martedì 14 giugno 2011

LeBron James, il re senza corona

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di Gabriele Santoro

ROMA - «Dov’è finito LeBron James?» È la domanda che impazza su tutti i media statunitensi e viaggia nei social network con i tifosi delusi dalla stecca del talento della pallacanestro mondiale che non trova consacrazione. Nell’atto finale, che vale una carriera, LBJ ha recitato un ruolo passivo: lo strapotere fisico che lo contraddistingue si è rivelato un’arma spuntata a fronte di uno scarso impatto mentale.

Il figlio del sobborgo Akron si presenta nella conferenza post-partita abbozzando un sorriso forzato. «A volte in campo ti riesce tutto, altre niente. I playoff non si possono giudicare solo dalla finale. La pressione c’è in tutte le gare; c’era a gara 4 contro Philadelphia come nella serie con Chicago. Per me conta ogni singolo possesso della stagione. Lavoro duro per migliorarmi e salire di livello insieme ai miei compagni. Quando giochi la palla entra sempre nella retina? Non mi risulta. Ma non ho mai chinato il capo, non mi sono distratto pensando agli errori o a quanto avrei potuto fare.», spiega LeBron.

Disconoscere il valore di James sarebbe disonesto. Se Miami, come Cleveland in precedenza, è arrivata a contendersi l’anello molto dipende dalla continuità e dalla qualità di LeBron autentico mattatore (26 punti, 8 rimbalzi, 6.6 assist di media nelle cinque gare contro i Bulls) della finale di conference con Chicago. Fino a oggi, però, non ha mostrato il graffio del campione. Quelle giocate e la determinazione capaci di indirizzare il momento più alto della competizione.

L’obiettivo estivo degli Heat, come confessa sinceramente coach Erik Spoelstra, è fallito ma l’annata è tutt’altro che da buttare. L’assemblaggio di tre stelle del calibro di Wade, James e Bosh non era scontato e Miami ha trovato un equilibrio virtuoso grazie a una precisa identità difensiva. Il prossimo gradino da scalare sarà una migliore organizzazione in attacco, dove si sono viste poche alternative al gioco in transizione e alle soluzioni individuali.

Nella serie di finale Dwayne Wade è stato l’anima della franchigia di South Beach e davanti ai taccuini mostra la medesima lucidità. «Innanzitutto ci congratuliamo con i Dallas Mavericks. Senza girarci intorno sono stati migliori di noi. La sconfitta sarà una motivazione fortissima e lavoreremo per tornare qui. I Mavs, bruciati dalle finali 2006, hanno saputo restare uniti e ricostruire un percorso vincente. Nowitzki? Non ci sono questioni: è un campione. Si tratta del coronamento di una splendida carriera.»

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