domenica 24 luglio 2011

Tour, il trionfo di Cadel Evans

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=157343&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA – La fortuna non esiste. Ora Cadel Evans può sussurrarlo sotto il cielo di Parigi: sono tornati i conti con il destino dipinto di giallo rincorso da dieci anni tra mille contrattempi. L’antidivo delle due ruote è il nuovo re discreto del Tour de France con la maglia gialla consacrata sul gradino più alto del podio ai Campi Elisi. I novantacinque chilometri conclusivi della Grande Boucle si trasformano nella celebrazione del primo australiano a conquistare la corsa francese tra applausi, abbracci con avversari e compagni di squadra, foto di rito e brindisi a base di spumante. Al traguardo della ventunesima tappa non ci sono sorprese: Mark Cavendish, padrone delle volate, lanciato dal fido Renshaw brucia tutti e infila il quinto successo in questo Tour.

Il podio domina i Campi Elisi con lo sfondo suggestivo dell'Arco di Trionfo. Cadel alza le braccia al cielo, scuote la testa quasi a non crederci e ascolta commosso l'esecuzione dell'inno nazionale avvolto nella bandiera australiana. L’altra prima volta del Tour parla lussemburghese: non era mai successo che due fratelli salissero contemporaneamente sul podio. Andy e Frank Schleck sorridono, ma la sconfitta pesa. Samuel Sanchez festeggia la maglia a pois del miglior scalatore. Cavendish veste quella verde della classifica a punti, mentre Rolland si gode la bianca del miglior giovane.

Evans, che iniziò a pedalare e sognare il Tour davanti al televisore in un piccolo villaggio abitato soprattutto da aborigeni, non ha l’arroganza del dominatore che deve costruire o difendere una dinastia alla Lance Armstrong. Il successo del trentaquattrenne, formatosi ciclisticamente in Italia con il compianto maestro e amico Aldo Sassi, è unico per lo stile e la sontuosa condotta di gara con cui è stato ottenuto. Nei primi dieci giorni della corsa il capitano della BMC è stato letteralmente scortato dai compagni di squadra, che l'hanno coperto dal vento in faccia a velocità altissime e protetto dalle cadute. La pedalata di Evans è stata la più continua, potente e rabbiosa del gruppo fin dal primo graffio alla quarta tappa sul Mur-de-Bretagne. Sui Pirenei e sulle Alpi si è difeso come un leone dagli attacchi degli avversari che non hanno mai scalfito la fiducia del corridore più completo. Il capolavoro l’ha compiuto sul Galibier, quando da solo ha dimezzato l’impresa di Andy Schleck che stava ipotecando la maglia gialla. Ha superato brillantemente l’Alpe d’Huez, prima della cronometro fantastica di Grenoble in cui ha rifilato 2'31" al lussemburghese e reso il sogno una realtà.

«Cadel è il simbolo di un ciclismo sempre più globale», sostiene Christian Prudhomme. E il direttore del Tour non sbaglia. Evans è il manifesto di un ciclismo pulito e un talento esploso con il lavoro duro. «Noi atleti siamo dei modelli per i giovani - ribadisce l’australiano, mai sfiorato da storiacce di doping - e abbiamo delle responsabilità nei loro confronti». Il campione vestito di giallo è uno spirito libero, appassionato del Tibet di cui ha sposato la causa. Con la moglie italiana Chiara Passerini vivono in Svizzera e hanno adottato a distanza un bambino tibetano, Tashi Norbu, sostenendo la Manasarovar Academy of Buddha di Kathmandu. Cadel non ha dimenticato le sue origini e con la Fondazione Ian Thorpe si adopera in favore dell’integrazione della comunità aborigena nella società australiana.

Il Tour più incerto ed equilibrato degli ultimi anni si è alimentato delle storie di tanti protagonisti. La Francia ha scoperto i numeri del giovane Pierre Rolland sull’Alpe d’Huez e si è innamorata di Thomas Voeckler con il suo carattere estroverso e combattivo. L'alsaziano classe '79 ha monopolizzato le prime pagine dei giornali transalpini per dieci giorni con la maglia gialla mantenuta a dispetto dei pronostici. I media d'oltralpe hanno già battezzato Rolland come il possibile erede di Hinault, ultimo francese a conquistare il Tour. Mark Cavendish sta avvicinando miti del calibro di Merckx, Armstrong e Hinault con la ventesima vittoria di tappa, la terza consecutiva ai Campi Elisi.

L’Italia è rimasta a secco in attesa di un affondo di Ivan Basso e Damiano Cunego,
bravi solo a stare con i migliori. Alessandro Petacchi non è riuscito a insidiare lo strapotere di Cavendish in volata. Poi il miracolo di due fratelli, gli Schleck, campioni della bici che rincorrono ancora il primo vero successo. Andy ha regalato l’impresa più bella della Grande Boucle con la fuga sul Galibier. «Il Tour è stato perfetto, ma alla fine può vincerlo solo una persona. Il podio con mio fratello è un sogno. Sapevamo che Cadel era tra i favoriti e ha meritato. Ho lottato, sono giovane e ci riproverò», spiega il lussemburghese. Alberto Contador ha abdicato senza gambe e con la testa rivolta ai primi di agosto quando arriverà la sentenza sul caso clenbuterolo. La corsa dello spagnolo è stata subito compromessa dalle cadute, poi è arrivato il colpo di grazia con la crisi sul Galibier e la mezza riscossa sull'Alpe d'Huez.

A mettere d'accordo tutti ci ha pensato il "vecchietto terribile" Cadel Evans. L'australiano ha eguagliato Gino Bartali, capace di vincere il Tour nel 1948 all'età veneranda di trentaquattro anni. «È incredibile: sognavo questa sensazione da quando avevo quattrordici anni. Devo ringraziare tutte le persone che hanno creduto in me. Mi hanno fatto moltissimo piacere i complimenti degli avversari. Nessun posto al mondo mi renderebbe più felice di questo».

Tour, Cadel Evans domina Andy Schleck nella cronometro e si prende la maglia gialla

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=157248&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA – Il perdente di successo riscrive la storia. Oggi Cadel Evans ride ed è un sorriso che nasce dall’anima di un leone della strada. A Grenoble nella sfida solitaria contro il tempo di una cronometro lunga oltre quarantadue chilometri l’australiano strapazza Andy Schleck e conquista il Tour de France. Evans non spreca l’occasione della vita: dopo aver domato in modo esemplare le asperità pirenaiche e alpine della Grande Boucle si esalta con la potenza di un movimento incessante, composto e inarrestabile. Il campione a tutto tondo, per lui due titoli mondiali anche con la mountain bike, rilancia sempre l’andatura alzandosi sui pedali. Andy è piantato sulla sella, ondeggia con le spalle e scuote la testa rincorso dall’incubo del terzo secondo posto consecutivo al Tour.

L’australiano dopo quindici chilometri recupera già trentasei dei cinquantasette secondi complessivi di vantaggio del lussemburghese. Al ventisettesimo chilometro la maglia gialla è ormai saldamente sulle spalle di Evans con il crollo totale di Schleck in ritardo di 1’41” dal rivale. Al traguardo finale il più rapido di tutti è il tedesco Tony Martin, che chiude con il tempo di 55’33” alla velocità media di 46 chilometri orari. Alle sue spalle il trionfatore della corsa francese con appena sette secondi di ritardo, mentre Andy è solo diciassettesimo a 2’37”.

Il trentaquattrenne originario di Katherine lancia dal podio il bouquet di fiori,
stringe la mascella da attore di Hollywood per trattenere l’emozione e vive il trionfo con lo spirito del pugile umile che ha incassato i colpi più duri degli avversari per poi affondare il proprio vincente. Evans, svezzato al grande ciclismo in Italia, con gli occhi lucidi e la voce morbida che lo contraddistingue manda subito la prima dedica ad Aldo Sassi, storico tecnico di fenomeni delle due ruote scomparso prematuramente lo scorso dicembre. «È stato il primo a credere in me. Mi ripeteva sempre: “Sei un grande corridore e puoi vincere una corsa a tappe come il Tour”. Il mio pensiero è per lui».

«La voglia di vincere era talmente forte - prosegue Evans - che ho attinto a tutte le energie disponibili. Ancora non riesco a realizzare il successo che inseguivo da tantissimo tempo. Dopo aver perso il Tour a cronometro nel 2007 e 2008 è arrivata la rivincita. Lo scorso anno ero in maglia gialla e una caduta ha rovinato tutto. Stavolta la condizione fisica era ottimale con il supporto di una squadra forte».

