzioni puntualmente negligenti. Un fattore di successo è la fitta rete di collaborazione costruita dalla cooperativa sul territorio a partire dal rapporto con Libera (molti degli ingredienti usati in cucina arrivano dalla produzione di Libera Terra nei beni sottratti alle mafie). Il locale è diventato una tappa fondamentale per le centinaia di giovani volontari che d'estate affollano i campi di lavoro nei tanti beni confiscati alla camorra nella zona.

La cucina dei "matti". Nel caldo torrido estivo lo spicchio di giardino dell'Nco, per un gioco di incroci tra pieni e vuoti dei palazzi adiacenti, regala il punto più fresco di San Cipriano e gustarsi i piatti tipici dell'ottima cucina locale a prezzi congtenuti è ancora più piacevole. Il cinquantacinquenne Romualdo Affuso è uno dei simboli di questa rinascita collettiva. Lo staff della Coop Agropoli l'ha tirato fuori da un ospizio per anziani dove era stato confinato senza alcuna strategia di reinserimento sociale. Oggi ha un contratto di lavoro, riceve lo stipendio regolarmente, mette i risparmi sul proprio conto corrente postale. Nelle piazze del paese non è più vissuto come uno "uno scarto". Il 28 maggio il sindaco gli ha conferito la cittadinanza onoraria in quanto "professore di vita".

Questo gesto per quanto formale nella città di Antonio Iovine, boss ai vertici dei Casalesi e superlatitante da 13 anni, è il riconoscimento tangibile del cambiamento in atto. L'ambiente in cui è sorta e vive l'Nco è tutt'altro che facile. Lo scorso febbraio in via Modigliani, a un chilometro e tre minuti di macchina di distanza dal ristorante, è stato arrestato in un'abitazione Corrado De Luca, colletto bianco del clan e braccio destro di O'Ninno Iovine. La lettura dei verbali o i semplici comunicati stampa inerenti gli arresti restituisce il quadro di un sistema sociale violentemente arcaico, fondato su legami familiari praticamente indissolubili. L'impegno della magistratura e delle forze dell'ordine sta producendo risultati importanti sul piano repressivo. Tuttavia la vera vittoria, come sottolinea Peppe Pagano rifacendosi alle parole di Paolo Borsellino, non può essere affidata a "una distaccata opera di repressione, ma a un movimento culturale e morale che coinvolga tutti".

La sfida di Via Ruffini. Grazie agli utili ottenuti dal ristorante, oltre 40mila euro nell'ultimo anno, dal 10 luglio 2009 la Cooperativa Agropoli ha preso in gestione il bene immobile con annesso terreno confiscato al boss Pasquale Spierto in via Ruffini. Nella villa c'è già un gruppo di convivenza con ragazzi svantaggiati ed è la sede della band Terre di Don Peppe Diana. Il progetto prevede poi la creazione di un centro ludico dotato di uno spazio teatrale, di una sala d'incisione musicale e una web-radio. Intanto dopo i lavori di ristrutturazione il bene ha iniziato a popolarsi spontaneamente dei tanti ragazzi di strada sanciprianesi. Un pallone che inizia a rotolare sull'erba e non più sull'asfalto. Un insieme di regole da rispettare. Un'assistenza preziosa con il doposcuola, a fronte del fallimento del sistema scolastico: il tasso di dispersione tocca il 25% (più del doppio della media nazionale). La struttura ha ospitato il Festival dell'Impegno Civile e ad agosto si sono svolti i campi dilavoro ed educazione alla legalità con giovani provenienti da tutta Italia. Ecco la rivoluzione tranquilla sognata da Don Peppe Diana.

