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di Gabriele Santoro
ROMA – La fortuna non esiste. Ora Cadel Evans può sussurrarlo sotto il cielo di Parigi: sono tornati i conti con il destino dipinto di giallo rincorso da dieci anni tra mille contrattempi. L’antidivo delle due ruote è il nuovo re discreto del Tour de France con la maglia gialla consacrata sul gradino più alto del podio ai Campi Elisi. I novantacinque chilometri conclusivi della Grande Boucle si trasformano nella celebrazione del primo australiano a conquistare la corsa francese tra applausi, abbracci con avversari e compagni di squadra, foto di rito e brindisi a base di spumante. Al traguardo della ventunesima tappa non ci sono sorprese: Mark Cavendish, padrone delle volate, lanciato dal fido Renshaw brucia tutti e infila il quinto successo in questo Tour.Il podio domina i Campi Elisi con lo sfondo suggestivo dell'Arco di Trionfo. Cadel alza le braccia al cielo, scuote la testa quasi a non crederci e ascolta commosso l'esecuzione dell'inno nazionale avvolto nella bandiera australiana. L’altra prima volta del Tour parla lussemburghese: non era mai successo che due fratelli salissero contemporaneamente sul podio. Andy e Frank Schleck sorridono, ma la sconfitta pesa. Samuel Sanchez festeggia la maglia a pois del miglior scalatore. Cavendish veste quella verde della classifica a punti, mentre Rolland si gode la bianca del miglior giovane.
Evans, che iniziò a pedalare e sognare il Tour davanti al televisore in un piccolo villaggio abitato soprattutto da aborigeni, non ha l’arroganza del dominatore che deve costruire o difendere una dinastia alla Lance Armstrong. Il successo del trentaquattrenne, formatosi ciclisticamente in Italia con il compianto maestro e amico Aldo Sassi, è unico per lo stile e la sontuosa condotta di gara con cui è stato ottenuto. Nei primi dieci giorni della corsa il capitano della BMC è stato letteralmente scortato dai compagni di squadra, che l'hanno coperto dal vento in faccia a velocità altissime e protetto dalle cadute. La pedalata di Evans è stata la più continua, potente e rabbiosa del gruppo fin dal primo graffio alla quarta tappa sul Mur-de-Bretagne. Sui Pirenei e sulle Alpi si è difeso come un leone dagli attacchi degli avversari che non hanno mai scalfito la fiducia del corridore più completo. Il capolavoro l’ha compiuto sul Galibier, quando da solo ha dimezzato l’impresa di Andy Schleck che stava ipotecando la maglia gialla. Ha superato brillantemente l’Alpe d’Huez, prima della cronometro fantastica di Grenoble in cui ha rifilato 2'31" al lussemburghese e reso il sogno una realtà.
«Cadel è il simbolo di un ciclismo sempre più globale», sostiene Christian Prudhomme. E il direttore del Tour non sbaglia. Evans è il manifesto di un ciclismo pulito e un talento esploso con il lavoro duro. «Noi atleti siamo dei modelli per i giovani - ribadisce l’australiano, mai sfiorato da storiacce di doping - e abbiamo delle responsabilità nei loro confronti». Il campione vestito di giallo è uno spirito libero, appassionato del Tibet di cui ha sposato la causa. Con la moglie italiana Chiara Passerini vivono in Svizzera e hanno adottato a distanza un bambino tibetano, Tashi Norbu, sostenendo la Manasarovar Academy of Buddha di Kathmandu. Cadel non ha dimenticato le sue origini e con la Fondazione Ian Thorpe si adopera in favore dell’integrazione della comunità aborigena nella società australiana.
Il Tour più incerto ed equilibrato degli ultimi anni si è alimentato delle storie di tanti protagonisti. La Francia ha scoperto i numeri del giovane Pierre Rolland sull’Alpe d’Huez e si è innamorata di Thomas Voeckler con il suo carattere estroverso e combattivo. L'alsaziano classe '79 ha monopolizzato le prime pagine dei giornali transalpini per dieci giorni con la maglia gialla mantenuta a dispetto dei pronostici. I media d'oltralpe hanno già battezzato Rolland come il possibile erede di Hinault, ultimo francese a conquistare il Tour. Mark Cavendish sta avvicinando miti del calibro di Merckx, Armstrong e Hinault con la ventesima vittoria di tappa, la terza consecutiva ai Campi Elisi.
L’Italia è rimasta a secco in attesa di un affondo di Ivan Basso e Damiano Cunego, bravi solo a stare con i migliori. Alessandro Petacchi non è riuscito a insidiare lo strapotere di Cavendish in volata. Poi il miracolo di due fratelli, gli Schleck, campioni della bici che rincorrono ancora il primo vero successo. Andy ha regalato l’impresa più bella della Grande Boucle con la fuga sul Galibier. «Il Tour è stato perfetto, ma alla fine può vincerlo solo una persona. Il podio con mio fratello è un sogno. Sapevamo che Cadel era tra i favoriti e ha meritato. Ho lottato, sono giovane e ci riproverò», spiega il lussemburghese. Alberto Contador ha abdicato senza gambe e con la testa rivolta ai primi di agosto quando arriverà la sentenza sul caso clenbuterolo. La corsa dello spagnolo è stata subito compromessa dalle cadute, poi è arrivato il colpo di grazia con la crisi sul Galibier e la mezza riscossa sull'Alpe d'Huez.
A mettere d'accordo tutti ci ha pensato il "vecchietto terribile" Cadel Evans. L'australiano ha eguagliato Gino Bartali, capace di vincere il Tour nel 1948 all'età veneranda di trentaquattro anni. «È incredibile: sognavo questa sensazione da quando avevo quattrordici anni. Devo ringraziare tutte le persone che hanno creduto in me. Mi hanno fatto moltissimo piacere i complimenti degli avversari. Nessun posto al mondo mi renderebbe più felice di questo».