Questione di secondi e di prime volte. Alla partenza della ventesima tappa Andy Schleck doveva gestire sul terreno a lui meno congeniale i cinquantasette secondi strappati all’australiano sulle Alpi e la maglia gialla rincorsa a lungo. La cronometro si conferma il tallone d’achille di Andy apparso privo delle energie fisiche e mentali spese nell'impresa sul Galibier e a difendersi sull’Alpe d’Huez. I fratelli lussemburghesi, anche Frank è rimasto al palo, si fermano nuovamente ai piedi del gradino più alto del podio di Parigi. Una delle scene più toccanti del Tour è l'abbraccio con cui Frank cerca di rincuorare al traguardo il fratello stravolto dalla delusione. Evans, consapevole della supremazia a cronometro, bandisce i calcoli da ragioniere spingendo al massimo fin dal primo metro di asfalto. Il capitano della BMC diretta dall’italiano Fabio Baldato, che nelle edizioni 2007 e 2008 del Tour si classificò secondo rispettivamente per 23 e 58 secondi, regala all’Australia la prima volta assoluta nella corsa a tappe più famosa del mondo. L'australiano d'Italia, sposato con l'italiana Chiara Passerini e cresciuto sportivamente al Centro Mapei di Castellanza, ha posato una pietra del successo odierno l'8 giugno al Giro del Delfinato, dove a differenza degli Schleck ha testato con ottimi risultati lo stesso percorso a cronometro affrontato oggi.

Il Tour degli italiani si era concluso virtualmente ieri sull'Alpe d'Huez. Ivan Basso e Damiano Cunego, rispettivamente con 3'47" e 3'38 di ritardo da Martin, disputano una pessima cronometro e archiviano la Grande Boucle con stati d'animo diversi. Per il varesino della Liquigas c'è tanta delusione. Per il veronese della Lampre si tratta di una ripartenza. «Questo Tour mi ha respinto. È la corsa che amo di più ed è una grande ferita. Arrivare tra i primi dieci non è il risultato che mi attendevo, ma ci riproveremo. A vincere c'è un grande campione, che lo merita in pieno»., ha commentato Basso. «Porto a casa la consapevolezza di essere tra i migliori. In salita è andata molto bene, a cronometro che è il mio punto debole no. Devo ringraziare la squadra che ha fatto un lavoro splendido»., ha spiegato Cunego.

Alberto Contador finisce in bellezza un Tour difficile con il terzo tempo dietro la coppia Evans-Martin. Il francese Pierre Rolland, trionfatore sull'Alpe d'Huez, conserva la maglia bianca del miglior giovane vanificando l'assalto dell'estone Rein Taaramae. Il basco Samuel Sanchez vince la classifica degli scalatori e indossa la maglia a pois. Mark Cavendish, dopo aver sofferto e rischiato di uscire dalla corsa per essere arrivato fuori tempo massimo sulle Alpi, scalda i motori per la passerella da sprint parigina sui Campi Elisi (domani 95 chilometri) in cui può finalmente conquistare l'agognata maglia verde della classifica a punti.

venerdì 22 luglio 2011

Tour, l'orgoglio di Contador sull'Alpe d'Huez. Andy Schleck in maglia gialla

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=157147

di Gabriele Santoro

ROMA - Cento chilometri di emozioni allo stato puro, regalate da personaggi tanto diversi uniti dalla fatica vera, scrivono una delle pagine più belle della storia recente del Tour de France. Il ventiquattrenne francese Pierre Rolland realizza il sogno di tagliare davanti a tutti il traguardo mitico dell’Alpe d’Huez (1850 metri, 13.8 km di salita, pendenza media al 9%), ma il protagonista assoluto è Alberto Contador.

In un clima ostile il campione spagnolo, reduce dal crollo sul Galibier, risorge e prova a riprendersi la Grande Boucle con una corsa generosa e coraggiosa. Il dominatore del Giro d’Italia cerca di fare la rivoluzione, come estremo tentativo di allontanare la sconfitta, già al quindicesimo chilometro quando sul Col de Telegraphe (1566 metri, 11 km, 7.1% di pendenza) piazza il primo scatto e resta solo con Andy Schleck. A venti chilometri dall’arrivo il gruppo dei migliori si ricompatta, ma i ventuno tornanti dell’Alpe d’Huez riaccendono la fantasia del madrileno che riparte per l’ultimo assalto. A due chilometri dalla vetta le energie di Contador sono ridotte al lumicino, Rolland lo riprende e l’orgoglio serve ad addolcire la resa.

L’ultima tappa alpina del Tour chiude la favola in giallo di Thomas Voeckler. La danza sui pedali dell’uomo che ha fatto sognare la Francia per dieci giorni si trasforma in una prova di resistenza feroce e scomposta alla stanchezza. Voeckler va fuori giri al primo affondo di Contador, rientra ai piedi dell’ultima ascesa grazie a uno spirito indomito e al lavoro dei compagni di squadra, ma l’Alpe d’Huez è un ostacolo più grande dell'illusione di Parigi. Andy Schleck, dopo l’impresa d’altri tempi sul Galibier, corre in difesa e a due giorni dalla passerella dei Campi Elisi si prende la maglia più ambita che era distante solo quindici secondi. Ma è presto per considerare chiusi i giochi. Alle sue spalle, oltre al fratello Frank, c’è l’immenso Cadel Evans racchiusi in appena 57 secondi. L’australiano con lo sguardo da pugile incassa colpi a ripetizione, sfida la sfortuna di una bici rotta e lo trovi lì più forte di prima come un Mohammed Alì pronto ad assestare il colpo del ko. L’occasione della vita per Evans è la cronometro di domani: quarantadue chilometri contro il tempo in cui può conquistare un Tour straordinario per equilibrio e storie che si intrecciano sull’asfalto.

Se la Francia gode per il primo successo di tappa in questo Tour, l’Italia festeggia il miglior Damiano Cunego di sempre. Il capitano della Lampre non lascia mai il gruppo di testa e sale al quinto posto in classifica. Male invece Ivan Basso che pedala nelle retrovie senza la gamba e l’aggressività mostrata sui Pirenei.

La diciannovesima tappa, il cui percorso intersecava i ricordi più intensi delle imprese di Marco Pantani dall'Alpe d'Huez '97 al Galibier '98, s'infiamma con continui capovolgimenti. Centonove chilometri vissuti ad altissima intensità con gli attacchi di Contador, la marcatura di Andy Schleck, la crisi di Voeckler e l'incredibile Evans. L'australiano è costretto a fermarsi tre volte per poi cambiare la bici sul Col de Telegraphe e perde la ruota dei migliori. Il Galibier è troppo duro anche per lo spagnolo e il lussemburghese che collaborano, ma vedono assottigliarsi il vantaggio. Ai piedi dell'Alpe d'Huez è tutto da rifare tra due ali di folla che restituiscono la magia del ciclismo. Rolland sorprende tutti, Contador si arrende. Mentre Evans e i fratelli Schleck rimandanol'attesa incoronazione all'ultimo round.

«Non ho vinto una tappa qualsiasi: questa è l’Alpe d’Huez». La gioia di Pierre Rolland, che indosserà la maglia bianca del miglior giovane, è incontenibile e racconta il segreto di una vittoria preparata. «Sul Galibier il mio capitano, Voeckler, mi ha detto di non occuparmi più di lui e giocarmi le mie carte. Conoscevo benissimo l’ultima salita: l’ho provata una decina di volte in allenamento e visionata al video. Ho mantenuto sangue freddo con i due spagnoli (Sanchez nuova maglia a pois e Contador, ndr) anticipando le loro mosse ed è andata bene».

Onore Contador. La giornata del tre volte vincitore del Tour è iniziata con l’ennesimo controllo antidoping a sorpresa dell'Uci. Lungo la strada i tifosi francesi non gli hanno risparmiato fischi ingenerosi con attimi di tensione. Sull’Alpe d’Huez, nel pieno dello sforzo, lo spagnolo ha dovuto allontanare un esagitato travestito da infermiere che lo rincorreva con tanto di siringa finta. «Non ho corso per migliorare il piazzamento in classifica - spiega Contador - ma per provare a vincere. Mi sono divertito sulla bici e sono contento per la reazione alla giornata di ieri. Non mi andava di archiviare questo Tour in modo anonimo. La condizione purtroppo non è quella del Giro, dove ho fatto uno sforzo incredibile ed era difficile fare la doppietta con il Tour. Vorrei ringraziare i tifosi italiani che in questi giorni difficili mi hanno dimostrato un sostegno come sul Colle dell’Agnello».

La fiducia di Andy. «Nella cronometro di domani non conta essere specialisti, piuttosto le energie residue. Sono fiducioso: posso mantenere la maglia gialla fino a Parigi. L’anno scorso avevo perso secondi prima dell’ultima prova contro il tempo oggi li ho guadagnati. Il mio bilancio fino a oggi è positivo e ho attraversato una sola giornata storta. Sono davanti a tutti, le mie gambe sono buone e la motivazione è fortissima».

giovedì 21 luglio 2011

Tour, Andy Schleck domina il Galibier. Crisi Contador

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=157009

di Gabriele Santoro

ROMA – Andy Schleck sceglie la tappa più dura del Tour per piazzare l’atteso colpo da fuoriclasse che stravolge la corsa francese. Il lussemburghese con la faccia da bambino corona con un successo splendido una fuga lunga sessanta chilometri, dall’ascesa dell’Izoard (2360 metri) alla vetta del mitico Galibier (2645 metri, pendenze oltre il 10%), che ha il sapore dell’impresa e di un ciclismo d’altri tempi. L’altro eroe di giornata è Thomas Voeckler: l’uomo che sta facendo sognare la Francia arriva stravolto al traguardo, ma difende ancora una volta di un soffio la maglia gialla con un margine di appena quindici secondi sul re del Galibier.