(Foto di Michele Docimo)

mercoledì 8 settembre 2010

Nihad Dedovic, la "perla balcanica" alla Virtus

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=117873&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA (7 settembre) - Il talentuoso ventenne Nihad Dedovic è il colpo che chiude il mercato estivo della Lottomatica Roma. L'acquisto porta la firma di Bogdan Tanjevic che già lo voleva lo scorso anno al Fenerbahce. Il direttore tecnico della Virtus è sempre pronto a scommettere e investire sui giovani, proprio come quando portò in Italia l'adolescente Dejan Bodiroga. E il campione serbo è l'idolo di Dedovic, soprannominato in Spagna "El Ricky Rubio bosniaco". Con Rubio, play anch'egli ventenne del Barça e della nazionale spagnola, condivide gli onori e gli oneri di una carriera che ha bruciato le tappe e un potenziale tecnico messo subito alla prova dei grandi palcoscenici. Il bosniaco arriva con un prestito biennale dal Barcellona: un prospetto che, come sottolinea Boniciolli, può dare soddisfazione anche nell'immediato. «Nonostante la mia giovane età mi sento pronto per compiere il salto di qualità - spiega Dedovic - Arrivo in un club ambizioso come me. Si è vero ci sono sempre molte aspettative nei miei confronti, ma ho imparato a gestire la pressione. Ringrazio Tanjevic per la fiducia: per me è un onore essere scelto da un tecnico e un dirigente del suo spessore».

Dedovic (guardia-ala di 198 cm, 90 kg) è un ragazzo cresciuto in fretta e glielo si legge sul volto timido e serioso. Un'infanzia che ha conosciuto e schivato gli orrori della guerra jugoslava. Nei primi Anni Novanta Visegrad, città natale del cestista che dista 100 km da Sarajevo, e il letto del fiume Drina che l'attraversa sono stati trasformati in un'enorme fossa comune con circa tremila vittime tra le quali centinaia di donne e bambini. Lo scenario del Ponte sulla Drina, reso famoso dall'opera del premio Nobel Ivo Andric, ridotto a patibolo per le esecuzioni sommarie di civili musulmani bosniaci da parte delle milizie serbe. Nel destino del piccolo Nihad però c'era scritta la pallacanestro: a 15 anni il debutto nella Lega Adriatica con il Bosna Sarajevo, a 16 anni la partenza dalla natia Bosnia per approdare in Spagna dove il Barcelona nel novembre 2006 investe su di lui mezzo milione di euro per strapparlo alla concorrenza di altri top team iberici (Tau, Girona) e lo blocca con un contratto di sei anni dopo l'ottima impressione destata all'Europeo Under 16. I campioni d'Europa blaugrana, come avviene anche per il calcio, investono sui prospetti più interessanti in giro per il continente con l'obiettivo di lanciarli poi in prima squadra.

Nel biennio 2007-2009 la dirigenza catalana l'ha fatto svezzare nel club satellite Wtc Almeda Cornella Park (Leb Plata, raggruppamento della seconda lega spagnola) a cui ha regalato la storica promozione nella Leb Oro con alcune apparizioni in prima squadra, come nei play-off scudetto del 2009 quando è subentrato al posto dell'infortunato Lubos Barton. Un'esperienza che se da una parte ha contribuito ad aumentare lo spazio a disposizione del giocatore ha rivoluzionato un processo di crescita iniziato su piazze e situazioni tecniche ben più competitive. Il talento di Djedovic non c'entra nulla con la serie B spagnola. Nell'ultima stagione l'ala bosniaca ha giocato in prestito al Xacobeo blu:sens (Acb) producendo queste cifre: 17' di media in campo, 6 punti con il 52% da2 e il 32% da3. Nell'ultima estate è stato protagonista con la nazionale bosniaca delle qualificazioni (di fatto inutili in seguito all'allargamento a 24 delle partecipanti) agli Europei 2011. Sei partite a 12.3 punti (64.5% da2, 42% da3), 4.3 rimbalzi e 1.3 assist di media, con l'exploit finale contro la forte Macedonia: 20 punti (6/7 da2, 2/3 da3, 6 rimbalzi).

