lunedì 6 giugno 2011

"Cantucky" è tornata: la lezione della piccola Cantù alle grandi

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di Gabriele Santoro

ROMA - “Cantucky ” è tornata. A trent’anni dall’ultima finale scudetto la Brianza, cuore pulsante della pallacanestro italiana, con la Bennet Cantù contenderà il titolo alla Montepaschi Siena (si parte sabato sera con gara uno). Al Pianella di Cucciago (Cantù) i nuovi idoli non parlano italiano come i campionissimi Anni Ottanta, da Antonello Riva a Pierluigi Marzorati, ma il linguaggio del campo riproduce le stesse emozioni e il senso di appartenenza a una realtà speciale.

Le triple del “Cardinale” Mazzarino, gli attributi in regia di Green, la migliore coppia di ali del campionato Leunen-Micov, la freschezza di Tabu e la mano di Markoishvili hanno affondato in quattro gare di semifinale una Milano, dai nomi importanti e strapagati, che non è mai diventata squadra. La Bennet, dopo la batosta subita in gara tre, si è rialzata dominando 62-74 il triste epilogo della stagione milanese davanti al parterre de roi del Forum (a tifare c’era anche Gallinari). La difesa canturina ha stressato fino all’esaurimento l’attacco improduttivo dell’Armani fatto di troppi palleggi e nessun movimento. E questa volta a salvare la barca non c’è stato lo strapotere fisico di David Hawkins (3 punti, 1/7 al tiro).

Nel 1981 sulla panchina della Cantù tricolore (si tratta della terza qualificazione in finale della società brianzola, mentre le semifinali sono dodici) sedeva il “Vate” Valerio Bianchini profeta di un basket che sapeva comunicare se stesso anche fuori dal parquet e la palla arancione. Oggi il segreto dei successi della nuova Cantù è sempre in panchina e dietro la scrivania con il “vecchio”, Bruno Arrigoni (il general manager), e il “bambino”, Andrea Trinchieri (il coach). Arrigoni è la mente di una dirigenza lungimirante che investe sapientemente i denari, non molti, messi a disposizione dalla proprietà con l’esordiente presidentessa Cremascoli. Arrigoni studia, sceglie e acquista i giocatori dopo averli visti all’opera e aver preso il maggior numero di informazioni possibili scandagliando il “sommerso” del mercato europeo e le summer league statunitensi (non solo quella nota Las Vegas). Negli ultimi anni quattro anni si ricorda un solo errore con l’Usa Jeffers, che non si è ambientato in Italia, ma è stato sostituito dal Micov che faceva panchina al Tau Vitoria.

Il milanese Trinchieri, dopo una lunga gavetta tra settori giovanili e Legadue, escluso Messina e Pianigiani è il miglior tecnico italiano emergente. In due anni ha costruito una Cantù dall’anima operaia e dal gioco regale: ammirare le spaziature dell’attacco brianzolo, i tempi degli aiuti difensivi, la ricerca quasi ossessiva di un passaggio in più per creare un tiro migliore fa innamorare del gioco più bello del mondo. Ora c’è il gradino più alto da scalare. Battere quattro volte in dieci giorni Siena è un’impresa ai limiti del possibile, ma non ditelo ai ragazzi entrati nell’anima del Pianella. Gli usurati spalti dell'impianto canturino trasudano una passione antica e intatta che ritrovi nei bar di piazza Garibaldi e via Matteotti, dove sono appesi ritagli di giornale e le foto ingiallite di tanti campioni americani passati in Italia.

Se la provincia del basket ride le metropoli piangono lacrime amare. L’altra faccia della medaglia è il volto cupo di Dan Peterson. Il “nano ghiacciato”, a meno di una clamorosa sorpresa, non sarà più l’allenatore dell’Armani Jeans Milano pronta a una nuova rivoluzione che comunque non significherà ridimensionamento economico. Peterson dentro non hai smesso di sentirsi “il coach”, ma il tempo passa per tutti e la sua volontà non è bastata a salvare un’annata cominciata con l’obiettivo di battere la Montepaschi. Con Ettore Messina destinato ai Lakers il futuro potrebbe parlare slavo: in pole ci sono Repesa, in uscita da Treviso, e l’ex romano Pesic. A Barcellona nei giorni della Final Four d’Eurolega il tecnico di Novi Sad, che aveva già deciso l’addio a Valencia dove si è rilanciato, ammiccava con un sorriso sul possibile rientro in Italia. A Roma, invece, è tutto un rebus dagli assetti dirigenziali all’allenatore fino al campo di gioco per la prossima stagione. Identità, passione e organizzazione è la lezione che la piccola Cantù insegna alle metropoli da ritrovare.

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