Il minore e più talentuoso dei fratelli Schleck, che aveva mandato in avanguardia il gregario Monfort, scatta a cinque chilometri dalla vetta dell'Izoard e crea subito il vuoto. Nel tratto di discesa e pianeggiante che collega le due montagne è fondamentale l’apporto del compagno di squadra per tenere a distanza il gruppo maglia gialla. La pedalata di Andy è potente, agile e composta con le spalle che non tradiscono movimenti. Lo sguardo è concentrato senza smorfie di fatica ed è rivolto sempre avanti. Gli avversari sembrano sorpresi dall’attacco e incapaci di organizzare una reazione: a otto chilometri dal traguardo, quando inizia la parte più difficile del Galibier, Schleck ha oltre quattro minuti di vantaggio ed è maglia gialla virtuale. La stanchezza inizia a farsi sentire e l’azione di pura potenza di Cadel Evans produce un recupero parziale senza mettere in discussione il risultato della tappa. L’australiano si salva e aumenta la possibilità di trionfare domenica sui Campi Elisi, grazie alla cronometro in programma sabato, anche se i fratelli Schleck promettono ancora battaglia con Frank oggi scuderio impeccabile.

Andy Schleck svela il volto umano di Contador alle prese con problemi al ginocchio e un Tour ricco di imprevisti. Il campione spagnolo crolla nella tappa della verità e il podio ormai è lontanissimo: prima guarda scappare l’avversario che ha beffato nelle edizioni precedenti della Grande Boucle e forse sottovalutato nei giorni scorsi, poi a due chilometri dalla fine cede di schianto alla pedalata rabbiosa di Evans abbandonando qualsiasi sogno di rimonta. Damiano Cunego e Ivan Basso si confermano tra i migliori. Ai due azzurri manca però la fiammata e l'Alpe d'Huez di domani potrebbe essere l'occasione giusta. Esce di scena il basco Sanchez protagonista sui Pirenei.

Strategia vincente. Nelle giornate pirenaiche la Leopard, squadra degli Schleck, era finita nel mirino della critica per la condotta di gara poco convincente e troppo accorta. Oggi non hanno sbagliato niente, mandando da subito in avanscoperta Monfort e Posthuma. I due entrano nella fuga di sedici corridori che si forma al cinquantesimo chilometro e poi si rivelano un aiuto fondamentale per il capitano. Tra i i fuggitivi Iglinsky transita per primo sulle asperità del Colle dell'Agnello (2744 metri, 23.7 chilometri al 6.5% di pendenza media), mentre Contador pedala senza brillantezza nelle retrovie del gruppo. Lo scatto di Andy Schleck spacca la corsa e sull'Izoard avviene il ricongiungimento con Monfort. Sul Galibier il lussemburghese saluta il resto degli attaccanti e s'invola negli ultimi chilometri tra tornanti durissimi e stracolmi di appassionati. Dietro il fratello Frank marca tutti, ma il passo di Evans è forte e fa da traino allo stoico Voeckler rendendo l'esito del Tour sempre più incerto.

Voeckler resiste. «Negli ultimi chilometri la sofferenza era tale da non percepire alcuna emozione. Ho dato tutto e sulla linea del traguardo faticavo anche a respirare. Il lavoro del mio compagno di squadra Pierre Rolland è stato straordinario e fondamentale. Non ho aggettivi per qualificare la mia corsa. Cadel Evans? E' andato fortissimo e credo sia il favorito per la vittoria finale.Domani affrontiamo l'Alpe d'Huez e non so cosa potrà succedere. Andy Schleck è un grande scalatore e oggi ha fatto un grande numero.»

Contador si arrende. «La vittoria ormai è impossibile - ammette lo spagnolo - Ho incontrato una giornata storta: le gambe non rispondevano e negli ultimi dieci chilometri ho avvertito una debolezza incredibile. Andy ha corso in modo intelligente piazzando due uomini in fuga. Bisogna solo fargli i complimenti per la grande gara. Ora penso solo a riposarmi, sono prosciugato di energie.»

Andy rischia tutto. «Nella mia mente c'era questa vittoria - spiega Schleck - Non volevo finire quarto a Parigi e ho rotto gli indugi. Ho rischiato tutto ed è andata. Il mio carattere è così: non ho paura di perdere. Ho male alle gambe, ma anche gli altri che mi hanno inseguito devono sentirlo. Tutta la squadra ha lavorato benissimo e il risultato finale dà ancora più motivazione. Ho conquistato la tappa e sono secondo in classifica. E soprattutto domani potrei indossare la maglia gialla! La mia intenzione era conquistarla già oggi, ma Voeckler ha sorpreso tutti. Questo è lo spettacolo del ciclismo.»

Domani il Tour si congeda dalle Alpi con una tappa breve, 109.5 chilometri, ma intensa che affronterà il Galibier dal versante più duro e l'Alpe d'Huez.

mercoledì 20 luglio 2011

Tour, a Pinerolo vince l'altro norvegese Hagen. Contador attacca

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=156874

di Gabriele Santoro

ROMA – Il Tour de France sconfina in Italia per la dodicesima volta nella sua storia centenaria, ma continua a parlare norvegese. Il talentuoso Edvald Boasson Hagen, formatosi sulla mountain bike, dopo la beffa subita ieri dal connazionale Hushovd s’infila nuovamente nella fuga giusta, stacca gli altri fuggitivi sull’ultima salita del Pra' Martino, disegna linee perfette nella discesa più complicata della corsa ed è imprendibile nel tratto pianeggiante che conduce al traguardo di Pinerolo. I tifosi scandinavi festeggiano così il quarto successo (due a testa per Hagen e Hushovd) in questo Tour, mentre Italia e Francia sono ancora a secco di vittorie.

Alberto Contador non aspetta più nessuno: ogni centimetro di asfalto è buono per l'impresa di riappriopriarsi del Tour. Il campione spagnolo ripropone l’attacco del Col de Manse e nell’ultima discesa di giornata manda per la prima volta in difficoltà la maglia gialla. A otto chilometri dalla fine arriva lo scatto di Contador che prende la testa del gruppo in salita, ma a fare la differenza è la picchiata dal Pra' Martino a Pinerolo. Il trenino iberico degli amici Contador-Sanchez crea il vuoto in discesa con traiettorie coraggiose che nessuno riesce a seguire. Thomas Voeckler sbaglia diverse curve finendo addirittura nel garage di un’abitazione ai bordi della strada e perde 26" dal tre volte vincitore della Grande Boucle. Ivan Basso conferma di non essere un discesista e in due giorni accumula 1'18" di ritardo. Si difende benissimo l'altro italiano Damiano Cunego, che scavalca in classifica il varesino e può puntare a un ottimo piazzamento nella generale. Stavolta i fratelli Schleck non accusano il carisma di Contador e Cadel Evans, forte del vantaggio considerevole sullo spagnolo, controlla senza prendere rischi in discesa.

La diciassettesima tappa parte alle solite velocità altissime, oltre i cinquanta chilometri orari, e ci sono due corse parallele: una per il successo di giornata, l'altra per ridisegnare la classifica generale. Per il primo obiettivo la fuga buona si forma con Perez Moreno, Tjallingii, Mollema, Fofonov, Muravyev, Amador, Paterski, Boasson Hagen, Casar, El Fares, Chavanel, Bozic, Leukemans e Hivert che toccano anche gli 8' di vantaggio dalla maglia gialla. Sull'ascesa del Sestriere il gruppo di fuggitivi si sgrana con Perez Moreno in solitario. Hagen gestisce lo sforzo e a dodici chilometri dall'arrivo si ricongiunge con l'attaccante dell'Euskadi. Il norvegese passa da solo al gpm di Pra' Martino costruendo il margine necessario alla vittoria. «Ero frustato per la sconfitta di ieri e volevo rifarmi. Sentivo la gamba buona sull'ultima ascesa e ho fatto la differenza. La classifica generale? Non lo so, ma ci penserò per il futuro.», ha spiegato Hagen.

«Ogni giorno perdo qualche secondo, ma oggi sono stato fortunato: avrei potuto rimetterci la clavicola! Conoscevo la discesa e ho forzato un po’ troppo. Prendendo meno rischi sarei arrivato insieme a Evans e agli uomini di classifica. Domani non penso di poter seguire i colleghi sull’ascesa del Galibier. Contador? Impressionante. Oggi era nervoso, voleva guadagnare del tempo a qualsiasi costo», ha commentato Voeckler. Al traguardo il madrileno sfoggia il sorriso delle giornate da padrone del Giro d’Italia: «Sono contento: le gambe vanno sempre meglio. Le salite di oggi non facevano selezione e tutti mi marcavano. Si poteva attaccare solo in discesa e dovevo provarci. La tappa di domani promette spettacolo.» Giovedì la carovana affronterà la tappa più dura: duecento chilometri da Pinerolo al mitico Galibier, vetta più alta mai toccata da un arrivo del Tour con i suoi 2645 metri, con tre montagne "hors categorie" (fuori categoria) come il Colle dell'Agnello (2744 metri), l'Izoard e il Galibier. Il gruppo pedalerà in salita per sessanta chilometri e c'è lo spazio per attacchi da lontano con lo sguardo puntato su Contador.

martedì 19 luglio 2011

Tour, ecco Contador nella tappa dei norvegesi

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=156754&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA – Il campione del mondo Thor Hushovd replica sul traguardo di Gap il capolavoro di Lourdes e concede il bis al Tour nella volata derby con il norvegese Boassen Hagen. Il capitano della Garmin s’infila nella fuga giusta scattata a 62 chilometri dall’arrivo, controlla alla perfezione la corsa confermando di avere ottime gambe anche in salita e nello sprint finale anticipa senza incertezze il connazionale.