Chi è Dedovic. Rabaseda-Samb-Dedovic. Non c'è solo il bosniaco nella linea verde pronta al salto di qualità nella cantera del Barça. In questo terzetto di promesse Roberto Duenas, pivot e capitano storico blaugrana, esalta l'ala: «Tutti e tre sono pronti per la prima squadra o altri club della massima serie. Dedovic è quello che emerge di più: è un gran giocatore con un talento innato, ottimo fisico e preparato per il salto di qualità». Una costante progressione per un'ala piccola, utilizzabile anche da guardia, molto versatile e capace di crearsi diverse situazioni di tiro: il meglio lo dà nell'uno contro uno e nelle penetrazioni a canestro grazie all'esplosività e velocità del primo passo, ma non disdegna le soluzioni dalla lunga distanza. Nonostante la giovane età dimostra una certa maturità nella gestione dei possessi, perde pochi palloni con buone doti in palleggio e vede i compagni. In difesa mette molto ardore e questo lo porta spesso a caricarsi di penalità.

Le parole di Dedovic. «Non ho paura a prendermi tiri aperti o a sfidare la difesa schierata con l'uno contro uno. Devo migliorare molto in difesa. Lasciare il mio paese precocemente non è stato semplice. Il primo periodo a Barcellona è stato molto duro, a partire dalla lingua. Ora parlo bene lo spagnolo e ho creato un bel gruppo di amici come a casa mia. Nel tempo libero amo ascoltare tanta musica di tutti i generi e sono appassionato di nuove tecnologie, passo molto tempo al computer. La mia miglior partita? Ho un ricordo bellissimo quando giocavo al Bosna e davanti a Svetislav Pesic, sulla panchina del Girona, piazzai tre triple consecutive. Il giocatore preferito? Tracy Mc Grady quando giocava agli Orlando Magic, qui invece mi ispiro a Navarro».

Mercato e infortuni. La Virtus ha allestito un roster decisamente più equilibrato rispetto alla scorsa annata. Un mix con talento di esperienza e gioventù: dal trentacinquenne Smith al ventenne Dedovic. Sotto canestro la coppia Traore-Heytvelt assicura punti e muscoli, in regia Washington dovrà far canestro e far girare la squadra». «La concorrenza media in campionato sarà durissima e sulla carta Milano e Siena restano un gradino sopra questa Lottomatica. Molto dipenderà anche dal salto di qualità definitivo a cui è atteso il gruppo di nazionali.La stagione romana non è cominciata sotto i migliori auspici per gli infortuni. Matteo Boniciolli in una settimana ha dovuto metabolizzare due tegole e un punto interrogativo. La parentesi estiva con la nazionale ha restituito un Angelo Gigli con i legamenti del polso destro lesi (operato a Torino, ne avrà fino almeno fino a metà novembre), Luigi Datome ha finito il primo allenamento romano con gli impacchi di ghiaccio sul ginocchio sinistro gonfio (infortunatosi in azzurro e ora sotto accertamenti medici) e ciliegina finale una gomitata fortuita di Iannilli in allenamento ha messo ko l'altra ala-pivot Josh Heytvelt con una frattura pluriframmentaria del setto nasale (già operato, circa un mese di stop). Di conseguenza per il ritiro, iniziato lunedì a Folgaria, sono a disposizione i soli Washington, Giachetti, Toure, Vitali, Crosariol, Iannilli, Tonolli e Marchetti con l'aggiunta di un un gruppo di junior oltre al serbo in prova Drenovac. Traore ha chiuso l'avventura ai mondiali con la Francia e si aggregherà con Charles Smith alla squadra, che sta ultimando le pratiche per il visto prima di raggiungere l'Italia, nel fine settimana.

venerdì 3 settembre 2010

Turchia, ecco lo spettacolo dei Mondiali

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=117319&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA (3 settembre) - Ventiquattro squadre, duecentottantotto giocatori, ottanta partite, centottantre paesi collegati in tv (è irradiato per la prima volta anche il sub-continente indiano), trecentocinquantamila tagliandi venduti, quattro palasport all'avanguardia, una nazione ospitante come la Turchia che ha sete di grandezza e un'altra gli Usa che dopo sedici anni di astinenza (ultima volta nel '94 con il giovane Shaq O'Neal e Reggie Miller) vuole tornare a casa con la Coppa del mondo. Benvenuti alla Fiba World Championship 2010 che da domani, dopo la prima fase a gironi (4 gruppi da sei squadre), entra nel vivo con l'inizio degli ottavi.