Ma ad accendere il Tour de France c’è la prima fiammata di Alberto Contador. Il dominatore del Giro d’Italia, dopo aver superato in difesa i Pirenei, sceglie un’asperità di seconda categoria come il Col de Manse (in vetta ai 1268 metri a 20 chilometri da Gap) per rompere gli indugi e aprire la caccia alla maglia gialla. Contador piazza il primo scatto a quindici chilometri dall’arrivo e rimangono alla sua ruota gli uomini di classifica: Evans, i fratelli Schleck e Voeckler. Poi arriva il secondo allungo che crea il vuoto con il solo Cadel Evans in grado di resistere alla pedalata agile e decisa dello spagnolo. Nella discesa che porta al traguardo i due si danno il cambio con l’australiano a disegnare le linee e il basco Sanchez alle spalle. Salgono così le quotazioni di Evans che se dovesse resistere sulle Alpi è il favorito per il posto più alto sul podio di Parigi grazie alla superiorità a cronometro.

Le vittime principali del ritrovato Contador sono Frank e Andy Schleck, letteralmente piantato in discesa perde oltre un minuto dai rivali, ed è apparso in grossa difficoltà Ivan Basso privo lo smalto delle giornate pirenaiche. La maglia gialla Voeckler continua a stupire: è il primo a rispondere all’attacco di Contador e limita i danni con appena 18” secondi di ritardo. L'ultima settimana della Grande Boucle, che da domani affronta le Alpi, si apre con le emozioni mancate sui Pirenei e promette spettacolo.

Nei primi cento chilometri della sedicesima tappa il gruppo mantiene un ritmo altissimo, oltre i cinquanta orari e una velocità media conclusiva di quarantasei, vanificando qualsiasi tentativo di fuga. Dopo il sole dei Pirenei la pioggia torna ad abbattersi sulla carovana che rende insidiosa l’ultima discesa già molto tecnica. A sessanta chilometri da Gap il gruppo tira il fiato, pensa a coprirsi e parte la fuga di giornata: a Marcato, Perez Lezaun, Hushovd, Boasson Hagen, Devenyns, Roy, Martin, Ignatyev, Heysedal e Grivko bastano dieci chilometri a tutta per guadagnare oltre sei minuti sul gruppo maglia gialla. Il Col de Manse scatena la bagarre con gli attacchi di Contador e la risposta di Evans, mentre Hushovd, Boasson Hagen ed Hesjedal formano il terzetto che si contenderà l’arrivo in volata.

Festa norvegese. «È tutto straordinario: non pensavo di andare così forte anche sull’ultima salita. Oggi sembrava di essere al campionato norvegese con il mio amico Boasson Hagen. La tattica è stata perfetta: sul Col de Manse era previsto che allungasse il mio compagno di squadra Hesjedal, poi allo sprint volevo sorprenderli. Ho raccolto il massimo in questo Tour», ha commentato un raggiante Hushovd.

Giornata negativa per Basso. «Ho patito un problema alla sella all'inizio della salita. Appena rientrato Contador è partito e ha fatto un’azione bellissima. Non è stata una grande giornata per me, ma sono sempre lì e affronterò le prossime tappe di montagna con la giusta motivazione».

Nel secondo e ultimo giorno di riposo, osservato lunedì, Contador ha praticamente annunciato il cambio di strategia e una condizione sempre migliore. «Starò meglio rispetto ai Pirenei e recuperare lo svantaggio in classifica è una motivazione in più. Ho la coscienza a posto per quanto fatto durante la stagione. Non ho la freschezza che al Giro mi permetteva di attaccare, ma voglio che il Tour cominci anche per me.», sono state le parole dello spagnolo. Ora la sfida è lanciata anche sulla strada. Nella tappa di mercoledì il Tour sconfinerà in Italia con l'arrivo a Pinerolo, dopo aver affrontato le salite del Monginevro, il Sestriere e il Pramartino e una discesa difficile verso la città piemontese.

domenica 17 luglio 2011

Tour, Cavendish è il re delle volate. Voeckler in giallo

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=156504&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA – La legge di Mark Cavendish, cannibale delle volate, non ammette eccezioni. Lo sprinter dell’Isola di Man cala sul traguardo di Montpellier il poker personale al Tour de France nel penultimo arrivo disegnato per i velocisti. L’uomo di punta dell’Htc, dopo aver resistito alle salite della tre giorni pirenaica, gestisce in modo impeccabile e autoritario la volata grazie all’ottimo treno organizzato dai compagni di squadra. Un trionfo da dividere con lo splendido gregario Renshaw, bravo a mettere il proprio capitano nella condizione ideale per imporre una potenza che al momento non conosce rivali. Cavendish infila il diciannovesimo successo alla Grande Boucle, ipoteca la maglia verde della classifica a punti ed è a un passo dall’eguagliare le cinque vittorie in terra francese dello scorso anno. Il prossimo appuntamento per il britannico è la passerella sui Campi Elisi, dove a meno di sorprese concluderà in bellezza un Tour da protagonista. Thomas Voeckler controlla senza problemi la maglia gialla ostentando il segno del leader.

Alessandro Petacchi e Daniel Oss hanno tentato di insidiare lo strapotere di Cavendish con uno sprint generoso. Lo spezzino resta imbottigliato nella prima fase della volata, poi riesce ad avanzare ma è già troppo lontano dal vincitore. Tyler Farrar, che nella terza tappa aveva sorpreso il favorito d’obbligo, non riesce ad anticiparne le mosse e si accontenta della seconda piazza. I quasi duecento chilometri della quindicesima tappa, che ha portato la carovana da Limoux a Montpellier, chiudono le prime due settimane di una corsa ancora alla ricerca dei numeri delle stelle annunciate. Dopo il riposo di lunedì le Alpi potranno stravolgere l’equilibrio da partita a scacchi che regna in questo Tour o si dovrà attendere la cronometro di Grenoble.

Nel momento della festa Cavendish non si dimentica dei gregari
che l'hanno scortato sapientemente ai 200 metri finali. «Il traguardo l’ho tagliato io, ma è solo il frutto di un lavoro collettivo. I miei compagni mi sono stati vicini dall’inizio alla fine e mi hanno servito la vittoria su un piatto d’argento. La maglia verde? Dopo le beffe degli ultimi due anni devo fare attenzione fino a Parigi.»

Dopo pochi metri dalla partenza si forma subito una fuga con sei uomini che animerà tutta la giornata con i vigneti e il mare a fare da sfondo. Terpstra, Delage, Dumoulin, Ignatyev e Delaplace ci provano, ma come confessano all’arrivo «non ci abbiamo mai creduto veramente.» Gli uomini di classifica cercano di ripararsi dal forte vento assorbito dal lavoro dei gregari e lottano per mantenere la migliore posizione. Il vantaggio massimo dei fuggitivi tocca i quattro minuti. A 1800 metri dalla fine il gruppo si ricompatta per l'attesa volata finale. La tappa interlocutoria e senza asperità va in archivio senza registrare problemi di cadute.

A scuotere il gruppo arriva la notizia dell’addio alle corse del trentasettenne Vinokourov. Il capitano dell’Astana, che nella nona tappa ha riportato la rottura del femore in seguito a una caduta rovinosa, ha annunciato a France Televisions la decisione che era nell’aria. «Penso di chiudere qui la mia carriera. Andrò in bici da amatore e per mantenermi in forma. Resterò comunque nel mondo del ciclismo con un ruolo diverso all’interno dell’Astana.» Le altre facce sofferenti e coraggiose del Tour sono quelle di Hoogerland, che corre con oltre trenta punti di sutura sulla gamba, e Dam in sella nonostante il volto tumefatto dallo scivolone di ieri in discesa.
Armstrong: «Voeckler può vincere». In Francia è scoppiata ormai la Voeckler mania. Nell’ultima settimana il quotidiano sportivo L’Équipe ha dedicato cinque copertine “all’eroe, al campione vero che va a pane e acqua”. Ad aumentare la pressione sul corridore transalpino è arrivata anche l’incoronazione via twitter di Lance Armstrong, padrone incontrastato del Tour per sette anni: «In montagna non si è fatto staccare. Ha un vantaggio considerevole in classifica ed ha alle spalle l’entusiasmo di una nazione intera. Può farcela.» Voeckler getta però acqua sul fuoco: «Ho zero possibilità di vincere il Tour. Stamattina è stato un risveglio difficile e la giornata altrettanto complicata. Non voglio ingannare il pubblico: nell'ultima settimana mi batterò fino in fondo, ma ieri è stato un miracolo seguire i migliori.»

sabato 16 luglio 2011

Tour, i leader si marcano e Vanendert si prende Plateau de Beille

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=156408&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro
ROMA – L’ultima attesa e durissima tappa pirenaica non svela le carte del Tour. Il belga Vanendert, protagonista già a Luz Ardinen, approfitta dell’immobilismo dei corridori più attesi e taglia davanti a tutti il traguardo prestigioso di Plateau de Beille (salita lunga 15.8 km al 7.9% di pendenza media) che nel 1998 lanciò Marco Pantani alla conquista della Grande Boucle. A sette chilometri dall’arrivo Vanendert, senza ambizioni di classifica generale, piazza lo scatto giusto; riprende il fuggitivo di giornata Casar e tiene a distanza il ritorno di Samuel Sanchez che l’aveva bruciato allo sprint della prima tappa sui Pirenei. La maglia gialla Thomas Voeckler fa sognare i francesi: sarà lui l’erede di Bernard Hinault, l’ultimo transalpino a vincere il Tour nel 1985? È difficile, ma il corridore dell’Europcar anche oggi ha difeso senza sbavature la propria leadership marcando in prima fila tutti i concorrenti con una pedalata sicura.

All’inizio dell’ultima ascesa di una giornata ricca di salite (Portet d'Aspet, Core, Latrape, Agnes, Lers) i fratelli Schleck, che con i propri gregari della Leopard non sono riusciti a sgranare subito il gruppo maglia gialla, tentano di accendere la corsa con una serie di scatti ma si rivelano punture di spillo. Ivan Basso conferma l’ottimo stato di forma: prima ricuce, poi detta il ritmo dei migliori e accenna anche un allungo a 2 chilometri dall'arrivo. Alberto Contador è invisibile nel suo anonimo stare a ruota degli altri così come Cadel Evans. I leader che puntano al podio di Parigi si aprono a ventaglio e si scambiano sguardi di studio senza dimostrare l’energia, il coraggio e la fantasia necessari a dominare una montagna del genere. Soffre a tenere il passo dei primi Damiano Cunego, l’altro italiano di alta classifica, tuttavia contiene i danni nell’ordine dei 40” di ritardo.

Basso, a cui è mancato l’apporto del gregario di fiducia Szmyd, non si accontenta. «Oggi è andata così. Si trattava di una buona occasione, ma almeno non abbiamo fatto passi indietro. Gli scatti in salita fanno male quando il gruppo è meno ampio. I fratelli Schleck per mettere in difficoltà Contador e avvicinare la maglia gialla devono imprimere un ritmo più alto all’inizio delle salite. Le mie sensazioni sono comunque buone».

A infiammare il Tour mancano gli scatti di Alberto Contador. Il dominatore del Giro d’Italia non dimostra sicurezze nelle gambe e nella tre giorni pirenaica ha adottato una strategia prettamente difensiva. «Non amo il modo con cui sto correndo. Non mi sento me stesso, ma al momento posso dare questo. Le cadute, il calendario e altre problematiche ancora alle prese con il caso clembuterolo) non mi hanno dato garanzie nell’avvicinamento alla corsa. Continuando a migliorare proverò a dire la mia sulle Alpi», ha commentato il ciclista spagnolo. Gli Schleck non stanno traendo abbastanza vantaggio dalla situazione di Contador e incombe Cadel Evans più competitivo a cronometro.

La quattordicesima tappa accompagnata da un sole caldo e avvolta nel verde acceso della catena montuosa che divide Francia e Spagna racchiudeva tanti ricordi ed emozioni dolci, amare per il ciclismo italiano. Intorno all’una le ruote del gruppo sono sfrecciate sul Col de Portet d’Aspet, dove s’impone la stele in onore di Fabio Casartelli e il pensiero è volato alla medaglia d’oro di Barcellona ’92 scomparso tragicamente nel 1995 a causa di una caduta nella discesa dell’Aspet. Quarantatre minuti e trenta secondi: alla partenza da Saint-Gaudens tutti avevano in mente il tempo straordinario con cui Marco Pantani scalò i quindici chilometri della salita di Plateau di Beille. Dal 1998, anno di grazia del Pirata, nessuno ha saputo fare meglio e la nostalgia per le imprese di quel Tour non conosce antidoto.

venerdì 15 luglio 2011

Tour, il capolavoro di Hushovd sui Pirenei

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=156296&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA - Sventola la bandiera norvegese al Tour de France. Il campione del mondo Thor Hushovd con un capolavoro di tattica e potenza conquista la seconda tappa pirenaica della Grande Boucle con l’ascesa del durissimo Aubisque e l’arrivo pianeggiante a Lourdes.

Il velocista scandinavo entra nella fuga giusta dopo cinquanta chilometri dalla partenza a Pau, gestisce le energie nella scalata dei sedici chilometri della temibile montagna (1709 metri in vetta, pendenza media 7.1%), per poi lanciarsi in discesa e a due chilometri dal traguardo corona l’aggancio con sorpasso prepotente al meraviglioso Roy. Hushovd si è tolto una soddisfazione ancora maggiore della settimana trascorsa con la maglia gialla. Il battagliero francese Jeremy Roy è l’altro protagonista assoluto della tredicesima tappa e delle prime due giornate sui Pirenei: dopo essere transitato ieri davanti a tutti sul Tourmalet ha inciso il proprio nome anche sul glorioso Aubisque. Dall’inizio del Tour Roy ha totalizzato oltre seicento chilometri in fuga ed è il leader della classifica degli scalatori con la maglia a pois.

La giornata si addiceva agli attaccanti dopo le fatiche della tappa precedente e il gruppo maglia gialla ha lasciato uscire uomini fuori classifica accumulando 7’37" di ritardo alla fine. Thomas Voeckler si godrà ancora per ventiquattrore il segno del leader: da domani con l’arrivo a Plateau de Beille è possibile un cambio al vertice della generale. Rientra tra i primi dieci il talentuoso Philippe Gilbert grazie a uno spunto nell’ultimo tratto di gara.

«Volevo approcciare in testa l'Aubisque anticipando Moncoutié e la tattica mi è riuscita alla perfezione. Vincere con la maglia di campione del mondo è un sogno. Nel finale ho tirato come un pazzo per riuscirci. Quest'anno sono stato tanti giorni in maglia gialla dando tanto a questo Tour. Ma è oggi la mia giornata più bella.», ha commentato un raggiante Hushovd.

Dopo 34 chilometri di corsa Andreas Kloden,
arrivato in Francia con ambizioni di classifica, ha alzato definitivamente bandiera bianca: troppo forte il dolore per le cadute da record di questo Tour ed è salito a fatica sull’ammiraglia della Radioshack già decimata dalle precedenti defezioni di Brajkovic, Popovych e Horner.

La tappa. Nei primi cinquanta chilometri il gruppo viaggia a una velocità altissima vanificando qualsiasi tentativo di fuga. Tjallingii, Hushovd, Fofonov, Boasson Hagen, Pineau, Roy, Moncoutié, Bak, Gusev e un orgoglioso Alessandro Petacchi formano il treno buono in grado di staccare il gruppo. Il percorso presenta due gran premi della montagna di quarta categoria che non creano problemi a nessuno e a Cote de Belain (428 metri) il vantaggio dei fuggitivi è di 4’40. La scalata dell’Aubisque è l’insidia di giornata: la fuga si polverizza, mentre il gruppo procede senza strappi di nessun big. Il traguardo è troppo lontano per ipotizzare un’azione. Hushovd aggredisce la salita sulle pendenze più dolci. Da passista velocista qual è soffre quando l’ascesa si fa più aspra e cede oltre un minuto allo scatenato Roy.

Al Gpm Hushovd e il navigato Moncoutié animano la staffetta che tra discesa e falsopiano brucia la dote costruita dal coraggioso Roy. Il campione del mondo saluta la compagnia per godersi l’ultimo chilometro in solitudine. Voeckler reclama con Schleck un maggiore impegno della Leopard per tenere unito il gruppo, ma non trova riscontro. Philippe Gilbert scappa e rosicchia secondi importanti. Domani sarà un’altra storia con una tappa di montagna durissima che svelerà alcune carte del Tour alla ricerca di un padrone.

giovedì 14 luglio 2011

Tour de France, Sanchez anticipa tutti nella prima tappa sui Pirenei

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=156182&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA – Il Tour de France affronta il primo tappone pirenaico con l’ascesa del mitico Tourmalet e s’infiamma selezionando il gruppo dei migliori. In una cornice di pubblico e natura splendida il basco, campione olimpico, Samuel Sanchez dell’Euskaltel-Euskadi trionfa nella tappa più sentita, davanti a migliaia di tifosi con la bandiera ikurrina, battendo in volata Vanendert, compagno dell’ultima e decisiva fuga. Il francese Voeckler ha difeso egregiamente la maglia gialla staccandosi dalla concorrenza solo nell’ultimo tratto di gara. Sulla terza grande salita della tappa che ha condotto al traguardo di Luz Ardiden (in vetta oltre i 1700 metri, 13,3 km di percorrenza con pendenza media al 7,4% e punte attorno al 12%) ha regalato spettacolo Frank Schleck ora secondo in classifica generale a un 1’49 da Voeckler. Nell’ultimo chilometro il lussemburghese dopo aver staccato con due allunghi micidiali il gruppo maglia gialla con un Contador in difficoltà (43” di ritardo da Sanchez), il gemello Andy, Cadel Evans e la coppia di italiani Basso-Cunego si è fermato a un soffio lungo dieci secondi dal completare la rimonta sul basco.