Non ci sono state sorprese nei gironi a parte l'eliminazione della Germania priva di Nowitzki: gli Stati Uniti hanno dettato legge, in grande spolvero le rappresentative balcaniche Slovenia-Serbia e la Lituania, hanno tutt'altro che entusiasmato i campioni e i vice-campioni in carica di Spagna e Grecia ora rivali negli ottavi, bene la Turchia che non ha commesso passi falsi e resiste l'Argentina di Luis Scola anche se non c'è stato un ricambio dietro la generazione dell'oro olimpico Atene 2004, infine un tocco di Africa con l'insperata qualificazione dell'Angola. Un torneo dal risultato finale tutto da scrivere e l'ambito Naismith trophy con almeno quattro legittime pretendenti (Usa, Spagna, Serbia, Turchia).

Ad accendere le notti mondiali turche manca il cast delle stelle Nba: i vari Ginobili, Nowitzki, Pau Gasol, Tony Parker, Steve Nash insieme al Dream Team Usa (Bryant, Howard, Pierce etc) hanno dato forfait. Questo ha prodotto meno spettacolo e attenzione mediatica, ma ha aumentato l'equilibrio delle sfide e regalato il palcoscenisco a una nuova generazione di talenti che hanno ancora fame di conquistare il mondo. Non ci sono neanche le vuvuzela, protagoniste del mondiale sudafricano, vietate dalla Fiba e di loro non si sente la mancanza. Nelle strade di Istanbul si respira l'aria del grande evento: appaiono ovunque cartelli che ricordano il mondiale, le televisioni nei locali sono sempre sintonizzate sulle partite, tanti tifosi da tutto il mondo hanno abbinato una vacanza alla passione per il basket. Da segnalare l'autentica invasione di oltre seimila sloveni, rigorosamente sempre abbigliati in verde, popolo che vive di pallacanestro.

Prima e durante le partite della Turchia l'atmosfera nell'Ankara Arena è stupenda: il rosso e il bianco colorano tutti gli spalti, all'esecuzione dell'inno nazionale esplode una sola voce potente, una squadra giovane e zeppa di talento sul parquet, in panchina un tecnico straordinario e un uomo coraggioso come Bogdan Tanjevic (dt della Lottomatica Roma) che oltre a vincere con gli avversari in canotta lotta quotidianamente contro il cancro. Al momento l'Italbasket è lontana da questi palcoscenici. Uno spruzzo di Belpaese c'è con il tecnico Sergio Scariolo, che dopo aver regalato l'Europeo alla Spagna tenta l'assalto ai Mondiali.