La prima vera montagna della Grande Boucle ha restituito ottime sensazioni dai due azzurri costantemente a ruota dei favoriti della corsa più amata dai francesi. Ivan Basso, dopo aver messo il suo gregario Szmyd in testa a tirare il gruppo maglia gialla sulla salita di Luz Ardinen, ha prima risposto alle rasoiate di Schleck e poi ha chiuso quarto dimostrando uno stato di forma che fa ben sperare. «È solo il primo arrivo in salita, ma le sensazioni sono davvero ottimo», ha commentato con un largo sorriso il corridore della Liquigas che ottiene il quinto posto in classifica seguito da Damiano Cunego.

Tutti attendevano i Pirenei per testare le forze e la condizione dei leader attesi.
Le numerose cadute della prima settimana di corsa non sono state ancora assorbite da Alberto Contador, sempre nel mirino della critica transalpina, e lo spagnolo non ha l'agilità nella pedalata che lo contraddistingue. «Oggi sono stato prudente. Nel finale non sono riuscito a scattare, ma sono lo stesso soddisfatto. Sto meglio di giorno in giorno. Oggi si vedono le conseguenze delle cadute, non ero al massimo nelle gambe, non avevo la mia pedalata migliore. Ma andrà sempre meglio», ha spiegato il dominatore dell'ultimo Giro D'Italia. Nota di merito va al francese Voeckler che approfittando delle schermaglie tra i favoriti ha tenuto un passo regolare e resistito negli ultimi dieci chilometri, quando l'idea di mantenere la maglia gialla era l'unico propulsore di un motore senza più energia.

La tappa.
Se a Parigi la festa nazionale del 14 luglio con la tradizionale sfilata sui Campi Elisi è funestata dalla morte nelle ultime quarantotto ore di cinque soldati francesi (settanta dall’inizio della missione nel 2001) uccisi in Afghanistan, lungo le strade del Tour si è respirato il solito entusiasmo fatto di colori e tifo che assecondano la fatica più dura. La dodicesima tappa, la prima della tre giorni sui Pirenei, ha superato tre asperità durissime. A 79 chilometri dall’arrivo c’è stata La Horquette d’Ancizan (1538 metri, 9,9 km di salita, pendenza media al 7,5% con punte del 10%) con il francese Mangel a tagliare davanti il Gpm di prima categoria in compagnia degli eroi di giornata Perez Moreno, Gutierrez, Kadri, Thomas e Roy in fuga dal secondo chilometro.

Il Tour segnato dalle cadute eccellenti annota gli ennesimi scivoloni:
il gruppo maglia gialla transita al Gpm con 5’48 di ritardo dai fuggitivi e alla prima curva della discesa Voeckler assaggia l’asfalto umido coinvolgendo nella caduta il tedesco Andreas Kloden che riporta diverse abrasioni uscendo di scena per la classifica generale con 8’ alla fine. A 47 chilometri dal traguardo avvolto da nubi che promettono pioggia arriva per la 79esima volta nella storia del Tour il Tourmalet, la cui strada è intitolata alla leggenda Fignon, con il suo carico di fascino e asprezza. I fratelli Schleck mettono gli uomini della Leopard a dettare il ritmo del gruppo, mentre la fuga si sgranava con i soli Thomas e Roy (primo al prestigioso Gpm) a guidare. Contador dà notizia di sé spedendo in avanguardia il fidato Hernandez. Il Tourmalet fa selezione, ma si decide tutto sull’ultima salita Luz Ardinen.

A dodici chilometri dalla fine scatta la caccia di Sanchez che assecondato dalla staffetta di Vanendert in breve aggancia e stacca i coraggiosi Thomas e Roy sfiniti dalla lunghissima fuga. A 4 chilometri dalla conclusione gli Schleck dopo essersi scambiati uno sguardo d’intesa rompono gli indugi. Franck fa il vuoto al secondo tentativo. Contador prova a rispondere, ma la gamba non è quella del Giro. Sanchez e Vanendert gestiscono la manciata di secondi di vantaggio di secondi che li separano da Schleck con uno sprint anticipato. Ivan Basso mostra brillantezza e grinta, mettendo dietro nella volata del secondo gruppo anche un positivo Evans. Domani si replica sui Pirenei con i 152,5 chilometri da Pau a Lourdes. Nella seconda parte della frazione ci sarà un’altra vetta mitica come l’Aubisque (16,4 km al 7,1%).

sabato 9 luglio 2011

Ettore Messina approda ai Los Angeles Lakers

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=155571&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA - Ora è ufficiale: Ettore Messina siederà in veste di assistente al capo allenatore sulla panchina prestigiosa dei Los Angeles Lakers per il prossimo biennio. «Sono onorato di aver ricevuto questa opportunità da una delle più grandi organizzazioni di basket del mondo», è stato il commento a caldo del coach. Messina raggiunge il tris d'assi Bargnani-Belinelli-Gallinari e scrive una pagina storica della pallacanestro azzurra: è il primo tecnico italiano ad approdare nel campionato professionistico a stelle e strisce.

La storia tra Messina e l'Nba racconta di tanti contatti e proposte di diverse franchigie, Toronto e New Yersey su tutte, che non si erano mai concretizzati. Ora si è presentata l'offerta irrinunciabile che consente un apprendistato di altissimo livello prima dell'eventuale grande responsabilità di una panchina da protagonista principale. Nel basket Nba gli assistenti hanno un ruolo chiave nella gestione della squadra e spesso costituisce il battesimo di carriere luminose. Nell'ultima stagione Tom Thibodeau, ex assistente per la difesa di Rivers ai Celtics, all'esordio da head coach ha trasformato i Chicago Bulls ed è stato votato miglior allenatore dell'anno. In primavera, dopo le dimissioni dal Real Madrid, il cinquantunenne coach catanese ha iniziato a prendere sul serio l'ipotesi di un approdo negli States.

La svolta è arrivata con la nomina di Mike Brown, ex coach dei Cavs di LeBron James, come successore del decano Phil Jackson sulla panchina dei gialloviola, la più ambita e bollente del mondo. Brown in alcuni viaggi studio in Europa ha avuto modo di conoscere e apprezzare il metodo di lavoro di Messina e tra i due si è instaurato un ottimo rapporto. Ai Lakers ricoprirà un incarico a tutto tondo mettendo a disposizione il proprio amplissimo bagaglio di conoscenze cestistiche. La sfida sarà rimotivare e rilanciare un gruppo che nell'ultima stagione ha deluso privo dell'usuale fame di successo. La disciplina ferrea, l'organizzazione minuziosa, l'energia straripante e le grandi doti da motivatore contraddistinguono il miglior tecnico dell'ultimo ventennio in Italia e secondo in Europa per numero di successi solo a Obradovic.

Il primo biglietto di presentazione di Messina agli esigenti e illustri tifosi della franchigia della Città degli Angeli si chiama Manu Ginobili: la stella argentina dei San Antonio Spurs formata e lanciata dal coach nella Virtus Bologna del grande slam. Sulla gloriosa panchina bianconera ha speso quindici anni di una carriera vincente (3 scudetti, 4 Coppa Italia, 2 Eurolega) prima come giovanissimo assistente del mito Sandro Gamba, poi da capo allenatore di una corazzata che ha reso grande il basket azzurro in Europa. Nel 2003 il passaggio all'ultima grande Treviso allestita dalla famiglia Benetton in cui ha vinto uno scudetto e quattro coppe nazionali svezzando il romano Andrea Bargnani, che non smette mai di ringraziarlo. Poi è arrivata la grande esperienza russa al Cska Mosca dal 2005 al 2009 in cui ha conquistato due volte l'Eurolega oltre a quattro scudetti. Dal 1993 al '97 ha guidato la nazionale italiana conquistando l'argento europeo a Spagna '97. Una caratteristica di Messina è il saper mettersi in discussione, come ha dimostrato nella parentesi a Madrid, e accettare nuove sfide sempre al momento giusto. Fino allo sblocco della serrata che sta paralizzando l'Nba non potrà rivolgere parola ai propri giocatori, ma è fortissima la curiosità di vederlo duettare anche in lingua italiana con un certo Kobe Bryant.

venerdì 8 luglio 2011

Sorteggio Eurolega: c'è il Barcellona per Siena, Milano nel girone di ferro, Cantù ci prova

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=155387&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA – Riparte da Barcellona, sede dell’ultima Final Four, l’assalto delle squadre italiane all’Eurolega. Dalla pesca di Zeljko Obradovic, Dejan Bodiroga e Sarunas Jasikevicius sono uscite le avversarie della prima fase a gironi della Montepaschi Siena, dell’Armani Jeans Milano e della matricola Ngc Cantù. I campioni d’Italia affronteranno subito il Barcellona, mentre la sorte ha inserito l’Olimpia in un girone di ferro con le corazzate Madrid e Maccabi Tel Aviv oltre all’Efes Istanbul e all’insidioso Partizan Belgrado. È andata meglio a Cantù che partendo dalla stessa fascia di sorteggio (la quinta) dell’Armani ha pescato un Olympiacos in smottamento, il competitivo Caja Laboral Vitoria e l’ambizioso Fenerbahce. A completare il raggruppamento dei brianzoli ci sono le novità Bilbao e Nancy alle quali contenderà il quarto posto necessario al passaggio del turno.

Destinazione Istanbul. La stagione regolare prenderà il via con la tradizionale gara inaugurale in programma ad Atene il 17 ottobre, Si giocherà ogni mercoledì e giovedì per dieci settimane consecutive fino al 22 dicembre. Poi le migliori quattro squadre di ciascun girone disputeranno la Top 16 dal 18 gennaio fino al primo marzo. I quarti di finale saranno tra il 21 marzo e il 5 aprile, le vincenti disputeranno la Final Four dall'11 al 13 maggio 2012. Nelle ultime stagioni la partnership tra l’Eurolega e la Turchia si è fatta sempre più solida con lo sponsor della manifestazione Turkish Airlines e l’assegnazione alla città sul Bosforo della Final Four 2012. E i club turchi Fenerbahce ed Efes stanno allestendo formazioni competitive senza badare a spese. La crisi economica sta ridisegnando anche le gerarchie dell’Europa del basket. I colossi ateniesi Panathinaikos, campioni in carica, e l’Olympiakos stanno lasciando partire stelle di prima grandezza come Teodosic o eccellenti comprimari come Fotsis. Il Cska Mosca dopo aver chiuso un’epoca con il ritiro di Langdon, Holden e l’addio di Smodis è padrone del mercato con i colpi milionari Krstic, Teodosic e Darius Lavrinovic. In Spagna il Barcellona sta rifondando con un budget meno illimitato il gruppo vincitore della penultima edizione dell'Eurolega in seguito alle partenze di Rubio, Lakovic, Basile, Anderson e Morris. Il Real Madrid sfumato il colpo Fernandez manterrà l’impostazione della linea verde. In questo mosaico s’inseriscono le ambizioni di Siena e Milano che vogliono riportare in Italia il titolo.

La Montepaschi ha praticamente ultimato il mercato in entrata con i rinforzi Andersen e Summers. Due colpi che aumentano l’impatto fisico della squadra senese e la candidano a un ruolo da protagonista anche in Europa. La squadra di Pianigiani contenderà il primato nel girone al Barcellona e misurerà la forza del basket russo con l’Unics Kazan. I polacchi del Prokom e l’Olimpia sono avversari navigati ma non di prima fascia. «Ritroviamo il Barcellona, come tradizione, e squadre intriganti come il Prokom e il Kazan che rappresentano per noi un’opportunità. Per raggiungere le Final Four di Istanbul dovremo affrontare tante partite dure ed essere mentalmente pronti fin da subito.», ha commentato il presidente Ferdinando Minucci.

L’Armani vuole dimenticare la cocente non qualificazione alla scorsa Top 16 e si sta attrezzando per farlo con Scariolo in panchina e la firma di ottimi giocatori (Cook, Fotsis). La competizione sarà comunque durissima: il gruppo C è il più ostico con i vice campioni d’Europa del Maccabi, il Partizan che in casa è difficile da superare, l’Efes che punta alla finale casalinga e il Real dei giovani. C’è da attendere la sesta formazione che uscirà dal turno preliminare. «Anche quest'anno - ha spiegato il general manager Gianluca Pascucci - l'Olimpia è stata inserita in un girone con squadre di grande tradizione e importanza europea. Sarà un girone duro, ma certamente stimolante anche per il pubblico di Milano, che avrà la possibilità di assistere a gare di alto livello.»

Cantù si presenta con lo spirito leggero di chi non ha niente da perdere e tutto da guadagnare. Il sorteggio favorevole rende possibile un prestigioso passaggio del turno. L’Olympiakos sta vendendo i gioielli migliori e il Fenerbahce è destinato a guidare il gruppo. Vitoria è la solita certezza spagnola, mentre Bilbao è la meteora che ha sorpreso tutti nell’ultimo campionato spagnolo. «Siamo consci che ogni partita sarà per noi di una difficoltà incredibile, ma penso che sia sempre necessario avere degli obiettivi e il nostro sarà quello di provare a rubare il quarto posto, sapendo che si tratterebbe di un’impresa assoluta.», ha detto il coach Trinchieri. «Per noi è un’emozione incredibile ritornare in Eurolega dopo tanti anni. Cantù ha una grande tradizione europea, ma non in periodi recenti, visto che nelle ultime stagioni non avevamo mai fatto così bene in campionato. Tutti i gironi sono difficili perché formati da squadre abituate a questi palcoscenici.», ha concluso il gm Bruno Arrigoni.

GRUPPO A: Olympiacos, Caja Laboral Vitoria, Fenerbahce, Bilbao, NGC Cantù, Sluc Nancy Basket.

GRUPPO B: Panathinaikos, Cska Mosca, Unicaja, Zalgiris Kaunas, Brose Basket Bamberg, KK Zagabria.

GRUPPO C: Real Madrid, Maccabi Tel Aviv, Partizan Belgrado, Efes Pilsen Istanbul, Armani Milano, vincente qualificazioni.

GRUPPO D: Barcellona, Montepaschi Siena, Unics Kazan, Asseco Prokom, Olimpia Lubiana, vincente qualificazioni.

giovedì 7 luglio 2011

La Virtus Roma sogna il ritorno di Pesic

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=155348&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA - C’è una luce in fondo al tunnel di incertezze che avvolge la Virtus Roma. Nell’ormai lontana estate del 2006 la festa romana per la riconquista dell’Eurolega veniva gelata dall’addio al veleno del principale protagonista, Svetislav Pesic, di quel risultato. Oggi Roma ha perso l’Europa, ma potrebbe ritrovare il tecnico di Novi Sad. L’uomo giusto per riaccendere l’entusiasmo sopito da tre anni di batoste grazie al legame speciale che Pesic seppe instaurare con i tifosi: con lui in panchina e Bodiroga in campo il Palaeur traboccava di passione e tutto sembrava possibile. Lo stile inconfondibile e carismatico di Pesic, che ha consegnato al Barcellona la prima storica Eurolega e vinto tutto con la nazionale serba, sarebbe la garanzia migliore per una società in cerca di nuove figure di riferimento.

«Un mese fa ho avuto un lungo colloquio con l’amico Boscia Tanjevic a proposito della possibilità di un mio ritorno a Roma - spiega Svetislav Pesic - Due o tre settimane fa il mio agente Luciano Capicchioni ha parlato con il presidente Toti, ma da allora non ho ulteriori informazioni. L’idea è stimolante, ma non posso commentare nulla se non c’è qualcosa di più concreto. Sono pronto a dialogare».

L’ostacolo maggiore è l’ingaggio sostanzioso di un allenatore di tale spessore in conseguenza del ridimensionamento del budget previsto dalla Virtus. Le alternative in campo per la panchina sono gli italiani Bechi, Lardo, e l’altra suggestione Repesa.

La Roma che ritroverebbe Pesic non è la squadra in rampa di lancio e con il proposito di vittorie di cinque anni fa. «A Valencia ho passato sei mesi straordinari - prosegue il coach - ereditando un gruppo di giocatori in crisi, abbiamo scalato rapidamente la classifica in campionato e in Eurolega siamo arrivati a un passo dalla Final Four. Il rapporto con i tifosi è stato incredibilmente intenso, ma a fine anno non c’è stata identità di vedute con la società. Mi interessava costruire qualcosa di importante a lungo termine».

L’idea di ricostruire, anche se non nell’immediato, un percorso vincente potrebbe essere il punto d’incontro con la Virtus. «Non so nello specifico quali siano le prospettive, le intenzioni della proprietà e gli obiettivi attuali della società capitolina. Dovrei parlare con il presidente Toti. Sì, a me interessa un progetto e le vittorie non si costruiscono in un giorno».

Quali stimoli le darebbe la sfida romana: finire un lavoro lasciato a metà? «Roma è un palcoscenico fantastico - conclude Pesic - non ho mai dimenticato l’energia, lo spettacolo del Palaeur stracolmo di persone. Una città del genere non ha bisogno di stimoli accessori. Così come ricordo l’ottimo lavoro svolto, che aveva permesso alla Virtus di riconquistare l’Europa che conta».

Sente di dire qualcosa ai tifosi confortati al solo pensiero di un suo possibile ritorno? «We wir see if it’s possible». Per il momento niente più di un “vedremo”, nel suo inconfondibile anglo tedesco.

domenica 3 luglio 2011

Siena e Milano, le regine del basket mercato

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=154864&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA – È presto per dire che siano tornati i tempi d’oro in cui le società italiane dominavano il basket mercato e i parquet europei, ma Siena e Milano sono avviate sulla buona strada. La Montepaschi Siena, che da cinque anni domina senza ostacoli in Italia ed è protagonista in Eurolega, e l’Armani Jeans Milano stanno esplodendo veri e propri fuochi d’artificio sul mercato continentale in un botta e risposta quasi quotidiano.