Gli ottavi. La prima serie di partite a eliminazione diretta si terrà da sabato a martedì prossimo: tante sfide interessanti, due derby bollenti, qualche risultato scontato. Partiamo da qui: gli Stati Uniti avranno la strada spianata contro l'Angola, così come la Lituania del "milanese" Maciulis non dovrebbe avere problemi nel superare la Cina. Slovenia e Russia, a meno di cali di tensione e un giro a vuoto, toglieranno dal mondiale le rappresentative oceaniche della Nuova Zelanda che però nell'ultima partita del girone ha giocato uno scherzetto alla Francia e dell'Australia del play tascabile aborigeno Mills. Arriviamo ai derby. Sabato pomeriggio Serbia e Croazia alzeranno il sipario sugli ottavi. La vecchia Yugoslavia dei vari Bodiroga, Divac, Djordjevic, Danilovic capace di vincere tre delle ultime cinque edizioni del mondiale è un ricordo lontano. Serbia e Croazia presentano formazioni giovani con una covata di talenti in rampa di lancia. I serbi guidati in panchina dal veterano Ivkovic hanno vinto il girone con un basket di qualità sull'asse play-pivot Teodosic-Krstic, la sorpresa Savanovic e le certezze di Velickovic. I croati finiti quarti nel raggruppamento hanno un po' deluso: in ombra la stellina forgiata a Madrid da Messina Ante Tomic, a corrente alternata in regia Roko Ukic e una guida tecnica che non convince. L'altro derby è il classico sudamericano Argentina-Brasile. Si annuncia una battaglia spettacolare con la curiosità di un tecnico argentino Ruben Magnano, artefice dell'Argentina campione olimpica, sulla panchina carioca. Decisiva per il passaggio del turno sarà la sfida sotto canestro tra le rispettive stelle Luis Scola e Thiago Splitter. Spagna e Grecia sarà la riedizione dell'ultima finale iridata con un pronostico aperto. Entrambi le nazionali ora dovranno scoprire le carte e dare sostanza alle proprie ambizioni. Alla Turchia leader del girone è capitato un accoppiamento scomodo con la Francia di Nicolas Batum e Boris Diaw, squadra camaleontica per eccellenza capace di stendere la Spagna e poi scivolare con l'abbordabile Nuova Zelanda.

Numeri. Leader statistico della prima fase della competizione è il centro Nba dell'Argentina Luis Scola (in tre partite su cinque oltre i trenta punti): 29 punti (60% da2) e 8 rimbalzi in 34 minuti di media d'impiego. Negli Stati Uniti il giovane Kevin Durant conferma l'ottima stagione Nba e si candida a leader per il futuro del Dream team: 17.8 punti e 6 rimbalzi di media. Tra i primi cinque realizzatori troviamo anche tre candidati all'oscar di attori non protagonisti come il cinese Yi (comparsa nei Nets), l'iraniano Haddadi e il kiwi Penney (37 punti contro la Lituania). Migliori tiratori dalla lunga distanza il tedesco Jagla (13/20) e il serbo Rasic (15/25). La Serbia e gli Stati Uniti hanno l'attacco più prolifico con rispettivamente 93 e 91 punti a serata. La Turchia tira meglio di tutti dall'arco con il 41% ed è seconda nei rimbalzi dietro la Serbia, 42 a partita.

sabato 28 agosto 2010

Charles Smith: il "Ragno" alla Lottomatica

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=116550&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA (28 agosto) - Punti, leadership ed esperienza: questo si aspetta Matteo Boniciolli dalla guardia statunitense Charles Smith, firmato dalla Lottomatica Roma per un anno. L'ex giocatore dell'Efes Pilsen formerà con Darius Washington e l'ala piccola (intanto nel ruolo per un mese in prova c'è il diciottenne serbo Djordje Drenovac) ancora da ingaggiare il terzetto di esterni che dovranno garantire al quintetto romano pericolosità offensiva e carisma sul parquet, mentre dalla panchina sono attesi alla stagione della consacrazione i nazionali Giachetti, Vitali e Datome.

Per il trentacinquenne Smith si tratta del quarto ritorno in Italia (Bologna, Udine e Pesaro),
con alle spalle una lunga carriera da protagonista in Europa (Real Madrid con cui ha vinto scudetto, Uleb Cup e votato miglior giocatore del campionato spagnolo) e sei canotte diverse indossate nell'Nba. La fisionomia della nuova Virtus appare più equilibrata e senza gli equivoci tecnici dello scorso anno (4 ali piccole e 1 guardia) con alcune certezze e altre scommesse interessanti dalle quali dipenderà il buon esito dell'annata.

Dieci anni fa è stato proprio il coach triestino a portare Smith in Italia
: «Già ho lavorato con lui - sottolinea Boniciolli - perché con Giancarlo Sarti lo ingaggiammo a Udine. Da allora è fra i protagonisti del grande basket europeo. E´ un giocatore di grande livello. Un fuoriclasse assoluto che saprà dare un contributo importante alla chimica di squadra. Con questo colpo, concretizzato al termine di una trattativa lunga e complicata, il presidente Toti dimostra di voler competere ancora ad alto livello».

Chi è Smith. Il suo mestiere è fare canestro anche ad alto coefficiente di spettacolarità. La specialità della casa è il tiro in uscita dai blocchi grazie alla velocità di preparazione ed esecuzione. Dotato di un ottimo tiro in sospensione, che tornerà in voga con l'allargamento dell'area previsto dalle nuove regole, e affidabile dalla lunga distanza. Smith è bravo a guadagnarsi falli, quindi tiri liberi, ma anche nella fase difensiva è un fattore (votato nel primo quintetto difensivo e guardia dell'anno nello scorso campionato turco). In sintesi un giocatore completo in grado di essere utile alla squadra in tante situazioni. Nei momenti caldi delle partite si prende sempre le responsabilità, giocando i possessi decisivi.

Queste sono le sue statistiche nella passata stagione in maglia Efes Pilsen: in campionato 24.4 minuti, 12.9 punti (66% da2, 40% da3), 3 rimbalzi, 2 recuperi di media; in Eurolega 26 minuti, 12.6 punti (63% da2, 35% da3), 2.6 rimbalzi e 2 recuperi di media. Negli ultimi play-off turchi, in cui l'Efes ha lasciato lo scudetto al Fenerbahce di Tanjevic, Smith ha toccato i massimi stagionali: 26 punti in 28' con 6/8 da3 contro l'Erdemir nei quarti, 25 punti in 28' con 4/7 da3 e 11/12 ai liberi nella decisiva gara tre di finale con il Fenerbahce. La guardia nelle gerarchie dell'Efes ha presto scalzato il titolare serbo Rakocevic, miglior marcatore dell'Eurolega 2009, e garantito il rendimento più continuo in un roster zeppo di stelle.

Ecco come si descrive il "Ragno"
(soprannome derivante dalle braccia molto lunghe), grande appassionato di video-games, e svela gli ingredienti della propria longevità sportiva. «Le mie caratteristiche principali? Lavoro sempre duro e sono una persona onesta. La vita notturna? No. Questo è il menù delle mie giornate: mi sveglio presto, mangio e mi alleno. A Madrid avevo due ristoranti preferiti in cui mangiare la paella, il mio piatto preferito, e cercavo senza trovarli cinema che proiettassero film in inglese. Sogno nel cassetto? Vincere l'Eurolega. Alla vita chiedo la salute, serenità e fare il massimo per la mia famiglia (è sposato, ndr). La mia squadra Nba del cuore fin da bambino sono stati i Detroit Pistons, poi da buon texano (nativo di Fort Worth, ndr) sono pazzo per i Dallas Cowboys. Il basket in Europa? I coach sono molto preparati. S'incontrano diverse culture cestistiche e ho imparato che qui ogni partita è fondamentale, non puoi mai rilassarti anche quando giochi con team sulla carta inferiori».

Parabola discendente? Gli unici eventuali dubbi sull'acquisto di Smith, classe 1975, riguardano l'anagrafe. I numeri dell'ultima annata in Turchia non destano preoccupazioni sull'integrità fisica dell'esterno. Nelle precedenti esperienze europee il "Ragno" si è sempre contraddistinto per una seria etica del lavoro e a differenza di molti colleghi Usa vive più di giorno che non la notte. La Virtus Roma è rimasta però scottata negli anni con atleti dai cognomi altisonanti, ma che il meglio lo avevano già dato altrove. Qualche nome? Tyus Edney, Rashard Griffith o le meteore Gary Trent e Ruben Douglas. A Smith il compito di smentire gli scettici ed evitare il rimpianto: «Pensa se fosse arrivato qui dieci anni prima...».