L’ultimo colpo a effetto è di Siena che ha ufficializzato l’arrivo della ventitreenne ala americana DaJuan Summers, prodotto del college Georgetown e reduce da un’annata con i Detroit Pistons (3.4 punti in 9 minuti d’impiego). Si tratta di un’ala piccola poliedrica che per la struttura fisica può essere impiegato anche nel ruolo di ala forte. Summers prenderà il posto di Malik Hairston destinato probabilmente a firmare proprio con le Scarpette Rosse dell’Olimpia. In due settimane il club meneghino ha acquistato Omar Cook, il miglior playmaker senza contratto in circolazione, e strappato alla concorrenza del ricchissimo Barcellona l’ala forte Antonis Fotsis, tassello fondamentale nei successi del Panathinaikos di Mister Eurolega Zeljko Obradovic.

Milano, dopo l’arrivo in panchina del fuoriclasse Scariolo, vuole dare sostanza alle proprie aspirazioni di grandezza.I prossimi passi saranno la scelta di un centro dominante e la risoluzione dei nodi Hawkins-Jaaber. La dirigenza senese ha rilanciato immediatamente l’assalto all’Europa con i centimetri e il talento del trentunenne centro australiano David Andersen di ritorno dall’Nba. Il pivot di passaporto danese ha un passato italiano ricco di vittorie con il quadriennio nella Bologna di Messina, che ha seguìto anche al Cska Mosca, e la stagione 2003/04 a Siena impreziosita dalla conquista dello scudetto. Andersen con il lituano Lavrinovic formerà una coppia di lunghi stellare che assicura pericolosità dentro e fuori l’area colorata. Un gradino più in basso c’è la solita formica laboriosa canturina che con la sapienza di Bruno Arrigoni sta puntellando la Bennet attesa dall’impegno in Eurolega. Sarà una Cantù più italiana grazie all’arrivo della rivelazione Andrea Cinciarini, convocato da Pianigiani in azzurro, e più muscolare sotto i tabelloni con il bielorusso Parakhouski. Il patron della Virtus Bologna Sabatini ha confezionato un colpo a effetto con il ritorno della mente dei successi della Montepaschi Mc Intyre.

Roma dove sei? I tifosi e gli appassionati di pallacanestro romani sono in profondo subbuglio per l’incertezza che avvolge la Virtus Roma. A quarantotto giorni dalla mancata qualificazione ai playoff non ci sono notizie certe sulle prospettive della squadra capitolina. Nelle ultime settimane l’unica novità è stato l’incontro in Comune tra il presidente Claudio Toti e il delegato del sindaco allo sport Cochi. «È stato un incontro costruttivo - recitava un comunicato della Virtus datato 22 giugno - dove si sono analizzate le problematiche tecniche per l’ampliamento della capienza del Palazzetto dello Sport. Il delegato del sindaco allo sport Cochi con il direttore del dipartimento sport Bruno Campanile si stanno attivando al fine di risolvere la problematica. Notizie più sicure si potranno avere entro 10 giorni».

Nel frattempo, a meno di sorprese positive, l’addio più doloroso e troppo silenzioso è al capitano Alessandro Tonolli. Dopo diciassette anni di militanza e dedizione assoluta alla Virtus il 30 giugno è scaduto il contratto del “Tonno” senza contatti per un rinnovo. Intanto sul mercato Angelo Gigli interessa molto a Bologna, Datome è l’oggetto del desiderio di Milano e Giachetti valuta altre offerte.
Il mercato delle altre.

La Benetton Treviso riparte dalla guida tecnica di Sasha Djordjevic, dal rientro temporaneo di Donatas Motiejunas, scelto nell’ultimo Draft da Minnesota e scambiato a Houston il cui sbarco nell’Nba è rinviato a causa della serrata, e dal contratto prolungato di “baby” Gentile. Per Djordjevic si tratta della seconda esperienza da coach dopo il debutto nel 2006 con Milano (40 partite vinte su 63) in cui lanciò senza indugi Gallinari.

È attivissima la Cimberio Varese che dopo la conferma di Stipcevic, Rannikko, Talts e a breve Kangur, ha firmato Luca Garri e deve ufficializzare l’ex Teramo Drake Diener.

La Sutor Montegranaro, che ha salutato i nazionali Cavaliero e Cinciarini, ha annunciato un colpo interessante con l’ex Biella talento e sregolatezza Edgar Sosa (14.1 punti e 4.5 assist in campionato).

Cambio in regia per la Scavolini Pesaro che ha preso l’ottimo Rick Hickman (Mvp dell’ultima Legadue) protagonista della promozione nella massima serie di Casale Monferrato.

venerdì 1 luglio 2011

Nba, è rottura tra giocatori e proprietari: scatta la serrata

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=154627&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro
ROMA – Lo spettacolo e l’industria dell’Nba si fermano: le stelle milionarie che animano il campionato più globale e ricco del mondo hanno detto no al rinnovo con taglio degli ingaggi del contratto collettivo proposto dai proprietari delle franchigie. A Manhattan l’ultima mediazione, durata tre ore, per evitare lo stop non ha prodotto alcun risultato e dalla mezzanotte americana, alla scadenza del precedente accordo collettivo dei cestisti, è scattata la serrata. La mente torna al luglio 1998 quando la Lega statunitense proclamò il lock-out e si disputò solo metà stagione con le partite ridotte dalle canoniche ottantadue ad appena cinquanta. Mentre nel 1995 l’accordo si trovò entro settembre salvando l’intera annata. «Mi spaventa il fatto che le parti siano molto distanti, nonostante la trattativa sia durata molto a lungo. C’è una profonda divisione “filosofica”: i conti delle squadre sono in rosso senza un sistema di sviluppo sostenibile, mentre i giocatori pretendono di incrementare i guadagni. Sono rassegnato al danno che l’Nba possa subire e nessuno può sapere quello che succederà.», ha dichiarato David Stern gran capo dell’Nba.

L’obiettivo è comunque quello di tornare al tavolo delle trattative entro la fine del mese. Durante la serrata, che nel ’98 si protrasse per 204 giorni, non saranno corrisposti gli stipendi ai giocatori, le squadre non potranno trattare o formalizzare nuovi acquisti, sono vietati contatti con gli staff tecnici e l’accesso alle strutture delle franchigie. I danni collaterali di un blocco prolungato colpirebbero il grande indotto occupazionale di uno sport che si è fatto business. Inoltre saranno cancellate le tradizionali Summer League, gli appuntamenti di prestagione in Europa escono dal calendario e i giocatori europei che passeranno l’estate con le nazionali non avranno le polizze assicurative dei club a coprire eventuali infortuni. Queste prospettive ambigue potrebbero spingere qualche atleta senza contratto ad ascoltare le sirene che arrivano dai maggiori club europei, ma le stelle di prima grandezza non si muoveranno.

Una decisione che non lascia sorpresi, in quanto nelle ultime settimane di febbrili trattative non si erano mai compiuti sostanziali passi in avanti. Nell’attuale situazione di recessione economica e difficoltà che ancora colpisce gli Stati Uniti gli stipendi dei fenomeni a canestro sono irreali. Nell’annata 2010/2011 le franchigie Nba hanno registrato un passivo di oltre 300 milioni di dollari e ventidue sulle trenta complessive hanno il bilancio in rosso. «La Lega ha bisogno di un modello di business sostenibile che permetta alle trenta squadre di competere per il titolo, di pagare equamente gli atleti e di procurare profitti se ben amministrate. Abbiamo formulato diverse proposte all’Unione dei giocatori, incluso un accordo che garantisce un salario annuale complessivo per il prossimo decennio pari a due miliardi di dollari (circa 5 milioni a giocatore) destinato a crescere con eventuali maggiori introiti.», ha spiegato Adam Silver deputy commissioner Nba. Le richieste dei proprietari, che convergono su una riduzione degli ingaggi e una diversa distribuzione degli introiti, per il rinnovo del contratto collettivo sono chiare: riequilibrare sul 50-50 la percentuale dei guadagni (biglietti e diritti tv) che ora è del 57% a 43% in favore dei giocatori, un taglio considerevole e immediato di 700 milioni di dollari agli ingaggi con contratti di durata più breve, un margine di spesa pari a 62 milioni dollari a squadra per ogni stagione e infine un tetto salariale rigido che eviti alle franchigie la tentazione di sforarlo con la conseguente tassa sul “lusso” da pagare.

Il sindacato dei giocatori molto unito e guidato dal veterano Lakers Fisher non si muove dalla contro proposta, giudicata insufficiente, di una riduzione di 500 milioni spalmata in cinque anni, 54.3%-47.5% sugli introiti e un rinnovo sui cinque anni. «So che ci sono moltissimi tifosi e appassionati in subbuglio anche se al momento non abbiamo saltato alcuna partita. I proprietari pensano che la serrata sia il modo più efficace per ottenere il loro risultato. Non siamo d’accordo», ha commentato Derek Fisher appena uscito dall’ultima riunione a Manatthan. Il paradosso è che quella ormai alle spalle è stata la stagione con più ricavi e interesse della storia Nba. Ora si cercherà di non spegnere un altro sogno americano interpretato nelle ultime splendide finali dal tedesco, ormai texano d'adozione, Dirk Nowitzki.